Il talento… si è o si ha?
L’articolo, in questione, amici di iCrewPlay, è una riflessione molto approfondita di Alessandro D’Avenia sul talento, uno status che, già da tempo, riempie, non solo pagine di articoli di carta stampata, ma ingurgita spazi notevoli, soprattutto nel mezzo televisivo. Tuttavia, per una personale impostazione didattica (il mio prof. di filosofia era il prediletto di Benedetto Croce pensate un po’) è mia abitudine fare l’etimologia della parola, prima che di questa si faccia la traduzione e, se si rimanda a un qualsiasi vocabolario, in questo caso quello latino o addirittura greco farebbe al nostro caso, ci accorgeremmo come il significato arcaico della parola, si identifichi con più significati “il desiderio di essere qualcosa in più”, o “volere qualcosa in più”, “essere predisposto con amore”, “venire alla luce.”
Come primo risultato di ricerca, senza dubbio, potremmo appagare un buona percentuale di acculturati o addirittura estimatori di questa parola, ma affrontando meglio il discorso sull’uso e, aggiungo, abuso della stessa, ritengo che il concetto, con il tempo, sia stato travisato. Il vero problema, a mio avviso, è la ferma volontà di molti di far coincidere con il talento il raggiungimento di obiettivi che non sono dettati da personali motivazioni o da reali attitudini, ma decisi e acclamati da chi ritiene di avere competenze universali per certificarne la presenza o meno. Il problema sorge quando da questi non viene riconosciuta… Il per me è un no! quindi, si trasforma nella consapevolezza del proprio fallimento, nella certezza di non riuscire ad essere ciò che si pensava, di non essere in grado di dare…
Come afferma D’Avenia, “Il talento va a braccetto con show: qualcosa che è acerbo da dare in pasto al pubblico”. In altre parole, il diventare qualcuno dipende ormai dal tempo della ribalta che gli viene concesso. A dettare legge, non è la cultura del coltivare, portare alla luce il talento, bensì è l’indice di gradimento (il famoso audience) e le pseudo regole legate a format scolastici, creati per certificare, in qualche modo, l’essere che appare talentuoso. A complicare le idee, a mio avviso, l’eccessiva spettacolarizzazione dei format, creati per produrre personaggi da commercializzare, una scuola per imparare a diventare più che coltivare attitudini che avrebbero necessità di tempo per essere sviluppati.
Insomma un’estrema e forzata ricerca dell’ X FACTOR come alibi per coprire strategie commerciali che niente hanno a che fare con il talento. Lo conferma il numero considerevole di meteore che, nonostante il momento di gloria, hanno dovuto fare i conti con una realtà ben diversa e magari accorgersi di essere diventate ciò che non potevano essere. E allora, come scrive D’Avenia, chiediamoci se avevano talento da vendere o per vendere!
La risposta, secondo lo scrittore, risiede nella consapevolezza che le capacità non coincidono con il talento ma con ciò che la vita stessa ti offre, è ciò che è già insito nell’uomo perché ricevuto dalla vita. Il talento, in fondo, è la vita stessa di ognuno di noi, ed il buon educatore è colui che comprende le capacità di un individuo e lo aiuta ad accrescerle per diventare padrone di se stesso.
Sono d’accordo con D’Avenia quando scrive che, in definitiva, il talento è la vita che si svela a noi nel tempo, una vita aperta agli orizzonti, con animo puro, capace di amare e quindi capace di creare perché è votato a darsi.
Crea chi fa crescere la vita, chi ama,
come un educatore ama i suoi alunni,
il padre i propri figli, il marito la
moglie.
Il talento è quindi ciò che possiamo creare con le nostre mani ogni giorno, liberi di poterlo gestire e moltiplicare con amore ma anche di sotterrarlo se ne siamo indifferenti.
Chiude D’Avenia
“Il vero Talento è in fondo, la vita che viviamo ogni giorno, e in questa vita c’è sempre qualcosa da dare, di cui sentirsi ricchi, l’importante è rimanere aperti e riviverlo ogni giorno per moltiplicarlo a tutti i costi. Solo cosi, nel poema di ogni vita, tutto diventa vero e viene alla luce!”
Biografia
Alessandro D’Avenia nasce il 2 maggio del 1977 a Palermo, terzo di sei figli di Giuseppe e Rita. Nel 1990 si iscrive al liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo, dove ha modo di conoscere padre Pino Puglisi, insegnante di religione in quella scuola, da cui è profondamente affascinato.
Ottenuto il diploma, si trasferisce a Roma per frequentare il corso di laurea di lettere classiche alla Sapienza, prima di vincere un dottorato di ricerca a Siena concluso nel 2004 con la realizzazione di una tesi dedicata alle sirene omeriche e alla loro relazione con le Muse.
L’insegnamento
Nel frattempo Alessandro D’Avenia inizia a insegnare alle scuole medie, per poi frequentare la scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario ed essere assunto al Collegio San Carlo di Milano.
Dopo aver fondato una compagnia teatrale amatoriale, nel 2006 a Milano frequenta un master in produzione cinematografica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Gli anni 2010
Nel 2010, dopo essere stato sceneggiatore di una serie per la Disney, pubblica il suo primo romanzo, che nel giro di breve tempo diventa un successo di livello internazionale, con più di un milione di copie vendute e traduzioni in oltre venti Paesi.
Il libro di Alessandro D’Avenia – che diventerà poi anche un film – intitolato “Bianca come il latte, rossa come il sangue“, si ispira a una storia realmente successa, con protagonista una ragazza malata di leucemia (e poi morta) che frequentava un liceo di Roma in cui D’Avenia lavorava come supplente. La vicenda è narrata in prima persona da un ragazzo di sedici anni di nome Leo, innamorato della protagonista.Nel novembre del 2011 D’Avenia dà alle stampe il suo secondo libro, “Cose che nessuno sa“, edito come il predecessore da Mondadori. Anche questo viene tradotto all’estero.
La collaborazione con i giornali e le sceneggiature
Divenuto collaboratore di alcuni quotidiani come “La Stampa” e “Avvenire”, a partire dal 2011 l’autore e docente siciliano si cimenta nella sceneggiatura del film ispirato a “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, prodotto da Rai Cinema, che viene distribuito nelle sale nell’aprile del 2013.
Nell’ottobre dell’anno successivo Alessandro D’Avenia pubblica “Ciò che inferno non è“, il suo terzo romanzo. Il 31 ottobre del 2016 è la volta de “L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita“, prima opera di saggistica, che in seguito viene trasposta anche a teatro.
Un anno più tardi, il 31 ottobre del 2017 D’Avenia dà alle stampe “Ogni storia è una storia d’amore“, il suo quinto libro, che ripercorre oltre trenta storie d’amore famose della letteratura. Nel gennaio del 2018 intraprende una collaborazione con il “Corriere della Sera“, curando una rubrica sul giornale milanese.