Thelmabeth è un romanzo di Piero Iiriti ed edito dal Gruppo Albatros Il Filo.
Un libro particolare che ti condurrà all’interno di un viaggio.
Thelmabeth: un libro che è un continuo viaggio nella mente del protagonista
Trevien è il protagonista di questo libro. Assieme a lui troviamo Lexio, il suo sodale, ma anche numerosi altri amici che entrano ed escono dalle storie narrate da Trevien. Amici che condividono con lui la passione per l’alcol, facendo uso di tanto in tanto di sostanze stupefacenti, sempre alla ricerca di locali dove potersi divertire nella speranza di trascorrere delle serate davvero da sballo.
Trevien è un giovane ragazzo che lavora e che la sera ama divertirsi facendo le ore piccole, sebbene il giorno seguente debba alzarsi presto. Questi ci condurrà in una sorta di viaggio, ci narrerà sprazzi ed episodi della sua vita, lo farà in modo alle volte grottesco, tanto da sembrarti surreale – e forse, in fondo, lo è – ciò che egli stesso ci racconta.
«Sono un macchinista, guido treni merci, il resto delle ore lo dedico all’ozio ed al diletto, mi dispiace, non sono interessato al vostro programma.»
Anche la cover, a mio avviso, composta da tutte queste immagini che si sovrappongono, rispecchia ciò di cui ci parla il libro.
Il testo si compone di tredici capitoli ognuno dei quali ci narra aspetti ed episodi della vita del giovane protagonista.
La narrazione è in prima persona ed è ritmica, ciò è dovuto dal fatto che ogni capitolo, appunto, ci espone un qualcosa diverso, non si segue una logica temporale, l’autore ci rende partecipi degli eventi della sua vita, accaduti in momenti diversi.
Ho riscontrato, quanto meno nella versione e-book da me letta, parecchi refusi e talvolta anche degli errori. Ad esempio, qualche spazio di troppo o, al contrario, qualche spazio che manca, o ancora la virgola frapposta tra il soggetto e il predicato, ancora l’articolo determinativo un che spesso mancava dell’apostrofo quando seguiva delle parole al femminile.
Tutto ciò, a mio modesto avviso, è sembrato cozzare in maniera lampante con il modo di scrivere dell’autore così forbito, ricercato e che vede l’uso di termini che non si palesano come comuni.
In taluni punti, addirittura, l’autore fa uso della lingua antica, che veniva parlata un tempo, fatta di termini altisonanti e musicali
«Povere loro, non potevano più deriderla per il suo sembrar caduca. Videro una bellezza che nemmeno la summa della loro poteva eguagliare. E l’avrebbero invidiata per gli infiniti eoni della loro immortalità.»
Le espressioni, le parole utilizzate sono forti e dirette, non si lesina l’uso di brutte parole, o anche riferimenti ad aspetti sessuali espliciti.
Tuttavia, durante la lettura, alle volte, mi è capitato di non comprendere bene il passaggio da una scena all’altra.
Telmabeth: Trevien il ragazzo destinato a vivere più vite
Trevien è un ragazzo che quando dice di avere sete, intende dire che ha voglia di andare in un bar a bere degli alcolici e diciamo che ci va giù anche pesante.
Egli, oltre che all’interno della sua vita, ci porta anche dentro la sua mente, e ai viaggi che compie: itinerari che possono far sì che il ragazzo si ritrovi in epoche diverse, o innanzi a situazioni perigliose o che hanno un che di grottesco tanto da sembrare davvero onirici
«Una donna, con una civetta sulle spalle, poggiava il suo piede destro sulla testa di un uomo sdraiato sul terreno mentre lei era pronta nell’atto di conficcare la sua lancia sullo sconfitto.
Puntai l’uscita, non protetta da nulla, e tanto fu lo sgomento nel non essermi reso conto nei primi istanti dopo il rinvenimento, che vi erano disseminati sul pavimento alcuni scalpi umani da cui fluivano piccoli rivoletti di sangue.»
Il libro narra una storia interessante, ti trovi dinanzi questo ragazzo, molto giovane, alla vita che conduce e di tuttele altre vite che ritiene di dover vivere, quindi la storia in sé è anche piacevole.
Tasto dolente, quanto meno per la sottoscritta, è l’uso di un linguaggio che vede delle imprecazioni che vanno al di là di quelle che possono essere solo delle brutte parole. Ora, lungi da me dal voler qui intavolare una discussione religiosa sul tema, se sia giusto o meno, se ci si possa passare sopra o no, e a scanso di voler apparire una puritana bigotta, voglio solo esprimere il mio modesto parere.
Personalmente, non lo trovo giusto. Per me è stato un forte impatto imbattermi così d’emblée e nel bel mezzo della lettura in una simile imprecazione.
Posso comprendere che questo rientri nel modo di essere del protagonista, così come costruito dall’autore, posso anche supporre che il nostro autore lo abbia fatto in modo, come dire, provocatorio, come a voler dimostrare qualcosa o suscitare delle reazioni, ma io non riesco a tollerarlo.
Qualsiasi sia il personaggio, anche il più truculento, a mio avviso non giustifica l’uso di tale terminologia in un’opera. D’altro canto, sappiamo bene che quando situazioni del genere si sono verificate sul piccolo schermo, colui che si è reso autore di ciò non è rimasto esente da conseguenze.
Non tutti possono apprezzare di riscontrare simili espressioni in un libro. Una scelta dell’autore, certo, che però potrebbe, come detto, non piacere a tutti.
Ciò che traspare da questo libro, inoltre, è la forte amicizia che lega Trevien e Lexio, ma anche fra tutti gli amici che fanno parte della compagnia. Si sostengono, si difendono, si spalleggiano e insieme sono pronti a vivere qualsiasi tipo di avventura, realistica o immaginaria che sia.
Questa è la storia di Trevien, dei suoi viaggi e dei suoi amici.
«Insomma dopo l’abbandono dei miei sensi riapro gli occhi, ma la mia vista è annebbiata e tutto mi sembra cangiante, mi sento sospeso nell’aria e riesco ad intravedere una donna che prende la mia mano, lei fluttuante mi porta verso l’alto.
Non riuscivo a vederla bene, ero ancora in preda allo stordimento, ma chiedo il suo nome e lei non risponde; passa qualche attimo ancora e sento di essere sdraiato sulla panca, chiedo ancora il suo nome e lei mi sussurra Thelmabeth.»