Ancora una volta Iperborea non si smentisce e pubblica un nuovo interessantissimo libro che finisce subito sulla mia lista di lettura. Addio, dello scrittore olandese Cees Nooteboom, si compone di trentatré brevi poesie che iniziano dalla domanda «la fine della fine, cosa poteva essere?».
Addio, di Cees Nooteboom
«In un tempo di smarrimento come quello che viviamo la poesia offre qualcosa che va oltre le vite di ciascuno, sa trasportarci in un luogo che sta più in alto della quotidianità. Compie questo strano e meraviglioso miracolo per cui da un punto molto personale sa portarci a sentimenti condivisi e universali.»
Un uomo in un giardino d’inverno: un fico spoglio, le oche del vicino, i sassi di un muro millenario, i cactus dagli strani nomi musicali con cui tesse da sempre un dialogo di sguardi, una nuvola grigio piombo che incombe come una minaccia, e il sorgere di una domanda: «la fine della fine, cosa poteva essere?» È dalla domanda sulla fine che ha inizio questo Addio, trentatré brevi poesie – un costante ritmo di tre quartine chiuse da un solitario verso finale come un accordo sospeso – quasi a evocare i canti di un’umana commedia che costantemente si ripete, un cammino nelle selve oscure dell’esistenza verso un inevitabile distacco.
I ricordi indelebili della guerra – soldati in ritirata, il padre in smoking sul lungomare, la madre accanto a quel futuro morto – si mescolano a creature spettrali che sembrano uscite da sogni malvagi e a persone reali amate e perdute: «l’amico morto senza poter più parlare» e l’altro «che sull’ultimo letto / tracciava con le mani un cerchio, / e voleva dire viaggio».
Le immagini spaziano dai bassifondi dell’evoluzione alle immensità del cosmo: «Che rumore fa la Terra / nella casa dello spazio?» La poesia nasce dal silenzio, e al silenzio aspira tornare. Come nella Sinfonia degli addii di Haydn, i suoni uno a uno si spengono, gli orchestrali se ne vanno. «Ho percorso la strada / più lunga, la strada senza un arrivo», scrive Nooteboom. Gli altri che camminavano con lui, amici, fratelli, amanti, sono scomparsi, se ne va l’airone solitario che seguiva la traccia «di ghiaia, di sabbia e / conchiglie in frantumi» che è quanto resta della sua vita, il desiderio lo abbandona, non sente più il suono dei suoi passi: nella grandissima quiete di quel sovrumano silenzio gli è dolce il naufragare.
Cees Nooteboom: scrittore, giornalista, poeta e viaggiatore
Sono rimasta davvero affascinata dalla storia di Cees Nooteboom.
Nato a L’Aia nel 1933, Cees Nooteboom non è solo uno scrittore e un giornalista olandese, ma un vero e proprio avventuriero. Le sue opere spaziano dalla poesia – com’è il libro Addio di cui ti ho parlato qui sopra – a lavori di narrativa, drammaturgia e cronache di viaggio.
Le sue avventure cominciano agli inizi degli anni cinquanta, quando decide di percorrere in autostop la penisola scandinava prima e la Francia meridionale poi. Non pago, poco dopo, si imbarca come mozzo su una nave diretta in Sud America. Il motivo? Si era innamorato di una ragazza! Non è fantastico?!
Il libro d’esordio di Cees Nooteboom si intitola Philip en de anderen e viene pubblicato nel 1955 (disponibile in italiano con il titolo di Philip e gli altri, grazie a Iperborea). Su queste pagine Cees Nooteboom condivide alcune impressioni che ha maturato durante questi primi viaggi on the road. Il racconto, uscito due anni prima di Sulla strada, di Jack Kerouac, anticipa quindi in qualche modo quella che poi sarà la Beat Generation.
La sua carriera di giornalista, invece, inizia nel 1956, dopo essersi stabilito ad Amsterdam e lo vede testimone di tre grandi avvenimenti nella storia europea l’invasione di Budapest (1956), la contestazione del Maggio francese (1968) e, infine, la caduta del muro di Berlino (1989).
Come avrai capito, sono rimasta affascinata soprattutto dalla sua natura raminga. Tantissime volte è stato chiesto a Cees Nooteboom qual è il motivo che lo spinge a viaggiare.
Nella sua raccolta di racconti di viaggio sull’America, Cees Nooteboom scrive che «l’obiettivo segreto di ogni viaggio è l’integrazione con gli abitanti del luogo. A New York non c’è bisogno di nulla per farlo: sei tu stesso il camouflage. Tra siriani, ebrei polacchi, maori, italiani e vichinghi, invece, non sei altro che un’altra ombra, un’altra frazione (…). E questo è qualcosa che sembra spaventare molte persone. Mentre a me eccita, anche se non so ancora esattamente il perché.»
E ancora, sul viaggiare, citando un filosofo arabo del XII secolo di nome Ibn al-Arabi, secondo cui un viaggio rivela i personaggi delle persone, Cees Nooteboom scrive «In un viaggio si conosce se stessi. (…) Forse il vero viaggiatore è sempre nell’occhio del ciclone. La tempesta è il mondo, l’occhio è quello con cui lo vede. Nell’occhio è tranquillo e chiunque si trovi in quel luogo può distinguere le cose che passano davanti alle persone che stanno a casa».
E i luoghi visitati da Cees Nooteboom sono davvero tanti (così come anche i suoi scritti). Vuoi sapere quali? Puoi vederli in questa mappa interattiva, presente sul sito del grande scrittore olandese.
Che ne dici, ti ho un po’ incuriosito a leggere qualche libro di Cees Nooteboom?