Filippo batte Pietro, e L’Italia ha un nuovo campione!
Sono emozionata, lo ammetto! Parlare oggi di Filippo Tortu non è parlare di un risultato qualsiasi. Stiamo parlando della storia che si ripete, di quella che tanti anni fa ci ha regalato momenti di gloria incredibili, della quale posso dire con fierezza: Io c’ero! Sì, perchè quel Mennea, uomo del profondo Sud, che tutto il mondo sportivo ancora ricorda con giusta riverenza, io l’ho conosciuto, ammirato, l’ho seguito, come l’Italia intera, attraverso le sue gare, in tutti i suoi sogni. Anch’io, prima di tuffarmi nel volley, ho masticato e respirato la polvere rossa dei campi di atletica, nel mio piccolo ho amato quei momenti in cui sei solo con te stesso e con nessun’altro se non con la tua forza mentale, le tue gambe, quella voglia di arrivare alla fine della gara, di dare un senso concreto alla passione. Il libro che oggi vi consiglio è stato scritto proprio da Mennea, una bella testimonianza della sua vita e dei suoi successi.
Mennea non c’è più ma, come testamento prezioso di riconoscenza, ci ha lasciato un’eredità che probabilmente nessuno si aspettava, almeno così presto. La sensazione che ho provato guardando Filippo correre, nella sua prima vera finale mondiale, mi ha fatto venire i brividi. La telecamera che lo ha inquadrato mi ha restituito l’immagine storica di un ragazzo disposto a tutto per arrivare alla fine. Con lo sguardo di chi, in quei 100 mt, ha smesso di respirare per non perdere millesimi di secondo, lo sforzo si raccontava da solo.
Dietro gli ultimi tre appoggi sul filo di lana, si è scritta la storia di un altro personaggio, di un ragazzo dalla faccia pulita, semplice, studioso, socievole, fiore all’occhiello della LUISS Academy e del suo programma Dual Career per la formazione di studenti-atleti a livello internazionale, giovanissimo (classe 1998) eppure già in possesso di una maturità che per molti adulti è un sogno, dall’animo semplice ma dal carattere determinato, consapevole che per ottenere risultati bisogna lavorare, macinare ore di allenamento tutti i giorni. Che potesse correre accanto a mostri sacri come Coleman o Gatlin, non era scritto da nessuna parte, eppure lo sguardo di attesa infinita in quella semifinale non la dimenticherà più nessuno: in cuor suo Filippo sapeva bene che dopo 36 anni partecipare alla finale dei 100 mt avrebbe segnato un traguardo storico per l’atletica italiana.
La storia di Filippo è in fondo una storia semplice, ce la racconta lui stesso…
“Ho iniziato a fare atletica perché lo facevano mio padre e mio fratello. Diciamo che non sono stato condizionato da nessuno dei due nelle mie scelte».
In questo Filippo è stato molto fortunato, in fondo è il classico figlio d’arte. La famiglia Tortu è una famiglia di sportivi, il nonno Giacomo correva i 100 in 10″9 nel secondo dopoguerra, il papà Salvino, anche allenatore di Filippo, è stato un centista da 10”6. Giacomo, primogenito della famiglia, è stato diverse volte nazionale delle varie categorie, insomma una famiglia dove correre veloci è una fatto normale, come mangiare e dormire.
«Solo una cosa era obbligatoria in casa: fare uno sport” confida Filippo in un’intervista “Ognuno era libero di scegliere quale».
In realtà di sport Filippo ne ha fatti tanti “Le mie prime garette di velocità spinto da mia madre, basket per 7 anni, ma anche nuoto, sci e naturalmente, essendo appassionatissimo, giocavo a calcio tutte le settimane due o tre volte. Ora non posso più fare niente di tutto ciò”, parole dettate da un pizzico di malinconia ma è solo un attimo.
Racconta dei suoi inizi, delle prime gare a 13 anni, il suo primo record verso i 15 anni con il primo titolo italiano, che ha dato il via alla sua carriera, anche se, e questo lo sottolinea più volte “E’ stato un processo molto naturale, nulla di programmato”.
Nessun talento tra indicare, nulla che potesse far pensare che stesse per nascere un campione, i suoi sono risultati conquistati con il tempo e la costanza, probabilmente è questa normalità che ha dato più valore all’impresa straordinaria di Filippo nel correre i 100 metri sotto i 10 secondi (9”99, il 22 giugno 2018 a Madrid) sbriciolando il record di Mennea.
«Per me non è un record, è semplicemente il mio miglior tempo», ha detto qualche mese dopo.
L’inserimento nelle Fiamme gialle ha trasformato il suo hobby in lavoro, un’opportunità enorme per migliorare senza però dimenticare che “Alla base di ogni buon risultato lavorativo, che possa essere sportivo o di qualsiasi altro ambito, ci dev’essere passione e piacere. Al di là dello sport, ho sempre voluto continuare con gli studi, perché se si arriva a 30 anni senza avere nessun tipo di competenze se non quelle che riguardano la pista di atletica, poi può essere complicato da un punto di vista lavorativo”. Passione e concretezza, due elementi fondamentali per arrivare lontano, di certo Filippo non vuole stare a guardare, vuole andare lontano.
“La parola sacrificio non mi fa impazzire, nel senso che uno è consapevole che per raggiungere determinati risultati deve fare delle scelte”, dice “scelte libere che uno può anche non fare, non vado a ballare, non bevo, non esco, mangio le cose giuste, mi alleno tutti i giorni. Lo faccio con piacere, non mi pesa. Sono cose che fanno tutte le persone al mondo. O meglio: quelle che si pongono degli obiettivi”.
Filippo, ed è giusto ricordarlo, al mondiale di Doha è arrivato ancora convalescente per l’infortunio procuratosi a Stanford il 30 giugno scorso, è sceso in pista con la terminazione di sempre perchè “in gara non bisogna pensare a nulla”. La finale Filippo se l’è proprio meritata, e non fa nulla se è arrivato solo settimo, sa perfettamente che questo è solo l’inizio di una grande straordinaria avventura, chissà se si è reso conto che è entrato nella leggenda e cosa sarebbe successo se tutto questo non lo avesse voluto…
“Non è che non mi abbia mai sfiorato l’idea di non farcela, ma ero talmente determinato a farlo che non ho mai. Pensato. Ad altro”.
Filippo, sei un grande…
https://youtu.be/kJ1ghLYQa8s