Cecità è un romanzo che Josè Saramago scrisse nel lontano 1995: un romanzo quasi profetico nella sua visionarietà, dove si possono riscontrare numerose analogie con i tempi di pandemia che stiamo vivendo e che ci auguriamo di lasciarci presto e definitivamente alle spalle.
Fra i libri che ho letto e gradito, fra quelli che mi hanno lasciato un segno, Cecità occupa un posto d’onore. Ricordo di averlo letto in due giorni, notte compresa. Cosa non indifferente per le sue quasi trecento pagine. Ricordo che non riuscivo a staccarmene: forte era il coinvolgimento per la storia in sé e per le emozioni che Josè Saramago ha saputo mirabilmente e non soltanto a me, suscitare con la sua scrittura. Del resto se nel 1998 ha ricevuto il Premio Nobel per la letteratura, un motivo deve pur esserci.
Cecità racconta di un epidemia sconosciuta e inesplicabile che colpisce una città indefinita, in un anno indeterminato: una forma di cecità che immerge, in un bianco talmente luminoso, talmente totale da divorare, più che assorbire, non solo i colori, ma le stesse cose e gli esseri, rendendoli in questo modo doppiamente invisibili. Epidemia che attacca inspiegabilmente prima singoli individui e poi la globalità della gente.
Cecità, straordinariamente attuale
Non voglio raccontarti la trama, il romanzo è uno dei più conosciuti di Josè Saramago, dal 1995 ad oggi ha avuto numerose edizioni e le vale tutte. Ciò che proprio in questo periodo mi è sembrata straordinario rileggendolo, è la visionarietà dell’autore che in tempi non sospetti, si inventa una malattia strana e sconosciuta che colpisce senza preavviso, senza preavviso scompare e nessuno sa da dove viene né dove andrà, nessuno ne conosce le cause né la cura: e questa storia, dimmi tu, caro lettore, se non assomiglia esattamente a ciò che abbiamo vissuto nei mesi scorsi e che ancora stiamo vivendo.
Metafore ed analogie in Cecità
È un libro che lascia il segno, che induce a riflettere sulle cecità che ci circondano e sulle nostre effettive cecità. Una metafora dell’umanità primordiale e feroce incapace di “vedere” al di là dell’indifferenza, dei propri egoismi o dei propri interessi: e anche qui, se ci guardiamo intorno, se siamo capaci di “vedere” ciò che ci circonda, dalla politica al sociale, di analogie ne troviamo in quantità industriale.
È di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria.
Questa frase, come tante altre in Cecità, è una frustata ma è anche molto vera, più che mai attuale. Basta solo saper vedere la realtà. Probabilmente è proprio per i temi trattati, per le analogie con il nostro tempo, per la situazione destabilizzante e ancora incerta che ancora viviamo, che questo romanzo di Josè Saramago sta conoscendo una seconda giovinezza.
Leggendolo o rileggendolo ci troviamo quasi immersi nelle stesse situazioni: stravolte le nostre abitudini, stravolte le nostre vite, con il timore sempre costante del contagio. Di contro, così come accade nella trama del libro, chi dovrebbe darci sicurezze, le istituzioni o i grandi cervelli della medicina, in realtà se non sono impegnati ad avere divergenze di opinioni per dirla in maniera elegante, non sanno che pesci acchiappare neanche loro per dirla nuda e cruda senza tanti giri di parole.
È un libro che devo ammettere, quando l’ho letto per la prima volta, mi ha destabilizzato ed immediatamente mi è tornato in mente allo scoccare di questo periodo di pandemia. Dopo averlo riletto, non ti nascondo che ho faticato a non “vedere” il mondo in tutta la sua crudeltà:
– Perché siamo diventati ciechi?
– Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione.
– Vuoi che ti dica cosa penso?
– Parla!
– Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono, ciechi che,
pur vedendo, non vedono.
Josè Saramago
José de Sousa Saramago nasce ad Azinhaga, in Portogallo il 16 novembre 1922. Trasferitosi a Lisbona con la famiglia in giovane età, abbandonò gli studi universitari per difficoltà economiche, mantenendosi con i lavori più diversi. Negli anni sessanta, diventa uno dei critici più seguiti della rivista letteraria portoghese Seara Nova e nel ’66 pubblica la sua prima raccolta di poesie I poemi possibili.
Diventa in seguito direttore letterario e di produzione di una casa editrice, carica che manterrà sino allo scoppio della cosiddetta Rivoluzione dei Garofani, nel 1974. In questo periodo, José Saramago pubblica diverse opere: Probabilmente allegria, Di questo e d’altro mondo, Il bagaglio del viaggiatore, Le opinioni che DL ebbe e inoltre testi teatrali, novelle e romanzi.
Il cosidetto secondo Saramago, nella sua evoluzione di scrittore, apporta importanti modifiche alla narrativa portoghese e dà l’avvio ad una generazione di scrittori post-rivoluzionari. Pubblica il lungo e importante romanzo romanzo Manuale di pittura e calligrafia, seguito da Una terra chiamata Alentejo, incentrato sulla rivolta della popolazione della regione più ad est del Portogallo. Ma è con Memoriale del convento che ottiene finalmente il successo tanto atteso.
Gli anni Novanta lo consacrano sulla scena internazionale con L’assedio di Lisbona e Il Vangelo secondo Gesù Cristo, e infine con Cecità.
Meno riuscito, secondo alcuni critici è il Saramago saggista ed editorialista. Nel 1998, sollevando un vespaio di polemiche, gli è stato conferito il Nobel per la letteratura. José Saramago muore il giorno 18 giugno 2010 nella sua residenza a Lanzarote, nella località di Tías, nelle Isole Canarie.