4 luglio 2006.
Esistono date che si fissano nelle nostre storie personali, quelle della nostra vita, e lì restano, per tutto il resto dei giorni che rimangono. Indelebili, vive e brillanti come i ricordi più belli da non cancellare mai.
Una di quelle date, per me, ma credo anche per molti altri italiani, è appunto il quattro luglio duemilasei, il giorno della semifinale mondiale a Dortmund, in Germania, contro i padroni di casa. Il giorno più bello di quella estate e di tutte le altre estati che nel corso degli anni, almeno fino ad oggi, si sono susseguite. (ma non dirlo a mia moglie, visto che ci siamo sposati in pieno agosto di qualche anno dopo :-)).
Del resto è impensabile soffermarsi sul 2006 senza iniziare parlando della competizione sportiva per eccellenza: i mondiali di calcio, che in quella occasione ci hanno visto trionfare salendo sul tetto del mondo la sera del 9 luglio a Berlino.
Facendo dei calcoli, nel 2006, io avevo ventisette anni, l’età ideale per vincere un mondiale. L’età in cui un giocatore raggiunge la perfetta maturità calcistica abbinata al fisico che ancora è al massimo della sua condizione. Un mondiale sì, vinto dai ragazzi allenati da Marcello Lippi, ma in realtà vinto da tutti noi tifosi che abbiamo riempito le strade e le piazze per notti intere di giubilo e caroselli.
Che ci devi fare, caro iCrewer, siamo un paese così, basato sul lavoro e sul gioco del calcio. Gioco che in queste occasioni, quelle legate alla nazionale, riesce nel grandioso intento di unire tutti in un grandissimo abbraccio; missione che spesso purtroppo fallisce davanti a motivazioni che meriterebbero ben più rispetto e valore del calcio. Ma è così.
2006: CAMPIONI DEL MONDO!
Tornando alla data con cui ho aperto l’articolo, quel magico 4 luglio 2006, ti chiedo di avere la pazienza di leggere la mia storia legata a quella serata, perché come detto, si tratta di una di quelle che non scorderò mai più.
La semifinale di un mondiale è uno di quegli eventi che non si può snobbare, in particolare modo per noi ragazzi di una generazione che non aveva ancora mai avuto grandi gioie azzurre: la beffa di Italia ’90, il rigore sbagliato da Roberto Baggio in america nel 1994 e la finale degli europei persa contro la Francia nel 2000, insomma tutti gli ingredienti per avere fame di vittoria e di gioia.
Avevamo, fino ad allora, sentito i nostri genitori parlare dei campioni dell’82 e del 4 a 3 alla Germania nel 1970, sentivamo il bisogno di avere i nostri ricordi legati alla manifestazione mondiale, in particolar modo quell’anno, dopo che l’estate era iniziata con la pagina più brutta della storia del nostro calcio, vale a dire Calciopoli.
Ligabue, che quell’anno andava alla grande con la sua canzone Happy Hour, uscita in realtà l’anno prima, in una sua canzone dice di credere che per l’uomo ci voglia un Dio, ma anche un bar, e mai come quella sera questi versi hanno trovato il giusto grado di verità. Infatti, ritrovo con tutti gli amici al solito bar, diventato negli anni una seconda casa, diventato quella sera una grande famiglia.
La partita, riassumendola velocemente, scorre bloccata sullo zero a zero per tutti i novanta minuti. Scorrono anche le birre sui nostri tavoli, le risate, la tensione, la bellezza di essere lì tutti insieme, in tantissimi, con un unico grande obbiettivo: battere i tedeschi e andare in finale! Ogni bambino, anche semplicemente nel giardino di casa, ogni volta che tira un calcio al pallone sogna di giocare la finale dei mondiali.
Arrivano i supplementari: io non posso più stare seduto, troppa agitazione. Anche perché da qualche minuto è entrato il mio idolo, Alex Del Piero. Un giocatore che ha da sempre un conto aperto con la nazionale e con tutti quelli che non hanno mai creduto in lui, nonostante una carriera stratosferica. Nel bar tutti sanno del mio amore per lui, e a ogni piccolo errore del numero sette di quella nazionale, mi arrivano brutte parole da ogni angolo, come se fossi io il talentuoso gioiello bianconero.
Segna Grosso. Esplode la gioia irrefrenabile.
La voce di quella partita, che quella sera ovviamente visto il grande caos non ci era per nulla pervenuta, nelle settimane successive, grazie alle repliche e alle continue visualizzazioni su Youtube, è entrata nella storia grazie alla telecronaca di Fabio Caressa e Beppe Bergomi, telecronisti Sky, che con il loro trasporto si sono ritagliati un posto nei cuori di tutti i tifosi.
Siamo avanti uno a zero, ma la partita è ancora lunga…
“Cannavaro! Cannavaro! Via il contropiede con Totti, dentro il pallone per Gilardino, Gilardino la può tenere anche vicino alla bandierina, cerca l’uno contro uno, Gilardino… dentro a Del Piero… Aleeeeeexxxx Deeeell Pieeeeero” e poi ancora “Chiudete le valigie, andiamo a Berlino, andiamo a Berlino, andiamo a Berlino Beppe!”
