Giorno 1 Maggio del 1889 a Parigi, nasce la festa dei lavoratori…
… E il 1 Maggio 1890, l’Italia aderisce dando vita ad una mobilitazione generale dei lavoratori. Dopo la lunga e nera parentesi dell’era fascista, a guerra finita, il primo Maggio del 1947 vide, in Sicilia, la strage di Portella della Ginestra, località in provincia di Palermo. Undici morti e più di cinquanta feriti: braccianti e contadini massacrati non si sa bene da chi (o forse è scomodo saperlo), solo perchè manifestavano per la riconquistata libertà dal regime fascista. Una storia triste e ancora oscura a distanza di tanto tempo, una sorta di guerra tra poveri che segnò una pagina amara nella storia italiana.
[…] A lu primu d’ogni Maju,/ nni dda petra c’è raduni:/ ddu paroli pi spiranza/ pi cunzolu a li ddiuni…
[…] Ad ogni primo Maggio/ su quella pietra c’è raduno:/ due parole per la speranza/ per la consolazione di chi è affamato… […] (Purtedda da Ginestra di Ignazio Buttitta)
Così Ignazio Buttitta ricordava in versi quel lontano 1 Maggio, in un anno imprecisato del secolo scorso, dal palco, affabulando la folla che ascoltava incantata. Vastiano non sapeva niente di questa data. Vastiano era un operaio con le mani callose e la schiena rovinata dalla fatica, anche se non aveva ancora tanti anni. Vastiano una cosa sola sapeva di questa data: era la festa dei lavoratori. Era la sua festa.
Glielo avevano detto dai balconi, nei comizi. Lo dicevano quelli che avevano studiato. Loro parlavano di diritti, di giusto salario, di 8 ore di lavoro e non di 12 come volevano i padroni. Vastiano ascoltava e pensava. Pensava che quelli avevano ragione, dicevano il giusto dai balconi, dai palchi, nei comizi e nelle piazze: gli operai arricchiscono i padroni e sono trattati come carne da macello, come bestie da soma, senza diritti, senza riposo, per 4 soldi, solo per il pane.
Il Vangelo comunista dell’1 Maggio
Vastiano diventò comunista. Amò le bandiere rosse che gli ricordavano il sangue di Cristo, rosso come il suo. Come quello uscito dalle ferite sulla sua schiena, il giorno che aveva provato a scappare da un lavoro troppo duro per i suoi pochi anni. Il padrone lo aveva frustato: in quel disperato ventennio nero chi non voleva piegare il capo, chi cercava il suo riscatto, soccombeva. E Vastiano amò il rosso, quel rosso che abbracciava e consolava da quel nero colore di camicie e bandiere di sangue, di sudore e di umiliazioni.
Abbracciò quella fede che parlava di diritti e uguaglianza, di rispetto del lavoro, di dignità degli operai, di giusta retribuzione e di diritto al riposo. La sua schiena lo chiedeva, le sue mani ne avevano bisogno, la sua giovane età lo urlava, la sua dignità di uomo lo reclamava: meriti un trattamento migliore, il tuo lavoro, la tua fatica meritano un trattamento migliore. Tu sei uguale al tuo padrone, lui ha in più solo il potere del capitale.
Diventò comunista per questo Vastiano e quella fede la portò con sé fino alla tomba. Era come il Vangelo, parlava di fratellanza e giustizia, parlava di uguaglianza e bene comune. E seppe trasmetterla a sua figlia. Perché poi si sposò ed ebbe una figlia, Vastiano: una bimba vivace, tutta occhi e domande che lui rintuzzava come poteva, con il poco che sapeva. Portava con sé quella bimba, la portava ai comizi, la portava a vedere i poeti che parlavano in piazza e anche loro avevano parole che accendevano i cuori. Anche loro, i poeti parlavano di giustizia e di diritti e usavano parole belle, parole che arrivavano dritte al cuore e alla pancia e li mettevano in subbuglio.
