Una pausa obbligata mi induce a riflettere su un fenomeno che coinvolge, grossomodo, tutti noi: è così, per caso che il Visto di punta di oggi ha trovato il suo argomento, i social e la loro influenza sul quotidiano. Come sai questa rubrica dal nome insolito, si pone l’obiettivo di osservare eventi e circostanze da uno scomodo punto di vista e osservando vorrebbe indurre a riflettere e riflettendo vorrebbe stimolare discussioni interessanti da approfondire. O almeno, sarebbero queste le intenzioni. E il condizionale è d’obbligo.
È indubbio, i social hanno cambiato la nostra vita, il modo di relazionarci e persino i rapporti umani.
Costretta da una sosta nella sala d’aspetto di un centro medico, seduta in poltrona paziente io stessa, fra pazienti poco pazienti e un po’ annoiati dall’attesa. Sette persone, dieci telefonini. E sì, perché a qualcuno uno solo non basta più. Tutti concentrati sullo schermo, tutti immersi fra link e post delle varie pagine social, me compresa che tra un’occhiata attorno e una allo schermo, medito e vago con i pensieri dalla punta di un ipotetico angolo, in una qualsiasi sala d’aspetto.
Rifletto e constato che la socialità, i normali rapporti umani, le chiacchiere anche inutili se vogliamo, nelle sale d’attesa non ci sono più. Tra le distanze imposte dal covid e i visi seminascosti dalle inevitabili mascherine, non ci si guarda neanche, altro che dialoghi e conversazioni come avveniva in un passato neppure tanto remoto.
Regna il silenzio: parlano soltanto le pagine social dentro le cuffie rigorosamente a portata di canale auricolare. Solo ogni tanto una qualche musichetta, adottata a suoneria, si alza da quell’aggeggio elettronico, diventato ormai appendice di cui sembra non si possa più fare a meno. Il tempo di un movimento d’occhi e uno sguardo furtivamente incuriosito per capirne la provenienza, poi subito si ritorna a quel rettangolo luminoso stretto fra le mani che cattura e catalizza l’attenzione.
Penso che, sì, effettivamente ci siamo già geneticamente modificati: da homo sapiens sapiens ad homo digitalis/social. E dal cambio l’umanità non è che ci stia guadagnando molto.
Croce e delizia dell’era digitale, i social hanno ormai decisamente cambiato il modo di comunicare tra individui di tutte le età. Se inizialmente sono stati i ragazzi ad occuparne le varie piattaforme, in seguito anche noi adulti poco avvezzi e poco esperti, ci siamo adattati ed aggiornati: un po’ per curiosità, un po’ per necessità, i social hanno invaso ogni fascia generazionale senza risparmiare proprio nessuno.
Sulle piattaforme social si lavora, si comunica, si condivide…
Il fenomeno social ha assunto dimensioni enormi con la pandemia che ormai da due anni imperversa sul pianeta e tutto sommato, considerate le restrizioni per evitare il dilagare dei contagi, ha contribuito a rendere possibili le interazioni e le comunicazioni. È vivissimo il ricordo delle dirette social che hanno consentito di partecipare ad eventi di vario tipo. Per non parlare della didattica a distanza o dello smart working.
Connessi di tutto il mondo uniamoci si potrebbe dire ma, paradossalmente, spesso succede il contrario. Letteralmente invasi da immagini postate da ogni angolo del globo, spesso, si scorre lo schermo del cellulare senza neanche prestare attenzione a ciò che si vede. È solo un rincorrersi di figure e figuri che tengono impegnati gli occhi e annebbiano i pensieri. Forse non si pensa neanche più. Forse non occorre più pensare.
Tra l’ormai vecchio Face Book, decisamente soppiantato da Instagram e da Tik-Tok, social più giovani ed incisivi limitati da una sola regola: poche parole espresse in video. Tutti i messaggi affidati alle immagini, come se scrivere o leggere fosse diventato superfluo, quasi una perdita di tempo. E non sempre le immagi di Instagram o di Tik-Tok sono propositive o interessanti, anzi spesso si assiste alla più becera cretineria, quando non si tratta di vero e proprio odio telematico.
Social come Instagram o Tik-Tok hanno visto crescere la loro popolarità soprattutto fra i più giovani che considerano Face Book ormai superato, roba per vecchi insomma.
La comunicazione quindi, è diventata meno parlata, meno scritta e molto di immagine. Si comunica per immagini, si fa arte per immagini, si fa letteratura e cultura in genere per immagini. Sembra quasi che un popolo di gente che ormai non legge più, non possa fare a meno di video e affini per accrescere la propria cultura in senso lato.
La creatività, le emozioni, i sentimenti espressi attraverso le immagini o i video sembrano quasi abbiano cambiato modalità di essere espressi: sono più diretti, arrivano prima e fanno risparmiare il tempo che necessita per la lettura di una notizia, di una pagina di prosa o poesia. Tempo risparmiato per cosa? Solo per passare ad altro scorrendo il dito sullo schermo, per poi dimenticare totalmente tutto.
Per assurdo, si potrebbe pensare che l’evoluzione umana si stia traducendo in una quasi involuzione: dalla civiltà della parola scritta, ci si direziona verso la civiltà delle immagini (gli uomini delle caverne comunicavano così, sigh!) con la differenza che, in un surplus di stimoli visivi ed uditivi, si rischia di vedere senza guardare, di guardare senza capire e di sentire senza ascoltare: un’infinità di immagini e logorroiche parole che finiscono per perdersi nel nulla.
Da questa scomoda postazione di punta, a fine riflessione mentre arriva il mio turno di seduta medica, mi risuonano quanto mai vere le profetiche, forse anche un po’ dure ma reali, parole di Umberto Eco:
I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.