Queste frasi di Fabio Caressa, che riporto avendo ancora i brividi lungo la schiena a quattordici anni di distanza, sono poesia. Sono scritte nella storia come i versi di un grande letterato.
Subito dopo il gol di Del Piero, io mi sono ritrovato a correre in mutande, ripeto in mutande, per il bar. Non sapevo più chi ero, non sapevo più dove ero, né dove fossero i miei vestiti. Una gioia incredibile. Finalmente il riscatto, il mio riscatto nel nome di Alex, finalmente anche io, noi della nostra generazione, avevamo la nostra Italia Germania.
Dopo una sera, e una nottata così, va da sé che la gioia per la finale vinta contro la Francia, cinque giorni dopo, seppur enorme, non avrebbe mai potuto raggiungere un livello così alto.
Nel mese di Novembre di quell’anno, per Dalai Editore è uscito il libro Andiamo a Berlino proprio di Caressa, a dimostrazione che quella è stata una estate indimenticabile.
“Andiamo a Berlino” è l’urlo che ha scosso un estate meravigliosa troppo presto dimenticata. Ci sono voci che entrano nell’immaginario collettivo e si legano all’evento sportivo, ci sono commentatori che escono dal loro ruolo istituzionale e si trasformano nel megafono di emozioni di massa.
Fabio Caressa è arrivato al Mondiale di Germania con le stimmate del predestinato, del miglior telecronista del calcio italiano (così lo ha battezzato Aldo Grasso), ma pur sempre come voce di una nicchia, destinata solo agli abbonati alla televisione satellitare e non al vasto mare di telespettatori delle partite in chiaro. Questo è il diario del suo Mondiale, un racconto divertente ma anche pieno di retroscena che da casa abbiamo solo potuto immaginare.
La storia di un trionfo fatto di volontà e collettivo e di una voce che di quel collettivo è diventata la bandiera e vero fenomeno di costume, tanto che la sua telecronaca di Germania-Italia risulta tra le più scaricate dalla rete di sempre.
LE OLIMPIADI INVERNALI DI TORINO
Non solo il calcio, però, riuscì a farla da padrone nel 2006, in quanto nel mese di febbraio di quell’anno, si sono svolte le Olimpiadi Invernali proprio in Italia, per la precisione a Torino. Un evento internazionale di grande portata che ha acceso i riflettori sulla nostra nazione esaltandone la capacità nella organizzazione e nello spettacolo garantito.
Una edizione delle Olimpiadi che ricordo con piacere facendo i nomi di Enrico Fabris, che con i suoi pattini ci ha fatto davvero sognare, di Arianna Fontana, illustre collega di pattinaggio e del veterano Armin Zöggeler che con il suo slittino ha stabilito il record di essere diventato il primo atleta azzurro a vincere quattro medaglie in quattro olimpiadi consecutive.
Una edizione, che in realtà, ricordo per averci farci scoprire l’affascinante gioco del curling, quello sport che ricorda molto le bocce con i giocatori che con una scopa strofinano il ghiaccio per far scivolare più o meno velocemente la stone, quella simpatica teiera di pietra. Uno sport che ha generato molto entusiasmo, tanto che la nazionale è stata invitata sul palco di Sanremo durante il Festival. E tanto che il sottoscritto è andato anche a fare tre lezioni prova al palazzetto del ghiaccio di Milano, prima di capire che non era cosa per uno che l’equilibrio l’aveva dimenticato a casa.
Prima di chiudere questa lunga ma necessaria pagina sportiva, non posso non segnalare che il 3 settembre del 2006, appende la racchetta al chiodo uno dei più forti tennisti di tutti i tempi, colui che sicuramente ha contribuito a rendere il tennista un personaggio che va oltre il campo, sto parlando di Andre Agassi.
La sua autobiografia, uscita in Italia per Einaudi, è da considerarsi un bestseller della letteratura sportiva.
«Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta… Continuo a implorarmi di smettere e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto, tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio mi appare l’essenza della mia vita…»
2006: MUSICA, CINEMA E LETTERATURA
Diventa difficile, ora, dopo tutte queste emozioni rivissute e dopo tutte queste parole scritte, che sicuramente hanno impegnato la tua lettura, caro iCrewer, passare con un salto a piedi uniti nel mondo della cultura, imponendomi di essere sintetico ed essenziale.
Intanto, visto che parlando di curling ho citato Sanremo, è giusto ricordare che quell’anno a vincere fu Povia con la sua Vorrei avere il becco, come trovo giusto ricordare che quell’estate si ballava tutti al ritmo di World Hold On di Bob Sinclair, una delle mie canzoni da discoteca preferite, nonostante il mio non grande amore per quel genere di musica.
Genere preferito, il mio, che all’Eurovision del 2006 si prese una storica vittoria grazie ai finlandesi Lordi e alla loro incredibile Hard Rock Hallelujah, una canzone dalle forti tinte rock contornate da uno spettacolo decisamente trash che li ha resi in quegli anni dei veri idoli. Ho assistito a un loro concerto in un locale di Milano: spettacolare, sia per sonorità che per teatralità.
