Guardiamo al mondo del calcio come al mondo dorato, palcoscenico su cui si muovono con maestria e fierezza personaggi che la gente comune ritiene realizzati e soprattutto esempio da seguire per uscire da un anonimato deprimente, ma è davvero così? E’ l’apparenza quello che conta? Entrare nel gotha di questo sport, catalizzatore di folle incandescenti, è davvero l’esempio giusto da seguire? A mio avviso, e non me ne vogliano gli ultrà virtuali, per quanto possa essere lo sport più seguito al mondo, tirare calci ad un pallone, guadagnando cifre da capogiro, è in netto contrasto con i miei principi e ancor di più con quei sentimenti che hanno animato i codici decubertiani fondati sulla condivisione, il senso sportivo, l’accettazione della vittoria e della sconfitta, l’aggregazione ma soprattutto la salvaguardia del dilettantismo.
Se dovessimo analizzare la parola, il significato non potrebbe essere più semplice eppure il senso della parola stride, si scontra con il concetto di commercializzazione, della rincorsa al risultato, all’inseguimento di interessi economici eccessivi, un fenomeno dilagante che andrebbe arginato ma che, costantemente, trova terreno fertile in chi del calcio vuole farne un fondo d’investimento. No, mi dispiace, l’usare milioni di euro per comprare il cartellino di un giocatore ha il sapore della sconfitta, vuol dire avere messo da parte se non dimenticato totalmente il valore educativo dello sport. Non voglio passare per moralista ma conti alla mano, con un millesimo della busta paga di Cristiano Ronaldo, senza dubbio, stella del firmamento calcistico spagnolo e del mondo, si potrebbe tranquillamente sfamare l’Africa e risolto metà dei problemi legati alle malattie del pianeta.
La mia non è una denuncia senza appello, anzi, il mio vuole essere un monito a che del calcio, si colga lo spirito giusto, che non lo si veda solo come l’unico modo per raggiungere il successo o diventare qualcuno, lasciamo che si basi sui sacrifici reali, sul desiderio legittimo di imparare qualcosa di bello e importante e non sulla sfrenata voglia di trasformare la passione in qualcosa che di reale e naturale non ha nulla. Il nostro, inutile negarlo, è il campionato più ricercato del mondo, chi più chi meno, prima di fare altre esperienza, ha la segreta speranza di entrare alla corte dei grandi club, ricoprire un ruolo importante; è il palcoscenico delle grandi occasioni, da la visibilità giusta, il classico trampolino di lancio di chi vuole fare carriera in tutti i sensi.
Premesso questo, non possiamo pensare, per un attimo, che per alcuni di loro la vita abbia riservato delle sorprese inaspettate, una storia importante, il coronamento di un sogno? Mi piacerebbe pensarlo e magari, scoprire che non sono episodi isolati. La storia che ti voglio raccontare è una di queste. A colpirmi è stata la sua straordinaria semplicità, dal sapore fiabesco, un piccolo miracolo che la vita regala ai giusti, a coloro che non vivono di aspettative esasperanti dando importanza ad ogni gesto, godendo ad ogni risultato, anche il più semplice. Volevo solo giocare a calcio. Vera storia di Adrian Ferreira Pinto edito da Mondadori , un libro che vale la pena leggere, per conoscere un grande giocatore ma soprattutto l’umanità di un grande uomo.
storia di Adrian Pinto nel libroConosciamo la sua storia…
Adrian Ferreiro Pinto è nato nel 79, e gli addetti ai lavori lo ricordano bene come centrocampista dell’Atalanta. La sua storia calcistica è fuori dagli schemi canonici, nessun corso da seguire, genitori pronti a portarlo in ogni dove, nessuna squadra in cui giocare, è il classico ragazzo dell’estrema periferia brasiliana, che nasce e cresce a Quinta Do Sol, nella zona di S.Paolo, lavora come muratore in una ditta della sua città, ma come tanti ha la passione del pallone. Fino a vent’anni gioca solo il sabato con gli amici del quartiere, non ha mai fatto partite di calcio ufficiali, poi improvvisamente, magicamente, tutto cambia.