Braccianti,/ cumpagni,/ òmini e fimmini, arrivò u pueta;/ vi purtau a virità nte chianti di manu,/ pigghiativilla./ A virità leva a siti,/ allarga u cori;/ grapi strati e passaggi/ e nzigna a via da libirtà,/ nun va scurdati./ […]
Braccianti,/ compagni,/ uomini e donne, è arrivato il poeta;/ vi ha portato la verità sui palmi delle mani, / prendetevela./ La verità toglie la sete,/ allarga il cuore;/ apre strade e passaggi/ e insegna la via della libertà,/ non dimenticatelo./ […]. (U pueta nta chiazza, Ignazio Buttitta)
Vastiano non sapeva raccontare alla sua bimba quelle parole per questo la portava con sé, voleva che sentisse, che sapesse, che ascoltasse e facesse diventare sue quelle parole. Voleva che parlassero al cuore e alla pancia della sua bambina perché lei non subisse da grande, non piegasse mai la schiena, non si rovinasse mai con un lavoro sfruttato quelle piccole mani, strette fra i calli delle sue.
[…] Un omu acquista meritu/ e cancia sorti e distinu/ si sfascia a porta da menti/ e ci fa tràsiri u suli/ c’asciuca l’umitu da gnuranza./ […]
Un uomo acquista merito/ e cambia sorte e destino/ se rompe la porta della sua mente/ e fa entrare il sole/ che asciuga l’umidità dell’ignoranza./ […] (U pueta nta chiazza, Ignazio Buttitta)
Era ignorante Vastiano, a scuola non era potuto andare, doveva lavorare. Nella sua casa c’erano bocche più piccole della sua, più piccole dei suoi nove anni e volevano pane: le sue braccia bambine potevano portarne un po’ al posto di quelle paterne, assenti per la guerra. Quel 1 Maggio festa del lavoro, poté conoscerlo solo da grande, quando l’eco di Bandiera rossa, assieme al colore rosso sangue delle bandiere al vento, arrivò nelle campagne siciliane a svegliare il sonno di secoli di sopraffazione e baronato. E poi arrivarono anche i poeti a festeggiare il lavoro, in piazza il primo Maggio e lui andava, ascoltava e li amava e portava la sua bimba ad imparare, ad ascoltare, ad amarli come lui.
Tuttu lu munnu oggi ti saluta/ e ti fisteggia maggiu aggluriusu!/ Taci l’officina e resta muta/ e lu cummerciu e lu travagghiu è chiusu./
L’1 Maggio era festa grande per Vastiano. Anche quando i sacrifici e il lavoro di una vita, erano diventati pensione. In quel giorno l’antica passione si svegliava e la figlia, ormai cresciuta, la leggeva nei suoi occhi. Vedeva lei, divenuta donna, l’antico fervore, la passione mai sopita per la giustizia, quella fiamma sempre accesa, alimentata dai ricordi dolorosi per le ingiustizie subite. E capiva, quella figlia, che il dolore può cambiare un uomo, può incattivirlo e renderlo aguzzino a sua volta, se ne ha l’opportunità. Oppure può elevarlo, renderlo sensibile, migliore e pronto a tendere una mano a chiunque. Così era Vastiano: generoso e sensibile.
Continuava forse ad ignorare il perché di quella data, perché quel 1 Maggio: Vastiano sapeva soltanto che era la sua festa, sua e di quelli come lui che avevano lavorato con la schiena curva e le mani callose fin da piccoli. Buttando sangue rosso come quello di Cristo sulla croce.
Una dedica per l’1 Maggio
A lui e a quelli come lui che ancora oggi sono sfruttati e massacrati da nuovi padroni dedico oggi, 1 Maggio, questo pensiero, perché ancora oggi, come cinquanta, sessanta o un secolo fa il lavoro continua a restare debitore nei confronti di uomini, donne e bambini di qualsiasi razza, di qualsiasi colore, in qualsiasi angolo di mondo.
Ancora gambe di bambini tremano/ sotto il peso eccessivo del lavoro/ e il lavoro continua a restare/ debitore nei confronti di molti uomini/ e molta gente continua a riempire/ treni di valigie e speranze/ e troppe madri piangono figli lontani/ cupidamente falciati dal capitale/ mentre uomini vecchi montano/ questo nuovo anno.
(Ancora, da Nebrodiversi, Filippo Giordano)
E ancora oggi il lavoro manca e quando c’è molte volte diventa sfruttamento, le persone che non hanno scelta devono sempre abbassare la fronte e dire signorsì, perché devono portare il pane a casa , poco e’ cambiato e quello che si era conquistato col sangue dei lavoratori uccisi, troppe volte è messo sotto i piedi, Crisi, lavoro nero, ogni scusa è buona per riempire le tasche di chi ha il capitale e umiliare chi deve portare la spesa per la famiglia .
Grazie per il tuo commento Sandra. ♥️
Grazie a te