Oggi, per la rubrica Sport in book, parlerò dello skateboard, sport che ha subito alti e bassi, addirittura vietato in paesi come la Norvegia per ben 11 anni. Personalmente è una di quelle pratiche sportive che mi ha sempre affascinato, forse perché collegata all’America; se dovessi infatti pensare a un film in cui lo skateboard delinea uno stile di vita, quello è Ritorno al futuro. Un film che ha segnato una generazione e ha fatto conoscere in tutto il mondo lo skateboard accattivante, e le acrobazie sulla tavola di Marty Mcfly che tutti abbiamo voluto imparare a imitare almeno una volta nella vita.
Ma come nasce questo extreme sport? Scopriamolo insieme!
Skateboard: il surf su strada
I primi avvistamenti di tavole con ruote sono negli anni ‘40, sulle strade del quartiere di Montmartre, Parigi. L’inizio di questo sport va però attribuito ai surfisti californiani che negli anni ‘50 cominciano ad assemblare le tavole con le ruote e a coltivare la loro passione non solo tra le onde ma anche su strada. Nasce così lo skateboard e un nuovo passatempo: il Sidewalk Surfing ossia il surfing sul marciapiede.
Questa pratica inizia a espandersi in America rapidamente e le evoluzioni più popolari erano slalom e downhill (discesa), in quanto gli skaters cercavano di imitare i movimenti del surf.
Ma queste evoluzioni, mentre l’acqua attutisce i danni, su strada mette in serio pericolo gli appassionati che iniziano a scegliere come strumento di allenamento gli acquedotti vuoti a forma concava.
Poi arriva il momento in cui Larry Stevenson, editore di Surf Guide, inizia a promuovere lo skateboard, e lo sport decolla. Makaha, la compagnia di Larry, progetta il primo skateboard professionale nel 1963 e viene nel frattempo formata una squadra per promuovere il prodotto. Sempre in quell’anno Stevenson organizza la prima gara di freestyle ad Hermosa, California. Ecco l’occasione in cui i primi grandi nomi dello skate iniziano a distinguersi: Tony Alva, Jay Adams e Stacy Peralta.
Questi sono conosciuti nella storia dello skate come gli Z-Boys, surfisti fatti skaters. Ma l’ondata di successo dello skateboard si arresta per vari motivi: la mancanza di attrezzature all’avanguardia e la pericolosità su strada.
Siccità e piscine vuote: un paradiso per lo skateboard
E arriviamo all’estate del 1975.
La Contea di Del Mar, in California, viene colpita da una grave siccità e le piscine vengono svuotate completamente. Un giorno alcuni ragazzi decidono di provare il brivido di skeitare, con una lunga serie di movimenti, proprio lungo una piscina vuota e cambiano inconsapevolmente la storia di questa disciplina.
Nel 1976 in Florida viene aperto il primo skatepark all’aperto: Skateboard City a Port Orange. Fu presto seguito da centinaia di altri parchi su tutto il territorio statunitense. Gli skaters non stanno fermi e perfezionano sempre di più i loro movimenti eseguendo manovre aeree e andando ben oltre il bordo.
Alla fine degli anni ’70 Alan Gelfand rivoluziona ancora di più questo sport e inventa l’ollie, portando lo skateboard a sfidare la forza di gravità, facendo un salto con la tavola senza utilizzare le mani. Il suo stile era quello di sbattere il suo piede posteriore sulla coda della sua tavola e saltare, facendo esplodere se stesso e la tavola in aria. Oggi quasi tutte le evoluzioni si basano sull’esecuzione di un ollie. Il trucco porta ancora il suo nome e Gelfand è stato inserito nella hall of fame dello skateboard nel 2002.
E in Italia?
Lo skateboard in Italia
In Italia lo skateboard arriva nel 1977 dopo un servizio televisivo del programma Odeon, rubrica di spettacolo e curiosità dal mondo, a cura della RAI. L’invasione parte dalle città del centro e del nord, proseguendo su tutto il territorio nazionale. Quell’inverno è un autentico boom: strade e marciapiedi invasi da giovanissimi entusiasti.
Il successo dello skateboard però, viene accompagnato da numerosi incidenti. Per la forte pericolosità, Genova è la prima a vietarne la circolazione. Il divieto viene esteso a tutto il paese all’inizio del 1978, con il disappunto dei ragazzi e la buona pace dei vigili urbani. Ma anche negli Stati Uniti inizia a comparire la preoccupazione per la sicurezza stradale e le porte dello skate, alla fine del 1980, si chiudono nuovamente facendo tornare questa pratica sportiva a un livello underground. Ma chi la dura la vince e, dopo mille difficoltà, lo skate raccoglie finalmente i frutti. Vediamo come!
Skateboard: da surf su strada a disciplina olimpica
Arriva finalmente la notizia tanto attesa dagli skaters: all’interno del programma olimpico ai Giochi della XXXII Olimpiade di Tokyo viene inserito lo skateboard, divenendo a tutti gli effetti uno sport olimpico.
Alle Olimpiadi lo skate è stato suddiviso in due specialità: street e park. Nel primo caso, gli skater hanno affrontato difficoltà simili a quelle della strada. Su un percorso rettilineo, hanno superato muretti, pareti e panchine. La giuria ha valutato poi le evoluzioni effettuate dagli atleti, ma anche la velocità di esecuzione e l’originalità.
Molto diverso il percorso riservato alla specialità park. In questo caso, infatti, gli atleti hanno dovuto affrontare curve e salite, fondamentali per saltare. Un percorso che somiglia molto alle piste attrezzate cittadine. Grazie alle altezze raggiunte, gli atleti hanno dato vita a evoluzioni spettacolari, come rotazioni e avvitamenti. Nel nostro parterre italiano di skater, ricordiamo Ivan Federico e Alessandro Mazzara nel park e Asia Lanzi nello street.
Il surf fece le regole dello skate, lo skate cambiò le regole della vita. Con questo motto degli Z-Boys, mi auguro che questo sport, simbolo di fratellanza, voglia di riscatto, di affermazione di sé, simbolo di sottocultura giovanile e di uno stile di vita anticonformista, possa continuare ad emergere e a brillare.