È venerdì e come ogni venerdì ti invito alla solita incursione nel mondo incantato dei versi, raccontato dalla rubrica Poesia e vita, vita è poesia. Oggi mi vesto di un tono quasi ufficiale, serio ma come al solito non serioso e insieme andiamo incontro ad un genere poetico e per estensione letterario, conosciuto in genere dagli addetti ai lavori o dagli studenti: il sonetto.
“Sonetto… Sonetto… E che succede, ritorniamo al preistorico ?” Sto immaginando la nuvoletta dei pensieri uscire dalla testa di qualche lettore che, proiettato giustamente nel più avvenieristico futuro, alla parola sonetto strabuzza gli occhi e pensa che sia una forma poetica ormai in disuso. E come dargli torto? Non parliamo poi dei poveri studenti che, costretti dai programmi scolastici, fanno indigestione di sonetti ed affini non sempre volentierissimamente…
In un’epoca in cui si sperimentano le forme di poesia più strane e a volte, lasciamelo dire pure strambe, il sonetto appare più che jurassico, con le sue regole ferree e la sua metrica più che ordinata.
Eppure c’è ancora chi lo coltiva come un fiore raro e ormai quasi estinto e per questo prezioso. Sono quegli strani individui che, oltre ad avere un “diverso sentire” specificamente personale, rispondono al nome generico di poeti e se non erro dovrebbero conoscere regole, metrica e tutti quei “cavilli poetici” che fanno la differenza fra poesia e Poesia.
Ad interpellare un qualsiasi vocabolario di lingua italiana, alla voce sonetto si legge stringatamente: Classica composizione poetica di carattere lirico, burlesca o satirico, costituita da quattordici versi, di solito endecasillabi, distribuiti in due quartine e due terzine con rime disposte secondo determinati schemi, di solito è più spesso secondo lo schema ABAB-ABAB, CDC-CDC. A questo schema iniziale, si sostituì in seguito lo schema introdotto dal Dolce Stil Novo che comprende per le quartine rime ABBA-ABBA, mentre restano immutate le terzine.
Roba da far venire il mal di testa a chi, armato di buona volontà, vorrebbe scandagliare il mondo misterioso delle ufficiali regole poetiche ma mastica poco di matematica ed affini. Già, perché le strutture poetiche classiche hanno regole più ferree del Teorema di Pitagora, altro che vagheggiamenti ed emozioni con le quali i meno avvezzi ed aggiungo meno informati, identificano la poesia. La Poesia è anche rigida metrica ma non solo per fortuna, sarebbe “roba fredda e sterile” se fossero solo le regole a definirla.
La Poesia è fra le arti letterarie la più anarchica di tutte: può usare regole o può mandarle al diavolo; può girare intorno ad un argomento e riempire pagine e pagine oppure in due righe esprimere un universo intero; può toccare le corde più profonde del cuore o far sorridere; può essere compresa ed esaltata o incompresa e relegata al ruolo di Cenerentola… Una cosa è certa: è solo per chi sente prima, sente diverso e senza bisogno di protesi auricolari.
Sonetto: le origini e le varie forme…
Ammesso che tu già non lo sappia, mi sembra più che opportuno ricordare che il sonetto è frutto dell’estro poetico italiano, siciliano nello specifico. Il nome deriva dal francese provenzale sonet (suono, piccolo suono, melodia) e fu dalla scuola poetica siciliana notoriamente culla del Dolce Stil Novo, che verso la prima metà del Duecento, un certo Jacopo da Lentini diede al mondo letterario la sua invenzione poetica, definita sonetto.
Il sonetto ebbe immediatamente una grossa eco e numerosi seguaci: erano i tempi in cui la Corte Siciliana di Federico II accoglieva artisti e letterati da ogni dove. Riuscì a valicare non solo i confini dell’Isola ma anche quelli della Penisola per dilagare ed essere sperimentato in Spagna, Francia, Portogallo, Inghilterra e persino nella rigida e teutonica Germania.
Varie e con aspetti diversi sono le sue varianti: c’è quasi da smarrirsi, tra sonetti causati, sonetti rinterzati, sonetti continui, sonetti minimi o misti o doppi…E basta, mi fermo qui ma ce ne sono ancora molti altri: non vorrei rischiare (e farti rischiare) l’emicrania a contemplarle tutte. La grande e multiforme varietà che il sonetto può assumere, conferma la regola che in poesia è valido quel motto tutto italiano, preso in prestito dalla giurisprudenza ed adattato per l’occasione, che recita “fatta la legge trovato il modo per aggirarla”.
Metaforizzando ed adattandole all’occasione mi viene spontaneo pensare che fatte le regole metriche per il sonetto, un poeta può trovare infiniti modi per modificarle ad uso e consumo personale. Potrebbe sembrare facile, in effetti non lo è perché le modifiche seguono, sì, degli schemi precisi ma a loro volta, possono diventare adattabili. Tutto questo non fa che confermare la totale anarchia di regole, che in poesia diventa regola a sua volta. E spero di non averti fatto venire il mal di testa, io, ora…
Significato simbolico del sonetto
Se credi che a definire un sonetto siano soltanto le rigide regole metriche, oltre alla necessaria ed indispensabile sostanza poetica, ti dico subito di no: c’è anche dell’altro che travalica la stessa letteratura.
Il Duecento, secolo che diede i natali al sonetto, fu com’è noto uno dei secoli facente parte di quel vasto contesto storico chiamato Medio Evo, epoca in cui, assieme ad altre numerosissime credenze, la valenza numerologica/esoterica era alla base di molte delle attività umane. Poteva il sonetto sfuggire ad una chiave di lettura che non ne tenesse conto? No, non poteva ed infatti la metrica del sonetto italiano veniva così interpretata:
Le quartine, ossia i quattro versi della prima e della seconda strofa, hanno come riferimento il numero 4, simbolo dei quattro punti cardinali.
Le terzine, ossia i tre versi della terza e della quarta strofa hanno il numero 3 come riferimento, numero che rappresentava la Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.
I quattordici versi nel loro insieme (4 +4 +3 +3) rappresentano il doppio di 7 che a sua volta simboleggiava l‘unione fra la terra, rappresentata dai punti cardinali (numero 4) e il cielo, rappresentato dalla Trinità (numero 3).
Roba da scriverci saggi e trattati e non soltanto opere poetiche immortali, come quelle di Dante, di Cecco Angiolieri, di Trilussa, di Carducci, di Sanguineti, di Fortini, di Pasolini per citarne soltanto alcuni che nel corso dei secoli, hanno reso il sonetto una delle forma metriche più diffuse, studiate, musicali ed armoniose e aggiungo poco frequentate nella bagarre variegata e a volte anche caotica della poesia moderna.