Caro iCrewer, per il nostro consueto appuntamento di Spazio ai Classici, voglio presentarti un libro a me molto caro. Si tratta di Fontamara di Ignazio Silone, pseudonimo di Secondino Tranquilli. Ho letto quattro volte questo libro, in quattro fasi della crescita.
La prima volta a 10 anni spinta dalla curiosità. Vidi mio padre leggere il libro di Silone e chiesi di prestarmelo, lui con tono autorevole mi disse che ero troppo piccola e che non lo avrei capito, anzi mi sarei annoiata. Da brava bambina che ero, lo lessi di nascosto. Aveva ragione, non capivo molte parole e il senso di alcune frasi, ma una cosa la capii: qualcuno veniva maltrattato e raggirato.
A 13 anni, durante le vacanze, stavo risistemando la mia piccola libreria e mi ritrovai Fontamara tra le mani. Non seppi resistere, quindi lo lessi. Ma non ero ancora pronta. Inizia a capire alcuni meccanismi e capii che un intero paesino venne raggirato con l’introduzione di nuove tasse. Iniziai anche a capire il periodo storico e il divario sociale presente.
Il mio terzo incontro è stato a 18 anni, mentre capivo cosa voler fare della mia vita e che facoltà scegliere. E questa volta capii molto di più. Riuscii ad inquadrare perfettamente il periodo storico, a distinguere i cafoni dai ricchi proprietari terrieri, che volevano continuare ad impossessarsi dei piccoli pezzettini di terra che coltivavano i cafoni. Inoltre avevo percepito che c’era un enorme blocco: la differenza di registri linguistici.
In gioventù sono stato in Argentina, nella Pampa; parlavo con cafoni di tutte le razze, dagli spagnuoli agl’indii, e ci capivamo come se fossimo stati a Fontamara; ma con un italiano che veniva dalla città, ogni domenica, mandato dal consolato, parlavamo e non ci capivamo; anzi, spesso capivamo il contrario di quello che ci diceva. Lì, nella nostra fazenda, c’era perfino un portoghese sordomuto, un peone, un cafone di laggiù: ebbene, ci capivamo senza parlare. Ma con quell’italiano del consolato non c’erano cristi.
Ma sentivo che c’era molto di più. Infatti, dopo aver sostenuto gli esami di Storia Moderna, Storia Contemporanea e Sociologia, decisi di riprendere Fontamara. Non era solo il racconto di povera gente raggirata e che vedeva togliersi l’acqua per i campi. Non era solo uno spaccato di una società che doveva sopravvivere tra le due guerre, ma un vero manifesto sempre attuale di come i Potenti e le autorità riescano sempre a sottomettere i cafoni, o chi non fa parte della loro casta.
Un Governo formato con le elezioni è sempre in soggezione dei ricchi che fanno le elezioni.
Ed ecco che la penna di Ignazio Silone descrive abilmente come il dio denaro riesca anche a sopraffare la stessa Chiesa, che rappresenta con Don Abbacchio, che non si prende cura dei propri parrocchiani, ma li deprime.
Fontamara: trama di un libro che ha ancora tanto da insegnarci
Fontamara è il primo romanzo di Ignazio Silone, e racconta le storie di un immaginario paesino della Marsica, in Abruzzo. Un paesino qualunque che rispecchia le condizioni di qualunque zona rurale italiana del 1929. Silone scrisse questo romanzo di denuncia mentre si trovava in Svizzera, per sfuggire alle persecuzioni del Regime Fascista.
Il piccolo villaggio di cafoni, così venivano chiamati i contadini dell’Italia meridionale, si ritrova all’improvviso senza corrente, perché gli abitanti non pagavano più la bolletta.
Il primo di giugno dell’anno scorso Fontamara rimase per la prima volta senza illuminazione elettrica. Il due di giugno, il tre di giugno, il quattro di giugno, Fontamara continuò a rimanere senza illuminazione elettrica. Così nei giorni seguenti e nei mesi seguenti, finché Fontamara si riabituò al regime del chiaro di luna.
Ma già dalle prime pagine del libro, iniziano le disgrazie dei poveri abitanti, che per cercare di rimediare a questa mancanza, firmano una carta bianca, dopo un lungo discorso incomprensibile del Cav. Pelino. Ma quel foglio firmato da tutti gli uomini del paese si rivela essere l‘autorizzazione a togliere l’acqua per l’irrigazione per indirizzarla verso i possedimenti dell’Impresario, un imprenditore legato al regime che ha ottenuto la carica di podestà.
Scoperto l’imbroglio, le donne fontamaresi si recano a casa dell’Impresario per tentare di convincerlo a ridar loro l’acqua indispensabile per i loro campi.
L’avvocato Don Circostanza si offre come mediatore di un accordo che stabilisce che tre quarti scorrano nel nuovo letto del fiume, mentre i tre quarti del rimanente nel vecchio, cosicché ognuno abbia tre quarti; più avanti, di fronte alla pretesa dell’Impresario di aver in usufrutto l’acqua per 50 anni, l’avvocato suggerisce di ridurre il termine a soli 10 lustri.
Al danno materiale si aggiunge la punizione violenta per aver tentato di ribellarsi agli ordini delle autorità. Il povero villaggio viene invaso da una squadraccia di fascisti, mentre tutti gli uomini del villaggio sono nei campi a lavorare. Gli uomini del regime perquisiscono le case e violentano le donne; al ritorno degli uomini vengono “schedati” come sovversivi con un’assurda prova di fedeltà al regime. Viene poi promulgato il divieto di emigrare dal paese e quello di discutere di politica in pubblico.
Berardo Viola: la coscienza del paese e il destino di uno sconfitto
Dai soprusi ottenuti con le parole, si passa ovviamente ai soprusi fisici e uno di loro, Berardo Viola, l’uomo più forte e robusto, decide di reagire tentando di trovare maggior fortuna fuori dal paese. Durante il viaggio verso il capoluogo si rende conto che al di fuori di Fontamara, sono cambiate molte cose.
Berardo viene a conoscenza della morte di Elvira, la sua amata che avrebbe dovuto sposare non appena tornato dal suo viaggio in cerca di lavoro. Allora l’uomo si convince che per lui la vita non ha più senso.
Durante uno dei suoi tanti spostamenti però avviene una svolta: incontra un partigiano, l’Avezzanese, che lo mette al corrente dell’avvento del fascismo e di molti altri cambiamenti avvenuti in Italia. Tale incontro gli apre gli occhi sulla realtà che stanno vivendo.
Il coraggioso Berardo, a Roma viene arrestato e torturato in carcere. Le percosse ricevute porranno fine al viaggio del fontamarese. La sua morte verrà dichiarata come suicidio, per nascondere quello che succede nelle carceri del regime fascista.
Ignazio Silone ha raccontato con molta tragicità le vicende di un paesino immaginario, in cui si possono rispecchiare tutte le realtà contadine. Ma lo scrittore lascia anche un messaggio di speranza: speranza nel cambiamento.
Purtroppo questo cambiamento ancora deve avvenire, perché, anche se cambia il modo di definire una classe debole, i cafoni vengono ancora raggirati per la sete di potere e di soldi. Non dobbiamo leggere la parola cafone come un essere ignorante e dai modi grezzi, ma come una persona che viene raggirata attraverso mezzi resi leciti dalla burocrazia e dai Governi stessi.