Caro iCrewer c’è sempre una “prima volta” per tutto.
Ebbene, questa è la mia prima volta!
Intervista a… Riccardo Landini
Ho avuto il piacere di recensire il tuo ultimo libro “Il giallo di via San Giorgio” che mi ha fatto riavvicinare al genere giallo e, nello stesso tempo, mi da l’opportunità di poterti rivolgere alcune domande che possano fugare alcune mie perplessità, e farti conoscere meglio ai lettori di libri.iCrewplay.com
Prima di addentrarci nei particolari cerchiamo di scoprire un po’ più dell’uomo:
- Chi è Riccardo Landini, come è stato da bambino e poi da adulto?
Sono stato un bambino un po’ cupo e solitario, ma tutto sommato la mia infanzia non è stata tanto male. Ho cominciato a leggere – e ad adorare – Edgar Allan Poe a nove anni e questo senza dubbio ha influenzato parecchio il mio carattere e il mio modo di vedere il mondo. Sapete, volevo essere come lui… J. Da adulto ho sprecato parecchio tempo correndo dietro cose ed esperienze inutili, ma temo sia un errore spesso inevitabile per tutti. Ammetto che trovare dei punti fermi non è stato facile. Ci provo.
2. I tuoi studi hanno influenzato il tuo modo di scrivere
Avendo compiuto studi classici, ne ho acquisito certamente una proprietà e una ricchezza di linguaggio che altri percorsi non mi avrebbero permesso. C’è da dire che forse ho studiato molto di più da adulto che da adolescente, cercando di rimediare al tempo sprecato che, allora, sembrava disponibile in quantità illimitata.
3. Come e quando è nata la tua passione per l’intrigo, l’inganno, i delitti.
Da sempre, sin da quando ho cominciato a leggere e, conseguentemente, a scrivere con la fantasia. Dai primi racconti infantili, a quelli pubblicati sui giornali della scuola con lo pseudonimo di James Gray, il mio genere è sempre stato quello, anche se ero più virato verso il gotico e le ambientazioni retrò. Negli ultimi anni, ho scritto, in verità, anche racconti di altro genere, ma rappresentano una minoranza.
4. I tuoi personaggi sono “gente comune” con alle spalle, talvolta, storie da nascondere, come Il personaggio di Astore; perchè questa scelta?
Difficile giustificare un’ispirazione. I personaggi vengono da te e ti parlano, si raccontano, pretendono che tu li ascolti… Alla fine diventi un mero estensore di quanto ti espongono. Sembra una sciocchezza, ma è proprio così che mi succede, per cui non ci sono scelte o riflessioni. Le storie e i loro protagonisti nascono già pronti. Debbo aggiungere un’altra cosa: a parte Simenon e Olivieri, non amo i romanzi che vedono come protagonisti marescialli, ispettori o commissari. Aldilà dell’affollamento assurdo di questi investigatori tradizionali nel panorama editoriale, mi pare più stimolante raccontare storie di un certo tipo in cui sono coinvolte persone comuni che nulla hanno a che fare con le forze dell’ordine e che impegnano intellettualmente l’autore a comprendere la loro vita, le loro reazioni, il loro comportamento in un contesto di cui normalmente non sarebbero parte.
5. Cosa spinge uno scrittore a scrivere un romanzo giallo, e nel caso dell’ultimo, un noir.
Mi riallaccio alla domanda precedente. A me piace raccontare storie di gente comune e concentrarmi su temi che mi interessano, come ad esempio la solitudine, la paura di vivere, il tradimento, l’assenza, la sofferenza interiore… Per fare questo scelgo la strada del giallo o del noir in quanto credo che avvincere il lettore in una trama che lo spinga a continuare pagina dopo pagina per scoprire cosa accadrà, mi permette di esplorare e riflettere senza annoiare, mettendo anzi lo stesso lettore a confronto con le emozioni, le riflessioni, le scelte dei miei personaggi. Per spiegarmi meglio: con Astore ho affrontato il tema della emarginazione volontaria di chi si sente tradito dalla vita, del distacco dagli altri, della sensibilità che viene nascosta dietro un’apparente atarassia per il timore di subire ferite più profonde di quelle già ricevute. E pure del percorso inverso che è poi quello che compie lui nel corso del romanzo e che si sviluppa nei capitoli successivi della serie.
6. Ed arriviamo all’ultimo tuo libro, Il giallo di via San Giorgio, in cosa si discosta dai precedenti?
Il Giallo di via San Giorgio è meno cupo, meno metropolitano rispetto agli altri. Per certi versi è anche più estremo, più barocco, con una storia legata al mistero della vecchia villa in mezzo ai boschi, al passato oscuro di una famiglia decaduta, con omicidi che sembrano nascere da ossessioni religiose. Ma è soprattutto la storia di un ritorno alla vita, ai sentimenti, al giusto equilibrio da parte del protagonista, il che avviene proprio nel momento in cui si trova ad affrontare la morte, la malvagità umana, la follia.
