Caro iCrewer per la nostra rubrica Autori in tasca ti presento:
Dario Fo, il giullare medievale che reinventò la parola
Dario Fo è morto, viva Dario Fo. Questo è quanto fu scritto da alcuni subito dopo che fu data la notizia della sua morte, avvenuta nella notte tra il 12 e il 13 ottobre 2016.
Una reazione più che naturale data la levatura del nostro personaggio, visto che come sempre la morte ne alimenta il mito, ne potenzia esaltando la personalità. Provocatore, dissacratore, giullare, anticonformista, sempre pronto a schierarsi politicamente.
Dario Fo è nato a Sangiano nel 1926.
Dopo gli studi all’Accademia di Brera e le prime prove di teatro cabaret, ha scritto e interpretato testi in cui si fondono felicemente umorismo paradossale, comicità da clown e satira politica. Proprio come un giullare ha usato il palcoscenico per far conoscere la verità; sebbene la verità sia sempre soggettiva e dipenda da quello che io ritengo essere vero, Dario Fo, in base alla sua esperienza di vita, alle conoscenze acquisite e alle scelte fatte, ha cercato di mostrare come si usava nel medioevo, quando l’ignoranza regnava sovrana, di far nascere nello spettatore la capacità di discernere dove può’ stare questa verità.
Era il guitto che grazie alla gioiosità e all’ingegno inventò il grammelot, una lingua che non ha vere parole o struttura grammaticale, ma che imita le parole e le strutture di varie altre lingue. Così troviamo parole che richiamano il suo dialetto lombardo, il francese, il veneto, il toscano, il piemontese, senza soluzione di continuità.
Magari, trattandosi di parole inventate al momento potevano risultare incomprensibili, e qui era la sua bravura nell’utilizzare la gestualità, che insieme al suo tono di voce, alla cadenza, al ritmo collegato alle azioni riusciva a farsi seguire dal pubblico. E lui era contento, la sua magia, sebbene camuffata da bofonchiamenti dai suoni incomprensibili, riusciva a far comprendere la satira sociale nascosta nelle parole, a far percepire il cambiamento degli stati d’animo dei personaggi.
Era il suo modo per reinventare e mettere in piazza la politica del mondo, l’alto e il basso, i miserabili, i potenti e gli sfruttati. E questo suo modo di recitare anticonformista gli procurò non poche noie in tutti gli ambiti.
Un’altra pedina importante in questo gioco di vita è stata sua moglie, Franca Rame, il grande amore della sua vita. Insieme hanno condiviso tutto, spettacoli, le imprese letterarie e politiche. Dolori, violenze, arresti, sgomberi, galera, le bombe nei teatri, la casa incendiata tanto che nessuno voleva più affittargliene un’altra, quaranta processi, e cosa ancor più tremenda, un dolore mai cancellato, la violenza carnale che la moglie subì nel 1973.
I suoi libri sono la materia prima che adopera per il teatro, eccone alcuni:
Quasi per caso una donna Mistero Buffo Settimo: ruba un po’ meno
Sono solo una piccola parte della sua produzione letteraria. Una mescolanza di cultura popolare, di papi tronfi e di popolani che sciocchi non sono, misteri medievali e parabole angeliche.
Un’altra cosa che ha fatto discutere il mondo è stata la sua nomination al premio Nobel per la letteratura, nel 1997.
In una intervista confessa che: “…durante i quarant’anni e più lavoro in teatro avevo già ricevuto numerosi premi, ma non avevo mai avuto la consapevolezza di ciò che concretamente significasse il Nobel. Fu un botto, un’esplosione, non soltanto per me, ma anche in Italia e in molti altri paesi. Della possibilità che lo vincessi se n’era già parlato una quindicina di anni prima e la notizia, all’epoca, era stata presa malissimo da vari autori tradizionali.
Qualcuno disse che il fatto di dare il Nobel a uno che fa l’attore, cioè a una persona il cui linguaggio è soprattutto legato alla gestualità e alla vocalità (e non importa che io avessi anche scritto più di settanta testi teatrali che circolavano da tempo per il mondo), poteva essere solo una boutade. Invece io sapevo che era tutto vero. In seguito la commissione svedese che attribuiva il premio fece marcia indietro: c’era stata una spiata giornalistica, il mio nome era stato pubblicato con troppo anticipo e quindi per il regolamento della giuria dei Nobel io dovevo essere fatto fuori.”
Il 9 ottobre 1997 riceveva a Stoccolma, dalle mani di del re Gustavo di Svezia, il premio con la seguente motivazione: “Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi.”
L’intero ammontare del premio in denaro, 1.650.000.000 di lire, fu devoluto interamente a favore dei disabili.
Non dimentichiamo anche la sua capacità nel dipingere; infatti tutti i suoi lavori teatrali sono frutto dell’immaginazione rappresentata dal disegno prima di essere trasferita sul palcoscenico, insomma una sorta di stimolo creativo al contrario. Tant’è che nel 1992 l’Accademia di Brera lo nomina Socio Onorario.
Nel libro postumo Il Barbarossa e la beffa di Alessandria, uscito nel 2017 edito da Guanda, Dario Fo scriveva “Se hai campato bene, la morte è la giusta conclusione della vita.”
«Io dalla vita ho avuto più di quello che chiedevo. Volevo fare il pittore e l’ho fatto, conoscendo i maggiori artisti. Volevo fare teatro e l’ho fatto con la soddisfazione di essere rappresentato in tutto il mondo. Volevo rompere le scatole e le ho rotte… Mi ritengo di una fortuna sfacciata».
Ed io mi inchino a quest’uomo citandoti una delle sue frasi che ritengo la più bella:
La vita è una meravigliosa occasione fugace da acciuffare al volo tuffandosi dentro in allegra Libertà
Continua a seguirci e buona lettura.