Ciao iCrewer! Come ogni lunedì pomeriggio, anche oggi è giunto il momento di esplorare assieme la vita e qualche opera di uno scrittore che tutti, prima o poi, abbiamo sentito nominare: Franz Kafka.
Un po’ di storia
Prima di tutto, vorrei iniziare con una brevissima panoramica della realtà sociale di Praga, luogo in cui lo scrittore nacque e visse a lungo. Terza città dell’Impero austro-ungarico per dimensione e importanza, era anche il centro geograficamente più vicino all’Impero tedesco.
Come nella gran parte dei territori sottoposti al potere austriaco (prima della fine della Prima guerra mondiale), anche la composizione sociale di Praga era variegata: la maggior parte della popolazione era di etnia ceca; vi era poi una minoranza elitaria di lingua tedesca, al cui interno un ruolo di spicco era giocato dalla comunità ebraica, di cui i Kafka facevano parte.
In questo quadro, la figura di Hermann Kafka, padre di Franz, rappresenta un caso particolare: nato in un piccolo paese della provincia boema, una volta trasferitosi a Praga riuscì a scalare la piramide sociale, vedendo riconosciuta la sua appartenenza all’élite.
È in questa situazione che, nel 1883, nasce Franz Kafka. Il padre ha già pensato a tutto, ha già strutturato la sua vita: nel 1906 diventò giurista, per poi trovare occupazione nell’ufficio dell’ente per le assicurazioni sanitarie della città. Fin qui pare andare tutto abbastanza bene, certo, poco libero arbitrio, ma ricordiamoci che era una società fortemente patriarcale. Il problema di questo progetto? Franz stesso, debole di salute, tutto fuorché un animale sociale, sebbene gentile e generoso, caratterialmente debole e, soprattutto, amante della scrittura.
Sebbene non poté mai abbandonare l’occupazione ufficiale per dedicarsi interamente alla sua passione, questo non significa che la sua penna non fosse prolifica. Era la notte il momento prediletto di Kafka, quando poteva sedersi alla scrivania, aprire un quaderno e scrivere.
Racconti, pagine di diario, fitta corrispondenza epistolare, molto è il materiale che porta la sua firma, ma pochissimo ciò che è stato pubblicato negli anni della sua vita. Franz Kafka era estremamente critico del proprio lavoro, quindi molto poco era per lui degno di essere letto da terzi. Scrivere era il suo eros, il suo vero amore, era il motore della sua esistenza. La mole di energie che vi impiegava era tale da fargli considerare ogni altro impegno come una minaccia. Puoi facilmente immaginare cosa potesse rappresentare per Franz il matrimonio, requisito essenziale per essere un uomo realizzato e riconosciuto pienamente a livello sociale: il suo acerrimo nemico.
Forse è proprio per questo motivo che, sebbene si fidanzò più volte con Felice Bauer, i due non si misero mai l’anello al dito. A porre fine al tentativo di accasarsi e avere una vita da poter considerare “normale” fu la tubercolosi, diagnosticatagli nel 1917. Le successive relazioni di Kafka furono: una intellettuale con Milena Jesenka, colta giornalista, nonché sua traduttrice in russo (1920); e un’altra dolce, serena e felice, una convivenza a Berlino Dora Dymant, conosciuta nel 1923 sul Mar Baltico, dove l’autore si era recato per delle cure.
Franz Kafka morì nel marzo 1924, a soli 41 anni, a causa del doloroso aggravarsi della malattia.
I suoi scritti
Molte sono le opere conosciute di Kafka. In particolare, vorrei citartene due. Il verdetto (1912) fu il primo racconto, scritto nello spazio di una notte, a fargli capire e provare il piacere della scrittura. Lo considerò sempre il suo punto di maggiore espressione e perfezione a livello strutturale.
La metamorfosi (1912), d’altra parte, è l’opera a cui siamo, forse, più frequentemente esposti. Ricordo ancora la prima volta che la professoressa di italiano ce ne lesse un brano, alle scuole medie: la compassione che provai nei confronti di Gregor, il ribrezzo scaturito da descrizioni così vivide, la confusione nei confronti del comportamento dei familiari.
Ti ho già accennato della forte autocritica di Kafka nei confronti dei suoi scritti. Proprio per questo motivo diede il compito al suo grande amico Max Brod di bruciare ogni quaderno, alla sua morte. Brod, tuttavia, non diede ascolto a queste ultime volontà, e pubblicò postumo tutto ciò che poté, anche operando sui testi in modo arbitrario. Recenti riedizioni fortemente curate dal punto di vista bibliografico hanno ridato alle opere la loro forma originale.
La fuga di Brod in Israele, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, ha dato origine a delle problematiche legate al possesso degli scritti dell’autore boemo, che ancora non hanno trovato una completa risoluzione.
Franz Kafka in Italia
Non so te, iCrewer, ma io, fino a pochi giorni fa, ignoravo che Franz Kafka fosse stato più volte ospite nel nostro Paese. E invece lo visitò almeno tre volte!
La prima fu nel 1909 quando, dopo una vacanza a Riva del Garda con degli amici, si recò a Brescia come inviato del giornale Deutsche Zeitung Bohemia, per scrivere un reportage dell’evento aviatorio che lì ebbe luogo. Una vera novità per l’epoca, se si considera che il primo aereo aveva preso il volo solo sei anni prima. Qui conobbe personaggi come Gabriele D’Annunzio e Giacomo Puccini.
Poi, nel 1911, le guglie del duomo di Milano lo colpirono così tanto da entrare nel suo racconto Il processo (1925), mentre una descrizione dell’hotel in cui alloggiò si può ritrovare nel romanzo America (1927). A colpirlo sono sempre piccoli particolari: una torna di mele, i binari di un trenino giocattolo nella vetrina di un negozio.
E, infine, nel 1920 si recò a Merano, per curare la sua malattia. Annotazioni sul soggiorno compaiono tra le pagine del suo diario e nel celeberrimo Lettere a Milena (1958). Pernottò prima al Grand Hotel Emma, a cui preferì, poi, la pensione Ottoburg a Maia Bassa, che sentiva più adatta a lui.