Che anno questo 2020, un anno particolare iniziato, almeno così dicono all’insegna di piccoli grandi significati, dalla data che porta fortuna al bisestile, eppure senza farsi troppe domande basterebbe pensare che è l’anno delle Olimpiadi. Cosa c’è di più atteso di un’Olimpiade, solo un’altra Olimpiade, che arriva puntuale ogni quattro anni, pronta a farsi ammirare per i grandi risultati e per le vicende che la colorano di autenticità. Ogni Olimpiade ha dato qualcosa, ognuna diversa dall’altra come quella di Roma del 1960 importante per i grandi risultati ma passata alla storia per una vicenda davvero straordinaria: l’incredibile maratona di Abebe Bikila.
Chi è stato Abebe Bikila? Se consultassi i grandi almanacchi sportivi come un vocabolario, scopriresti quanto questo piccolo grande uomo, giunto dalla lontana Etiopia, abbia donato sé allo sport e non solo. La prima cosa che potrei dirti, e sarebbe una notizia normale, è che è stato colui che ha conquistato la medaglia d’oro nella maratona di Roma del 1960, ma sarebbe riduttivo; l’eccezionalità risiede nel fatto che incredibilmente l’atleta iniziò e finì la gara correndo a piedi nudi. Non ho bisogno di rispolverarti la memoria sulle fatiche che bisogna affrontare in una gara di maratona che, come ben sai, è lunga 42 km, eppure, il piccolo africano riuscì a superarle senza pensare a come lo avrebbe fatto, l’obiettivo era portare alto il nome del suo Paese. È indubbio che Bikila, con la sua impresa, sia entrato nella leggenda, come tanti altri campioni, l’ho già affermato in altri articoli, l’ultimo dedicato a Kobe Bryant, a renderli tali sono la motivazione e l’umanità con i quali affrontano le difficoltà.
Il caso di Abebe Bikila, all’epoca, fece il giro del mondo, lo stesso atleta continuò a correre partecipando ad altre due Olimpiadi ma è un’altra storia, quella che ti racconto è la vita e ciò che ha portato un giovane di un piccolo paese dell’Africa sul podio più alto di un Olimpiade. Se la storia di Bikila t’interessa, leggi il libro a lui dedicato La rivoluzione di Bikila, scritto da Giorgio Lo Giudice e Valerio Piccioni edito da Bradipolibri e ora mettiti comodo…
Il nome vero è Bikila Abebe, nasce il 7 agosto del 32 a Jato, un piccolo villaggio poco lontano da Mendida in Etiopia, una data quasi profetica visto che proprio in quel giorno a Los Angeles si sta correndo la maratona olimpica. La sua è una famiglia modesta ma supportata da sani principi che lo spingono a lavorare per guadagnare un po’ di soldi e sostenere la famiglia, prima come agente di polizia e poi come guardia del corpo personale dell’imperatore Haile Selassie ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia. Si sposa e nel frattempo inizia a correre, si allena intorno alla sua casa, partecipa ai Campionati Militari, viene notato e inserito nel programma agonistico dallo svedese Onni Niskanen che lo allena per quattro anni. Saranno state le congiunzioni astrali ma il 10 settembre del ’60 Abebe, per sostituire Wami Biratu, infortunatosi poco prima della partenza durante una partita di calcio, si ritrova a far parte della squadra olimpica nazionale.
Il percorso della maratona di Roma, quell’anno non rispetta la regola che vede l’inizio e la fine della gara dall’interno dello stadio olimpico e nonostante i tempi fossero stati i migliori, il giovane atleta non era certo tra i favoriti. Due ore prima della gara, il giovane butta via le scarpe offerte dallo sponsor, sono troppo strette e gli fanno male, indossa la maglia verde numero 11 e, senza rendersene conto, inizia a correre sfidando mentalmente il marocchino Rhadi Ben Abdesselam, partito con il numero 185 invece che con il n. 26. Abebe continua a correre nel gruppo di testa, percorre la via Appia, passa sotto l’obelisco di Axum, arriva ai Fori imperiali illuminati da sole torce, e taglia il traguardo in due ore e quindici minuti passando sotto l’Arco di Costantino senza mai vedere il suo avversario.
Incredibile ma vero alla fine della gara, ai microfoni di tutto il mondo, dichiarò che avrebbe potuto continuare a correre ancora e che la sua decisione di correre scalzo era stato per lui un onore…
“Volevo che il mondo sapesse che il mio paese, l’Etiopia, ha sempre vinto con determinazione ed eroismo“.
Puoi immaginare come l’Etiopia abbia accolto il suo eroe al ritorno in patria; lo stesso Bikila continuerà ad onorarla vincendo, questa volta con le scarpe giuste ma in condizioni non ottimali, le Olimpiadi di Tokio del ’64 e partecipando a quelle del ’68 a Città del Messico, dalla quale si ritira al 18 esimo chilometro ma questa non sarà la sua ultima maratona, ne vincerà altre dodici. Il destino poi ha voluto che in seguito ad un incidente d’auto, Bikila abbia trascorso il resto della sua vita su una sedia a rotelle; continuò a partecipare a gare di ping pong e tiro con l’arco. Il campione morirà nel ’73 a soli 41 anni per una emorragia celebrale ma il suo ricordo è sempre vivo soprattutto in Etiopia; molto toccante la dimostrazione d’affetto di un atleta etiope che nella olimpiade del 2010 decise di correre scalzo gli ultimi 500 metri della gara in suo onore.
Più leggenda di così…