Che la poesia sia uno dei mezzi che consentono allo spirito di elevarsi, Veronica Uras, autrice di In punta di ali, sembra averlo sperimentato. Non è la sola. Lo sperimenta chiunque nutre la sua anima masticando versi e affini.
È un altro modo di percepire la realtà la poesia, un altro modo per raccontarla, un altro modo per dare voce a ciò che voce non ha, ma che c’è e si cela negli angoli più nascosti dell’anima.
Saper scrivere versi è un dono in più, è un valore aggiunto che non tutti possiedono: perché osservare la realtà circostante o le pieghe della propria anima e saper trovare parole da ricamare con l’inchiostro, appartiene soltanto a chi sa vedere oltre le apparenze, a chi trova relazioni inedite fra la normalità delle cose circostanti e il proprio sentire.
Per questo non è facile fare vera poesia. Sono pochi, fra coloro che scrivono versi, i veri poeti. I veri poeti sono quelli che si scavano dentro e trovano connessioni come fili invisibili a legare ciò che non è legabile. Certo potrai pensare che sono di parte… Prova a riflettere e non mi darai torto.
È pure vero però che la linea di demarcazione fra poesia e non-poesia non sempre è netta. Spesso dipende dal sentire soggettivo, dai gusti, dal proprio vissuto, dalla propria interiorità e non ultimo, anzi direi quasi primo, dalla propria cultura letteraria. Se si pensa che scrivere in versi sia facile si commette un errore grossolano perché, come spesso affermo, non basta andare spesso a capo per fare poesia.
Con questa necessaria premessa mi accingo a tentare un’analisi su In punta di ali di Veronica Uras: una piccola raccolta di sole 21 pagine, pubblicata nel gennaio 2017 da Elison Publishing.
Potrei riassumere in poche parole lo stile di Veronica Uras: semplice, facilmente leggibile e quasi discorsivo. I concetti espressi sono lineari e percepibili senza difficoltà e trasmettono una non trascurabile carica emotiva unita alla forza interiore che l’autrice lascia trasparire nei suoi versi.
Eppure, leggendo In punta di ali ho avuto l’impressione che Veronica Uras dietro l’apparente forza di certi brani nasconda, forse pure a se stessa, una fragilità che emerge, non detta, fra le righe. È la fragilità di chi probabilmente ha conosciuto il dolore, ne è stata segnata ma ha imparato a guardare oltre.
[…] il rumore sordo della lontananza,/ che se è possibile, ti ha reso migliore,/ cambia gli occhi,/ la pelle si stacca,/ la corazza scompare,/ rimangono i frammenti,/ il peso di ciò che sei…[…]
Da un punto di vista strettamente tecnico l’autrice non adopera metrica: i suoi versi sono liberi nel vero senso della parola, in quanto non seguono nessuno schema e non hanno neanche titolo. Una scelta anche questa che Veronica Uras compie per ribadire il concetto di volo e quindi di libertà?
Altra nota strettamente tecnica è la disomogeneità: il filo conduttore che regge tutta la raccolta, la libertà interiore, appare a sprazzi inframmezzato da altre tematiche. La mancanza di titoli se da un lato rimarca la scelta di libertà che Veronica Uras rivendica, quella cioè di voler esser scevra anche da vincoli stilistici, scelta che il lettore intuisce da quanto l’autrice afferma riferendosi alla punteggiatura (il concetto può ovviamente essere esteso ad altro): La punteggiatura,/ è limitante, definitiva, precisa, noiosa./ […], dall’altro lato può disorientare il lettore.
I titoli nei testi hanno la loro bella importanza a mio avviso, in quanto anticipano l’argomento della poesia che si ha davanti e predispongono il lettore ad una lettura più consapevole. Non a caso una famosa corrente poetica, l’Ermetismo, ha fatto del titolo parte integrante del testo di ogni poesia… E ne abbiamo esempi illustri che non è il caso di citare qui, per ovvi motivi di spazio.
Veronica Uras, In punta di ali, di penna e di libertà
Ignora il pensiero altrui o non sarai mai libero./ Abbi comprensione per gli errori./ Abbi comprensione per gli errori./ Non mettere sempre prima il dovere del piacere./ Percepisci tutto sotto le dita./ Cancella orari fissi e programmi./ Aggrappati, siedi sul bordo…[…]
[…] E a chi pensa di sapere chi sei tralasciando/ dettagli, sfumature e confusione, lascia l’illusione e prendi la/ certezza di sapere che non esiste un cassetto in cui puoi/ essere inserito/ ma solo la varietà imperfetta di quello che sei./
Il brano che hai appena letto, è emblematico del pensiero di Veronica Uras: un pensiero che non si lascia condizionare né schematizzare o ingabbiare. L’affermazione ignora il pensiero altrui o non sarai mai libero è infatti esplicativa del desiderio di libertà e della precisa volontà dell’autrice di affermarlo su tutto.
Veronica Uras non si cura o sembra non curarsi neanche di eventuali (pre)giudizi espressi da chi non coglie dettagli, sfumature e confusione e ribadisce con forza il diritto di non essere inserita in un cassetto, in quanto non esiste contenitore o gabbia che possa rinchiudere la varietà imperfetta di un’anima che ambisce a librarsi in volo.
È un messaggio chiaro quello che lancia Veronica Uras dalle pagine di In punta di ali, un messaggio espresso con forza e quasi con sfida, come si può capire da quanto letto sopra. Un messaggio che, a mio avviso, se da un lato arriva diretto al lettore, dall’altro può lasciare qualche perplessità proprio per l’eccessiva sicurezza che l’autrice sembra mostrare.
Veronica Uras fra le righe
Quando si legge una raccolta di poesie si deve saper leggere anche tra le righe…
È proprio così caro lettore: chi scrive versi sa spesso nascondersi fra le parole, anche quando ciò che scrive è semplice e diretto come nel caso di Veronica Uras. C’è sempre un non detto, voluto o non voluto fra le righe. Lo afferma anche la nostra autrice quando scrive:
Ci sono persone che combaciano con i tuoi confini senza sfiorarli,/ sono presenti in quello di cui ti nutri,/ a loro mostri la confusione della stanza e dell’anima.
Sono quelle persone che vedono le tue ferite invisibili,/ sentono le cicatrici con la punta delle dita,/ senza toccarti.
È la sensibilità di chi legge che coglie e sente le cicatrici, senza toccarti. Quella stessa sensibilità fa affermare a Veronica Uras che ci sono persone che combaciano con i tuoi confini: in questo scambio si realizza il fine ultimo della poesia. Dall’autore al lettore attraverso versi scritti con l’inchiostro dell’anima.
Per finire mi sembra onesto affermare che in certi passaggi, In punta di ali di Veronica Uras appare più come un dialogo interiore, una riflessione quasi prosaica sulla concezione di libertà, rivendicata con forza ed impeto.
Forse e dico forse perché non conosco l’autrice, dipende dalla sua giovane età la sensazione che ho avuto di una scrittura poetica ancora acerba e non perfettamente realizzata? Non mancano tuttavia, ad onor del vero, sprazzi poetici e versi densi di poesia che potrebbe diventare ancora più pregnante con l’esercizio e la maturità che smussa gli spigoli e regala un’altra e più ampia visuale.
Non sono riuscita a trovare informazioni più dettagliate su Veronica Uras, spero di presentartela in un’intervista per la nostra rubrica Sogni di carta che, come sai, si pone l’obiettivo di conoscere da vicino gli autori trattati.