Ciao iCrewer! Oggi, per il nostro viaggio tra i caffè letterari, ho pensato potesse essere interessante fare un salto a Pisa, al Caffè dell’Ussero. Siamo stati a Roma, Venezia e Napoli, ma la Toscana non era ancora stata una nostra meta. Sei pronto a esplorare insieme a me questo locale storico, nella città della Torre che pende?
Caffè dell’Ussero: un po’ di storia
Situato sul lungoarno pisano, al piano terra del quattrocentesco Palazzo Agostini (conosciuto anche come Palazzo dell’Ussero o Palazzo Rossi), il Caffè dell’Ussero è stato aperto al pubblico per la prima volta nel 1775, guadagnandosi così il terzo posto tra i caffè più antichi d’Italia.
“Perché questo nome particolare?” ti starai chiedendo. La risposta è semplice: è stato scelto in quanto alcuni Usseri francesi abitarono nella locanda al suo interno, e questo fatto può essere provato da della documentazione storica. Tuttavia, non è sempre stato conosciuto così.
Nell’Ottocento, non si diceva “Vado al Caffè dell’Ussero“, quanto più al “Caffè delle Stanze“, visto che vi era un collegamento che portava dalle sue stanze al piano superiore dell’edificio, dove si trovava il Circolo delle Stanze Civiche, fondato proprio in quegli anni, nel 1818 per la precisione.
Venne chiamato anche “Caffè dell’Unione” perché sede del primo Congresso Italiano degli Scienziati, tenutosi nel 1839. Ancora oggi le pareti del locale sono adorne di foto che commemorano questo particolare momento storico.
Durante la Seconda guerra mondiale, il locale venne requisito dalle forze dell’esercito militare statunitense e poté riaprire al pubblico solamente nel 1945, come bar-tabaccheria Usserino. Non si trovava più, però, all’interno dello storico edificio: fu costretto a trasferirsi in vicolo Tidi.
Bisognerà aspettare il 1959 per veder tornare l’attività in quelli che erano i suoi locali originali, dove tutt’ora si trova: al piano terra di Palazzo Agostini.
Qualche nome illustre
Se le pareti potessero parlare, sono sicura che ci racconterebbero aneddoti incredibili, vicende curiose, momenti storici dei più di duecento anni di attività. Ci saranno stati segreti bisbigliati nella fioca luce della sera, poesie raccontate, lettere scritte, strette di mano indimenticabili, certamente anche addii strazianti. Tuttavia, quali sono gli avventori che anche noi, oggi, potremmo riconoscere? Che nomi sono stampati con inchiostro indelebile nelle pagine della nostra cultura?
Ti faccio solamente qualche esempio, perché altrimenti la lista diverrebbe davvero troppo lunga: Giosuè Carducci, che seduto a questi tavoli compose un poema eroicominco; Filippo Tommaso Marinetti; Filippo Mazzei; Giuseppe Lipparini, e molti altri.
Ho deciso, tuttavia, di parlarti in modo particolare di Giuseppe Giusti (1809 – 1850), poeta italiano del Risorgimento.
Durante l’infanzia e gli studi delle scuole superiori si spostò in lungo e il largo per l’intera Toscana odierna, senza raggiungere, però, risultati estremamente brillanti. Approdò a Pisa per proseguire con l’istruzione universitaria nella facoltà di Giurisprudenza, e diventò ben presto un’habitué del Caffè dell’Ussero, dove proclamava le sue poesie.
Si trasferì, poi, a Firenze e, sebbene inizialmente non si sentì il benvenuto, pian piano la città lo stregò. Feste, balli, salotti, chiacchiere… era il posto giusto per la sua arte, per la sua satira. Vi giungevano turisti e intellettuali da tutto il mondo, permettendogli così di studiare tipi diversi di modi di fare, di caratteri. I suoi amici erano il suo pubblico: ascoltavano i componimenti, suggerivano correzioni o spunti.
Le sue prime pubblicazioni avvennero tra il 1844 e il 1845, alcune firmate, altre anonime (le satire) e furono tali che Manzoni – di cui Giusti conosceva la figlia – disse in merito: “Son chicche che non possono esser fatte che in Toscana, che da Lei; giacché, se ci fosse pure quello capace di far così bene imitando, non gli verrebbe in mente d’imitare“. Ad aver un successo strepitoso fu la terza edizione della raccolta, intitolata Nuovi versi e data alla stampa nel 1847.
La sua poesia più famosa è intitolata Sant’Ambrogio, ma non meno note sono anche Il re Travicello, Il brindisi di Girella e Le memorie di Pisa (scritta al Caffè dell’Ussero). Si tratta soprattutto di satire anticlericali, anti austriache o sulla morale.
Per quanto riguarda la prosa, invece, venne pubblicato postumo il volume Cronaca dei fatti di Toscana (1890), contenente memorie inedite; una raccolta di proverbi toscani e un epistolario molto ricco.