Fino ai quindici anni ho lavorato con mio padre in campagna, dai quindici ai diciotto in una fabbrica di mattoni. Non avevo proprio il tempo per dedicarmi al calcio e fino a 19 anni non avevo mai giocato in una squadra. Poi feci un provino e sono stato fortunato, perché il mio datore di lavoro mi diede il permesso di andare. Io non volevo, avevo paura di perdere il lavoro. Mi rassicurò che se anche fosse andata male avrei mantenuto il posto. Le preoccupazioni erano tante perché a 15 anni mio padre ci lasciò, la perdita più grande della mia vita. Rimasi con mia madre, mia sorella e mio fratello. Sono stati momenti terribili, ci ho messo un mese a rendermi conto di quello che era successo , poi ho reagito. Non si supera mai ma dovevo farlo per la mia famiglia, da quel momento mantenerli era compito mio”.
In una delle solite partite del sabato, un osservatore lo avvicina e gli offre di fare un provino, Adrian accetta senza esitare ma sa che sarà una prova difficile, se anche il premio è entrare nella serie A brasiliana nella squadra del UNIAU SAN JOAO della zona geografica dell’Acàras. L’inizio dei test non è confortante, ne fa uno dopo l’altro, appena si ritrova il pallone tra i piedi, tira e fa subito goal, per tutti è un talento vero e la società gli offre un contratto.
Dalla Uniau San Joao Adrian passa come attaccante alla “PATROCINIO”, dello Stato brasiliano di Minas-Jerais, mette in rete 28 goal e poco dopo è pronto il biglietto aereo per atterrare in Belgio e giocare in serie A con i Liegi. Sembra una favola ma il giovane brasiliano non si sente a suo agio, non rende come dovrebbe, decide così di ritornare in Brasile e di continuare a giocare in una piccola squadra. Dopo sei mesi non ha più contratto, tutti i sogni sono svaniti e Adriano, a 22 anni, ritorna a fare il muratore nella sua vecchia ditta che, fortunosamente, gli ha sempre tenuto il posto.
Adrian non perde le speranze. Lo chiamano per un altro test allo stadio Paranà e tutto ricomincia. Dopo alcuni giorni, il giocatore brasiliano Adriano Mezzavilla passa la videocassetta dei suoi test al direttore sportivo italo brasiliano del LANCIANO, squadra impegnata nel campionato italiano di C1. Adrian ancora una volta lascia tutto e con i pochi soldi rimasti si paga il biglietto aereo per l’Italia ma anche qui, pur riconoscendo le sue grandi doti, la squadra fa un passo indietro. Deluso prepara il biglietto di ritorno per il Brasile ma, prima di partire, decide di assistere ad un incontro della squadra. E qui la favola continua…
Nel corso della partita si infortuna un attaccante. Non sapendo cosa fare, i dirigenti, presi dal panico, offrono a Ferreira Pinto un contratto di 6 mesi con 600 dollari a partita e Adrian entra finalmente in campo con il Lanciano contro il Pescara. La squadra per un solo goal che lo stesso Pinto giudica regolarissimo, perde la possibilità di partecipare ai play-off ma la carriera del giovane brasiliano è appena cominciata. Dal Lanciano passa nel 2004 al Perugia, poi al Cesena in serie B e finalmente nel 2006, arriva il contratto con l’Atalanta, passano due anni prima di entrare l’equilibrio perfetto ma ancora adesso Pinto ricorda il feeling trovato con la squadra e la città di Bergamo, le sfide in campo con i grandi del calcio italiano, da Maldini a Zanetti, Cannavaro, Nesta e tanti altri,.
Nel 2013 fa la sua esperienza anche nel Salento ma, ora, la realtà è ben diversa, anche se ad Adrian la passione e la voglia di giocare non è mai passata, dal 2015 gioca con il Pont Isola in serie D e scende in campo sempre con lo stesso entusiasmo.
Metto a disposizione la mia esperienza. Voglio far capire ai giovani quanti sacrifici ho dovuto fare per impormi. Guido il gruppo e faccio da esempio e questo mi da la forza e gli stimoli per continuare. Sono qui da due anni e questa stagione abbiamo raggiunto i play-off con due giornate di anticipo e per una squadra come la nostra è motivo di grande soddisfazione. Poi mia moglie e miei figli si trovano benissimo, non potrei chiedere di più in questo momento.
Mi auguro che di Adrian Pinto si riempino gli stadi!
Grande giocatore, grande uomo Ferreira Pinto, Umile, serio, generoso un esempio per i giovani