Anche se a dire il vero, la colonna sonora del 2006 è ancora una volta legata alle gloriose serate mondiali, quel po po po po popo divenuto un vero e proprio inno, preso dal brano Seven nation army dei The White Stripes suona ancora oggi nella nostra testa, così come la simpatica canzone celebrativa scritta da Checco Zalone che inneggiava a una squadra fortissimi fatta di gente fanstastici.
IL CINEMA
Anche per quanto riguarda il cinema, quella del 2006, è una annata straordinaria: escono Il diavolo veste Prada, classico intramontabile di cui già ampiamente abbiamo parlato, tratto dall’omonimo romanzo di Lauren Weisberger, Il codice Da Vinci, capolavoro di Ron Howard tratto dal romanzo di Dan Brown, Babel, Il labirinto del fauno, The Prestige, The departed e Cars, divenuto poi negli anni uno dei classici Disney meglio riusciti.
Ma i miei ricordi cinematografici sono tutti legati al clamore legato al nuovo capitolo della saga 007, Casinò Royale, uscito con una colonna incredibile in cui il compianto Chris Cornell cantava la sigla iniziale You Know my name, una straordinaria ballata rock.
Anche questo film era tratto da un romanzo di Ian Fleming, uscito nel 1953 e pubblicato per la prima volta in Italia nel 1958. Se il film segnava il debutto di Daniel Craig nei panni dell’agente segreto, il romanzo segnò la prima vera apparizione nel mondo della letteratura di James Bond.
Ti segnalo una edizione Adelphi del 2012:
Il 15 gennaio del 1952, quando si siede alla scrivania di Goldeneye, la sua villa in Giamaica, Ian Fleming non ha idea di cosa scriverà. Parte dal nome del suo personaggio, rubato a un allora celebre ornitologo, e dal ricordo di una partita a carte al Casino di Lisbona, nel 1941.
Il primo James Bond nasce così, ed è un romanzo molto diverso da come forse lo stesso Fleming amava raccontarlo. Le scene sono poche, non più di quattro, i veri personaggi anche meno. James Bond impareremo a conoscerlo meglio, perché qui è ancora nei panni – eleganti, spiritosi, crudeli – di Ian Fleming.
Ma l’abominevole Le Chiffre, e il suo occhio quasi bianco, non li dimenticheremo, come difficile sarà scordare la Bond Girl forse più letale, la sublime Vesper Lynd. Tutto dunque comincia da qui, dall’odore nauseante di un casinò alle tre del mattino. E la speranza è che duri il più a lungo possibile.
E i libri?
Beh, nel 2006 uscirono molti titoli che sono tornati alla ribalta in questo periodo, e che abbiamo trattato in alcuni nostri recenti articoli: Ho voglia di te, di Federico Moccia, seguito di Tre metri sopra il cielo, il romanzo da cui è stata tratta la serie Summertime , La cattedrale del mare di Idefonso Falcones, che in queste settimane sta avendo un grande successo nella sua trasposizione televisiva e Gomorra di Roberto Saviano, che negli anni successivi tra cinema e serie TV è diventato un vero e proprio cult.
Ultima citazione per Olive comprese di Andrea Vitali, uno degli autori che preferisco, in quanto legato al mio territorio, quello del lago di Como e del comasco. (territorio che nel 2006, tra l’altro, è salito alla ribalta della cronaca nazionale per la strage di Erba che ha visto come protagonisti i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi)
In questo romanzo i personaggi sono tanti. C’è per esempio il Crociati, un esperto cacciatore che non ne becca più uno. C’è Luigina Piovati, meglio nota come l’Uselànda (ovvero l’ornitologa…). C’è Eufrasia Sofistrà, in grado di leggere il destino suo e quello degli altri. C’è persino una vecchina svanita come una nuvoletta, che suona al pianoforte l’Internazionale mentre il Duce conquista il suo Impero africano… Ci sono soprattutto, ad animare la quiete di quegli anni sulle rive del lago, quattro gagà, che come i “Vitelloni” felliniani mettono a soqquadro il paese.
E c’è la sorella di uno di loro, la piccola, pallida, tenera Filzina, segretaria perfetta che nel tempo libero si dedica alle opere di carità e che, come molte eroine di Vitali, finirà per stupire. Ci sono naturalmente anche molti di quei caratteri che hanno fatto la loro comparsa nei precedenti romanzi: il prevosto, il maresciallo maggiore Ernesto Maccadò, il podestà e la sua consorte, Dilenia Settembrelli, la filanda con i suoi dirigenti e operai.
Hanno un ruolo importantissimo anche i gatti e i piccioni di Bellano, e si sentono la breva e la neve gelata che scendono dai monti della Valsassina e naturalmente si respira l’aria del lago.
Ti congedo, caro fedelissimo iCrewer, visto che sei arrivato fin qui nella lettura di questo viaggio personalissimo tra le gloriose serate del 2006, con il video di quel goal di cui sopra, sicuro che anche tu, riguardandolo, sentirai ancora una volta una emozione fortissima.