Caro iCrewer, oggi sono a parlarti di un libro la cui trama è davvero atipica – per usare un eufemismo – ed è per questo che ho deciso di inserirlo nella rubrica “Creepy Books”: il suo titolo è “Porn food“, l’autore Andrea Campucci e la Casa Editrice è la Leone
“Porn food” è il quinto romanzo di Andrea Campucci, filosofo fiorentino che ho avuto l’onore di incontrare alla Libreria Mondadori durante un sabato pomeriggio, in cui promuoveva la sua opera raccontando agli avventori del locale la storia del suo racconto.
era davvero così facile compiere il male?
In questa sintetica riflessione che emerge dai pensieri del protagonista credo si possa inquadrare il leit motiv della trama del romanzo, il cui attore principale (e in questo caso la definizione di “attore” è più che mai azzeccata e lo capirete leggendo) porta lo stesso nome dell’autore. Dalla sinossi mi aspettavo un’opera di tutt’altro genere: credevo di imbattermi in una sorta di saggio/denuncia/riflessione sulle devianze psicologiche della massa che il mondo di internet, incarnato in social network di vario genere, ha portato a galla nell’ultimo decennio; ora c’è da dire che, in parte, nella trama di questo racconto vi è anche sottolineato tale aspetto, ma credimi se ti dico che questa è solamente la punta dell’iceberg e che l’oggetto principale tratta ben altro.
Comincio subito con l’affermare che in tutto il testo vi è varietà e proprietà di linguaggio che non trovavo in un romanzo da tempo immemore. Già dalle prime pagine ho capito che avrei dovuto tenere a portata di mano un dizionario o quantomeno la pagina di Google sempre aperta viste le terminologie usate (anche a livello medico, tanto per portare un esempio), i riferimenti storico/geografici e anche tracce di canzoni che ovviamente non possono essere sempre conosciute, e che anbrebbero ascoltate in quanto chiaro messaggio da parte dell’autore.
L’apparato psicologico del protagonista è degno della miglior bibliografia psicoterapica; ad un certo punto ho pensato che la discarica ove si svolgono i fatti sia in realtà metafora della spazzatura emotiva del protagonista. Ecco un paio di stralci che ritengo indicativi per dimostrare quanto detto poco sopra e per accennare alla personalità contorta del personaggio principale:
“[…] Il primo profilo facebook risale al biennio 2009-2010, anni in cui provvidi ad aggiungere, sulla mia rete, un numero spropositato di contatti di cui, poi, non mi sarei più interessato. Il mio unico obiettivo era quello di intrufolarmi nella vita privata di perfetti sconosciuti per capire quanto fosse inammissibile la loro miseria e assaporare, con infinita soddisfazione, il rivoltante disgusto che provavo nei confronti del prossimo”
“[…] farsi quattro passi in una discarica può essere un’esperienza profondamente spirituale, specie se ci si trova in uno stato di incorporeo rapimento simile a quello che coglie chi si è scolato una più che discreta quantità di alcolici. Nel giro di dieci minuti mi persi in un dedalo di viottoli che scambiai per il labirinto di Cnosso. Quindi, consapevole che prima o poi sarei finito tra le fauci di un gigantesco Minotauro, sbandai alla cieca su relitti di vecchi armadi e cassettiere in stile tirolese. Poco più in là mi beccai dell’usurpatore da un dumper a telaio rigido Caterpillar e fui minacciato di morte da una pala cingolata di cantiere. Infine, inciampai in una caffettiera Bialetti che mi urlò uno sgraziatissimo “seguimi!”. Obbedii senza fiatare e imboccai un sentiero che si faceva strada tra cataste di condizionatori Mitsubishi sfasciati. In breve, più per caso che per talento, mi ritrovai nell’accampamento del Porcellacchio”
La descrizione degli altri personaggi facenti parte il “cast” e dei luoghi ove si svolgono i fatti è audace e, tanto per citarne una fra le innumerevoli e tutte colorite: “Esaminati per la prima volta da vicino e alla luce del giorno, quei due mi fecero un’impressione piuttosto sgradevole. Brando, il più alto, mi tese la mano con una contorta manovra busto-toracica che mise in mostra una mandibola asburgica. Aveva una folta capigliatura bionda, pettinata come la chioma di un levriero afghano a una mostra canina organizzata da casalinghe sotto effetto di Prozac e che nessuno si scopa da cent’anni.“
Ammetto che a metà libro le cogitazioni del protagonista cominciano a risultarmi leggermente “pesanti”, non tanto per la crudeltà dei dettagli sulle varie tipologie di torture che riesce ad immaginare di poter esercitare il soggetto sui molteplici malcapitati di vario titolo, o alle affermazioni che la mente perversa del protagonista riesce a proferire, quanto perché comincio a chiedermi dove porterà tutto questo: ad un colpo di scena? Ad uno stravolgimento della situazione? Ad oscure spiegazioni scientifiche? Al risveglio da un brutto sogno? Fortunatamente per me, l’autore riesce ad esaudire le mie aspettative regalandomi un finale totalmente appagante e, cosa fondamentale, assolutamente non scontato.
Consiglio questo romanzo agli amanti di thriller psicologici, a chi cerca testi impegnativi e/o diversi dal solito, a sociologi, a (perché no?) chirurghi professionisti e, ovviamente, nell’accezione più positiva attribuita al genere ai seguaci dello splatter.
L’AUTORE
Andrea Campucci è nato a Firenze nel 1983. Qui si è laureato in filosofia e lavora in qualità di editor per diverse case editrici. Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo, “Naive“, tramite il sito Ilmiolibro.it. AL 2011 risale il saggio filosofico “Nietzche, la fine della ragion pura” per l’editore Mimesis. Nel 2012, con l’editore Arduino Sacco, pubblica una raccolta di racconti dal titolo “Cupio dissolvi“. Nel 2013, sempre con Sacco, esce il romanzo “La scampagnata“. Esordisce con Leone editore nel 2016 con il romanzo “Plastic shop“. Nel 2018 è poi la volta di “Porn food“, sempre con Leone. Per il 2019 è prevista l’uscita di “Movida“, che si preannuncia come uno dei più spietati ritratti della night life fiorentina mai realizzato.