Che Olimpiadi quelle del 1960!
Non è difficile immaginare Roma tutta vestita a festa per l’occasione, impreziosita dalla presenza di atleti scalpitanti ed emozionati, pronti per recitare la loro parte in un’Olimpiade che non verrà mai dimenticata e che, senza dubbio, cambiò il mondo. Al di là della scenografia storica, alle Olimpiadi di Roma sfilarono atleti all’epoca giovanissimi ma che la storia ha trasformato in vere e proprie leggende, da Cassius Clay ad Abebe Bikila di cui se ricordi ti ho parlato la scorsa settimana, Wilma Rudolph, le sorelle Press, senza dimenticare le medaglie tutte italiane conquistate da Livio Berruti, il campione di scherma Giuseppe Delfino, i fratelli D’Inzeo nell’equitazione e quella sofferta ma conquistata a suon di pugni di un giovane promettente pugile che si chiamava Nino Benvenuti. È di lui che oggi ti voglio parlare e non solo per rispolverare la memoria a chi, conoscendolo, ne ha già apprezzato le qualità ma per raccontarti i retroscena e i momenti storici che hanno toccato anche in modo doloroso la sua vita.,
Confesso che prima di scrivere l’articolo non avevo idea che Nino Benvenuti fosse di origini istriane ma resomi conto ho pensato che sarebbe stato il personaggio giusto al momento giusto. Il Giorno del ricordo è uno di questi, un’altra pagina dolorosa della nostra storia che ci riporta indietro di 70 anni quando, nel primo dopoguerra si decise senza appello la persecuzione in massa degli italiani residenti nei paesi sul confine orientale. Intere famiglie costrette a fuggire verso Trieste per evitare di cadere sotto i colpi dei partigiani iugoslavi ormai padroni; la famiglia di Nino Benvenuti era tra queste: trai suoi ricordi più nitidi, l’arresto e la scomparsa di suo fratello Eliano, quando, nel ’47, lui e la sua famiglia furono cacciati di casa da un ufficiale della polizia politica dell’Osna, la morte della mamma morta a 46 per il dolore, l’esodo a Trieste, la difficile convivenza in patria e la voglia di riscatto iniziata ad appena 13 anni nelle palestre di pugilato. Benvenuti ha affidato i suoi ricordi e la storia dell’esodo istriano dalmata in un bel libro edito da Eraclea e scritto in collaborazione con Mauro Grimaldi; L’isola che non c’è è dedicato alla sua isola, un’isola che a suo dire ha perso la sua identità, con la speranza che i giovani conoscano la vera storia degli italiani dimenticati e con loro anche la sua.
Dietro ad un grande atleta c’è sempre una storia che lo caratterizza: la vita e la lunga carriera di Nino Benvenuti fa parte della nostra storia, una leggenda che vale la pena ripercorrere…
Tutto ha inizio in quella porzione di territorio ancora italiana almeno fino al 45. L’Isola d’Istria cosi come Fiume e Zara parlano italiano così come la famiglia del pugile che nasce proprio ad Istria nel 1938. Spinto dal padre, appassionato di boxe, frequenta le piccole palestre istriane, sale sul ring, vince a livello locale tornei regionali e interregionali e l’eco dei suoi risultati arriva in Federazione.
“La prima volta che sono salito su un ring, era nel mio paese, Isola d’Istria, avevo 13 anni, dinnanzi ad una piazza gremita di gente, e il mio avversario era un compagno di palestra, Gigi Viezzoli di 16 anni, che voleva dimostrare al pubblico amico, che ci conosceva entrambi, che era lui e non io la speranza del pugilato, visto che dicevano questo di me. Fu l’arbitro dopo tre riprese da due minuti a venire verso di me ad alzarmi il braccio in segno di vittoria. Non avrebbe dovuto farlo, il confronto era dimostrativo, ma era tale l’entusiasmo della folla ed il suo, per quello che avevo fatto, che non poté farne a meno. Ricordo che mi sollevarono sulle spalle e mi fecero fare il giro della piazza”
Sono comunque anni bui, l’Italia combatte una guerra che alla fine consegnerà l‘Istria alla Jugoslavia costringendo la famiglia del giovane a fuggire a Trieste che, a conti fatti, non lo accoglierà a braccia aperte. Nonostante le chiare origini italiane si sente emarginato, per tutti è comunque un esule e trattato come tale. Nino ritorna in palestra e parte con la Nazionale Italiana per l’Europa, perde per la prima volta in Turchia in un un match in cui molti sostengono avesse meritato la vittoria, l’unica ombra che offuscherà la sua carriera. Nel ’56 purtroppo perde la madre, non viene selezionato per le Olimpiadi ma non si ferma; nel 1957 vince l’oro agli europei di Praga, un titolo che conquisterà due anni dopo a Lucerna. Il sogno di partecipare alle olimpiadi si realizzerà nel ’60 dopo aver vinto i quattro incontri validi per la qualificazione e la famosa Coppa Val Barker, togliendola al più famoso Cassius Clay. Nel frattempo si sposa con Giuliana Fonzari, dalla quale poi si separa dopo aver avuto cinque figli.
