Caro iCrewer,
bentornato nel nostro spazio dedicato ai Classici della letteratura mondiale. Quest’oggi voglio accompagnarti in un viaggio alla scoperta delle sconfinate steppe russe, di una Natura selvaggia e magica verso un mondo crudele e spietato ma anche estremamente ricco e pieno di vita come la Russia di fine Ottocento.
L’opera di oggi è Memorie di un cacciatore di Ivan Turgenev, scrittore forse non tra i più noti per noi occidentali ma maestro dei ben più famosi Dostoevskij e Tolstoj.
Senza ulteriori indugi, dunque, lanciamoci in questa meravigliosa avventura!
Memorie di un cacciatore: genesi e storia
Memorie di un cacciatore è l’opera che rese celebre Turgenev in tutta la Russia, e non proprio in maniera convenzionale. Fu pubblicata per la prima volta nel 1852 e raccoglieva novelle e racconti scritti negli anni precedenti. L’opera fece subito scandalo, soprattutto per la forte denuncia sociale che vi conteneva. Lo scrittore, infatti, condannava la pratica della servitù della gleba, un’istituzione medievale ma che era ancora vivissima in Russia.
E Turgenev la conosceva bene. Era nato, infatti, ad Orel, nella Russia occidentale da una ricca famiglia aristocratica. Cresciuto nella tenuta nobiliare, immerso tra i boschi e circondato dai servi, da grande, dopo aver studiato a Mosca, Berlino e Parigi, maturò una certa insofferenza verso la tirannia di nobili e latifondisti nei confronti della propria servitù. Lo scrittore trovava, infatti, la servitù una pratica barbara e retrograda abbandonata già da tempo in Europa.
In Memorie di un cacciatore la Natura e la servitù sono i due grandi protagonisti di questa raccolta che costò a Turgenev un mese di carcere e alcuni anni di reclusione forzata nella dimora di famiglia. Nonostante la pena che è stato costretta a scontare, l’opera ebbe uno straordinario successo di pubblico. Si dice che lo stesso zar Alessandro II pianse nel leggere le storie di Turgenev le quali sembrano possano aver ispirato la riforma del 1861 che abolì la servitù della gleba in Russia.
Non c’è una vera e propria trama che, proprio come dice il nome, sono “memorie di un cacciatore”. È lo stesso Turgenev a fare da narratore raccontando o riportando le storie che ha appreso, sentito o vissuto in prima persona nei mesi trascorsi nella tenuta di famiglia. Qui, proprio come imponevano le tradizioni aristocratiche di fine Ottocento, Turgenev trascorreva le giornate in battute di caccia durante le quali è potuto entrare in contatto con la ricchezza e la varietà delle popolazioni russe.
La Russia tra contadini in miseria e natura sconfinata
In Memorie di un cacciatore, al di là della condanna contro la servitù della gleba, Turgenev celebra la bellezza del suo paese, di quella Russia amata e odiata, così luminosa e ricca di varietà e tipi umani ma anche di contraddizioni, violenze e soprusi. Come i grandi maestri del racconto breve, Turgenev non si limita a rappresentare dei “tipi” umani che incarnano atteggiamenti comuni. I suoi personaggi, infatti, sono vivi, forti e dinamici con una fortissima individualità. Anche se possono avere alcuni tratti in comune non c’è un personaggio simile ad un altro.
In comune ci sono certamente prepotenze, umiliazioni e quella miseria cui molti dei contadini del suo tempo erano soggetti. Ne è un esempio Sucok, protagonista del racconto L’gov, costretto dalla sua padrona a svolgere qualsiasi lavoro anche se non vi era portato. Ancor più esemplare è la descrizione della misera casupola in cui vive il povero Biriuk, guardiacaccia dell’omonimo racconto:
L’isba del guardaboschi consisteva in una sola stanza, annerita dal fumo, bassa e vuota, senza soppalco e tramezzi. Un pellicciotto lacero di montone era appeso a una parete. Su una panca giaceva un fucile a una canna, in un angolo c’era un mucchio di stracci; due grossi vasi stavano accanto alla stufa. Sulla tavola ardeva una torcia, ora scoppiettando, ora languendo mestamente. Proprio in mezzo all’isba pendeva una culla legata all’estremità di una lunga pertica.
L’occhio di Turgenev, però, non si ferma solo su servi e contadini ma analizza anche la nobiltà e la borghesia russa, dispotica, arrogante ma anche fragile e impotente dinanzi al tramonto di una Russia in cui non si riconoscono più.
In Due proprietari di campagne, Stegunov acquista un modernissimo trattore ma non sa che farsene di quell’oggetto così “strano” e lo lascia arrugginire in una rimessa della sua tenuta. Vasili, nobilotto spiantato di L’Amleto del distretto di Scigri ha studiato in Germania ma da quando è tornato in Russia non riesce più a trovare il suo posto. Annoiato, trascorre le sue giornate in un remoto distretto sproloquiando e vaneggiando. Rappresentativo è anche Ovsjanikov che nell’omonimo racconto si lamenta dicendo: «Il vecchio mondo è morto e il nuovo tarda a nascere!».
Ma a trionfare su tutti è un unico, eterno personaggio, la Natura, rappresentata in tutte le sue forme, suoni, colori e “anime”. C’è quella selvaggia e indomabile come quella descritta ne La morte dove un frassino finisce per schiacciare il contadino che l’ha abbattuta; c’è la Natura ricca e generosa de Il mio vicino Radilov con giardini e boschi colmi di piante, animali e colori così sapientemente descritti da prender vita direttamente sulla pagina. E c’è anche la Natura più segreta, quella magica, occulta, avvolta dal mistero evocata dai ragazzini di Il prato di Biez che si raccontano storie di paure da cui emergono spiriti e mostri del folklore russo.
Qualunque sia il volto della Natura che si desidera contemplare, il messaggio di Turgenev è chiaro. Ed è riassunto nelle parole del vagabondo Kassian nella novella Kassian di Bella Spada da cui emerge tutta la poesia e la maestria di questo novelliere:
È un’occupazione estremamente piacevole quella di starsene sdraiati nel bosco a guardare in alto! Vi sembra di guardare in un mare senza fondo che si stende immenso sotto di voi; vi sembra che gli alberi non sorgano da terra, ma, al contrario, come radici di piante gigantesche, scendano, affondino a piombo in quelle acque limpide come specchio. […]
Bianche nuvole tondeggianti galleggiano e passano lente, simili a fantastiche isole sottomarine; ma ecco che all’improvviso tutto questo mare, quest’aria radiosa, questi rami e queste foglie imbevute di sole, tutto si mette a fremere e a tremare di fugaci bagliori e si leva un sussurrio fresco, trepidante, simile allo sciabordio minuto e infinito di un improvviso incresparsi dell’acqua. Voi restate immobile a guardare, e non è possibile esprimere a parole la gioia, la calma, e la dolcezza che vi scende nell’anima.