Tutti, più o meno, conosciamo la trama di Squid Game e i terribili giochi che i protagonisti sono costretti ad affrontare per vincere un premio in denaro e, cosa più importante, salvarsi la vita. La storia ricorda molto la Brothers Home di Busa, in Corea del Sud. Ma vediamo insieme di cosa si tratta e cosa hanno in comune la serie Netflix e un centro assistenziale per senzatetto (che vedremo trasformarsi in un vero e proprio campo di concentramento).
Di cosa parla Squid Game?
Squid Game è una serie televisiva sudcoreana scritta, diretta e ideata da Hwang Dong-hyuk e distribuita in tutto il mondo sulla piattaforma di streaming Netflix dal 17 settembre 2021 al 27 giugno 2025, per un totale di due stagioni.
La serie trae il proprio titolo originale e l’ispirazione dal gioco del calamaro, un popolare gioco per bambini, praticato in Corea del Sud fin dagli anni Settanta. La prima stagione narra la storia di 456 persone che rischiano la vita in un gioco di sopravvivenza, con in palio un lauto montepremi in denaro, mentre le altre due esplorano i fatti successivi alla vittoria di tale gioco da parte di uno dei partecipanti.
Hwang Dong-hyuk ha raccontato che l’idea di “Squid Game” è nata durante un periodo di grandi difficoltà finanziarie. Nei primi anni 2000, stava lottando con i debiti e problemi economici, tanto da essere costretto a vendere i suoi libri per soldi. Questa esperienza gli ha permesso di comprendere il peso delle difficoltà finanziarie e il modo in cui possono spingere le persone a compiere scelte disperate.
Un tema centrale di Squid Game è la critica alla disuguaglianza sociale ed economica. Hwang ha dichiarato di aver voluto rappresentare le dinamiche di potere e la disperazione di coloro che vivono ai margini della società capitalista moderna. La serie riflette sulle scelte morali, sul valore della vita umana e sul costo della competitività estrema.
Nemo Kim e Justin McCurry del britannico The Guardian hanno osservato che la situazione di molti dei protagonisti di Squid Game, che li porta ad avere contratto diversi debiti, riflette la realtà della crisi del debito personale in Corea del Sud, che all’epoca in cui la prima stagione della serie è stata trasmessa aveva superato il 100% del PIL del paese. L’aumento del debito ha spinto il governo a introdurre restrizioni sulla concessione di prestiti per cercare di impedire che le persone esacerbassero ulteriormente la situazione, ma questo ha avuto l’effetto contrario, costringendo molti a contrarre prestiti ad alto interesse per estinguere quelli precedenti, creando un effetto a cascata.
Potrebbe essere ispirato alla Brothers Home?
La Brothers Home rappresenta una delle pagine più oscure nella storia della Corea del Sud per gli abusi dei diritti umani. Attiva tra gli anni Settanta e Ottanta, veniva ufficialmente descritta come un centro per senzatetto e orfani, ma si rivelò un luogo di violenze e sfruttamenti.
Negli anni Ottanta, sotto il presidente Chun Doo-hwan, il governo rastrellò senzatetto e persone marginali per migliorare l’immagine del paese, internandole in centri come la Brothers Home. Qui, invece di assistenza, i detenuti subivano abusi terribili.
Le indagini hanno svelato condizioni brutali come la violenza fisica e sessuale senza giustizia, lavoro forzato in condizioni disumane e la morte di almeno 500 persone. Molti detenuti furono internati senza motivo e senza processo legale.
Nel 1987 un procuratore scoprì gli orrori della Brothers’ Home, ma l’attenzione pubblica fu limitata e pochi responsabili furono puniti. Solo di recente il caso ha ricevuto nuova attenzione, con richieste di giustizia da parte delle vittime.
La Brothers Home rappresenta un esempio di soprusi istituzionali e ha spinto a riflettere sulla necessità di maggiore controllo sulle politiche di assistenza sociale. Malgrado scuse ufficiali e tardive indagini, molte vittime aspettano ancora giustizia.
La testimonianza
Per capire di cosa si tratta, Sky TG24 ha riportato una delle testimonianze di coloro che si definiscono dei sopravvissuti, quella di Han Jong-sun. Costui il 31 maggio del 2020 ha raccontato ai microfoni della BBC la sua esperienza di prigionia nella Brothers’ Home, affermando di essere stato rapito insieme alla sorella nel 1984. “Un autobus si fermò davanti a una stazione di polizia, e senza spiegazioni ci costrinsero a salire,” ha ricordato. “Cominciarono a picchiarci, dicendo che facevamo troppo rumore”, prosegue Han Jong-sun.
“L’autobus li stava conducendo a Hyungje Bokjiwon, una struttura privata presentata ufficialmente come centro di assistenza sociale”, scrive il giornalista della BBC Korea Bugyeong Jung. “Ma secondo i sopravvissuti, era in realtà un brutale centro di detenzione, dove migliaia di persone furono trattenute contro la loro volontà, spesso per anni”.
Bugyeong Jung spiega che “mentre il paese si preparava ai Giochi Asiatici del 1986 e alle Olimpiadi di Seoul del 1988, il governo lanciava iniziative per “ripulire” le strade in nome del progresso. Dietro la facciata del progresso, si celava una realtà brutale. Nell’aprile del 1981, il presidente Chun Doo-Hwan, salito al potere con un colpo di stato militare, ordinò una “repressione contro i mendicanti” e l’attuazione di “misure protettive per i vagabondi.
Sotto questa ordinanza, vennero istituiti centri di assistenza sociale. Autobus con cartelli su cui si leggeva ‘Veicolo per il Trasporto di Vagabondi’ iniziarono a comparire in città come Busan. Questi centri, in gran parte privati, ricevevano sovvenzioni governative basate sul numero di persone prese in carico. La polizia veniva ricompensata per aver ripulito le strade. Persone senzatetto, disabili, orfani e cittadini comuni che non potevano mostrare documenti d’identità venivano rastrellati e inviati a questi centri nell’ambito di quello che veniva chiamato Progetto di Purificazione Sociale”, prosegue il giornalista della BBC Korea Bugyeong Jung.
La Brothers’ Home è un caso emblematico di come il potere istituzionale possa degenerare in abusi sistematici, con le sue tragiche conseguenze che restano una ferita aperta nella storia della Corea del Sud.