Dopo 120 vittorie Benvenuti abbandona il dilettantismo e nel 1961 passa al pugilato professionistico, combatte e vince ben 29 volte, vince il titolo italiano e scala le classifiche europee e internazionali sfidando campioni come Gaspar Ortega, Teddy Wright e Denny Moyer. È il periodo delle grandi rivalità, la sua è con il campione toscano Sandro Mazzinghi con il quale i rapporti sono già molto tesi: nello scontro finale alimentato in modo eccessivo dalla stampa, è il triestino ad avere la meglio. Troppe e infinite le polemiche sull’incontro rivendicato dal toscano convinto di essere stato vittima di giochi di potere, una rivalità che nel corso degli anni successivi non si è mai spenta.Tra vittorie e prime sconfitte, nel gennaio del 1967 Benvenuti vola in America, regno indisturbato di Emily Griffith campione dei pesi medi.
Le testimonianze dell’epoca ci riportano il continuo botta e risposta tra i due campioni, la stampa s’infervora e spinge per il match, anche la RAI e le radio italiane sono pronte per seguire in diretta la manifestazione e al termine dell’incontro sono i cartellini a decretare il trionfo di Nino Benvenuti con 10 riprese vinte su 15 secondo due dei tre giudici, e 9 secondo il terzo. Tra i due pugili una stretta di mano con la promessa di una doverosa rivincita, nel frattempo il pugile triestino è acclamato in Italia come campione del mondo dei pesi medi. Come previsto dal contratto americano, il triestino sale nuovamente sul ring contro Griffith ma l’incontro è segnato da un duro colpo al tronco che gli procura una frattura della costola, una sofferenza troppo forte per continuare a reagire. La “bella” tra i due pugili si gioca al Madison Square Garden nell’aprile del 1968 in un clima di totale equilibrio dove, a fare la differenza, è la undicesima ripresa, Benvenuti atterra Griffith, si aggiudica la ripresa in maniera netta e il titolo mondiale ritorna in Italia.
È il momento di difendere il titolo: il triestino batte Don Fullmer, perde poi con Dick Tiger, ex campione mondiale dei pesi medi, sconfigge a Napoli Fraser Scott ed esce vittorioso anche al Palaeur di Roma nell’incontro con Luis Manuel Rodriguez nonostante un naso e un sopracciglio fratturato. Non va nello stesso modo il match a Sidney contro Tom Bethea, che in difficoltà riesce a fratturargli una costola chiudendo il punteggio a suo favore, ma che il triestino recupera alla grande nella rivincita successiva. Benvenuti decide di sfidare Monzòn al Palaeur di Roma ma crolla alla dodicesima ripresa sotto i colpi pesantissimi dell’argentino. Il pugile triestino si appella al contratto firmato e chiede la rivincita programmata per l’8 aprile 1971 allo Stadio Louis II di Montecarlo ma cade alla terza ripresa gettando la spugna, una sconfitta netta anche se inattesa che lo spinge al ritiro dall’agonismo nel giugno del 71: non tornerà mai più sul ring.
La sua vita fuori dal ring gli ha comunque regalato momenti altrettanto emozionanti, come il ruolo di attore in alcune pellicole cinematografiche e televisive e l’attività di commentatore degli eventi pugilistici per la Radiotelevisione Italiana, attività che lo impegna tutt’ora. Nel 2006 è stato portatore della bandiera olimpica nel corso della Cerimonia di chiusura dei XX Giochi olimpici invernali Torino 2006 e nel 2008 recita nel film di Renzo Martinelli Carnera, The Walking Mountain.
Una storia infinita e una carriera costellata di fortissime emozioni alle quali, tornando indietro, non avrebbe mai rinunciato:
Stare sul ring è la sensazione che ogni uomo dovrebbe provare e anche se per un attimo ho pensato ad un destino diverso ho poi capito che il mio destino di pugile era già scritto.