7. I tuoi personaggi hanno dei nomi molto particolari, come avviene la scelta, è casuale o causale?
Come dicevo prima, i personaggi nascono così, senza alcuna possibilità per me di ragionarci su. Sono loro che dettano e io mi limito a scrivere, tant’è che non ho la minima idea di come Astore sia saltato fuori…J Per fortuna è stato lui stesso a spiegare l’origine del suo nome all’inizio del libro. In altri romanzi, comunque, gli attori si chiamano Claudio, Ezio, Laura, nomi piuttosto prosaici. Ma se vi dicessi come si chiama il protagonista di un prossimo volume…
8. L’ambientazione quanto conta per te?
Le mie storie si svolgono, quantomeno in parte, in una città senza nome, con vie, palazzi, periferie del tutto anonime. E la città resta sullo sfondo come su un palcoscenico vuoto, poiché ritengo che ciò che conta davvero siano i protagonisti con la loro vita, le loro parole, non la scenografia. Le cose cambiano quando la storia si dipana verso le montagne, le foreste dell’Appennino, verso quei posti che, nel mio immaginario, rappresentano il fascino misterioso della natura. Allora gli scenari assumono una valenza diversa, spesso sinistra, talora rasserenante, ma di sicuro più presente e viva rispetto agli sfondi anonimi della città
9. C’è una cosa che mi ha colpita nella trama, mi riferisco alla modalità di passaggio da un’ambientazione ad un’altra senza che ci sia il classico stacco. Mi spiego con un esempio: c’è il “nostro Astore” (lasciami passare il termine nostro) che sta raccontando le sue perplessità circa la strana assenza della signora Luisa e, all’improvviso, c’è un discorso tra una suora superiora con la sua subalterna, per poi ritornare all'”attore” principale.
Io adoro il cinema degli anni settanta, così come mi piace montare cinematograficamente, o quasi, le mie storie. Così gli stacchi servono per accelerare o rallentare l’azione principale a seconda della necessità, creando un effetto di aspettativa nel lettore che magari si attendeva il seguito immediato di quello che stava vivendo con gli occhi e la fantasia. Non è certo una tecnica che ho inventato io, l’ho apprezzata in altri autori, soprattutto americani, che, evidentemente, condividono con me questo genere di costruzione del racconto.
10. Secondo te perchè il genere thriller non ha mai fine, è sempre nella Top ten dei libri più richiesti, da dove nasce questo interesse per il mistero da parte della gente?
Innanzitutto l’essere quotidianamente inondati da notizie di cronaca nera, da programmi tv che si occupano di delitti, da riviste specializzate nel settore omicidi/massacri/scomparse, porta il pubblico a indirizzarsi, a interessarsi al genere. Chiamiamola, con un termine molto abusato, arma di distrazione di massa da altri problemi di cui non si vuole parlare. Ma non è solo questo, è ovvio. Chi legge un romanzo giallo sa che scoprirà chi è il colpevole e che questi verrà con molta probabilità punito. È rassicurante sapere che si capirà come sono andate le cose e che il Bene l’avrà vinta sul Male. In pratica il contrario di quanto avviene nella realtà… Nel noir le cose stanno diversamente, tuttavia resta il piacere di seguire il corso degli eventi e comprendere ciò che si nasconde nella trama, affiancare il protagonista, condividerne le difficoltà sapendo che sarà lui a doversene trarre fuori. Aggiungo che in Italia ci sono autori che scrivono molto bene e sanno farsi amare sino dalle prime pagine del libro. In più la maggior parte dei gialli/noir/thriller vede i protagonisti tornare in successivi episodi il che facilità lì’identificazione, l’affetto, la curiosità dei lettori.
11. Quali altri programmi hai? C’è qualcos’altro che bolle in pentola?
Attualmente sono in libreria con tre romanzi, quindi per qualche tempo vivrò di rendita. In un futuro non molto lontano usciranno il quarto episodio della serie dell’Inganno, il seguito del Giallo di via San Giorgio e un’altra cosa di cui non anticipo nulla per l’usuale scaramanzia che si adotta in questi casi. Aggiungiamoci anche un paio di racconti in antologie diverse. Attualmente mi sto dedicando molto agli incontri con i lettori che rappresentano il lato più affascinante del mio mestiere. Mi piace incontrarli così come adoro tenere lezioni, spesso trasformate in interrogatori serrati J, nelle scuole. L’importante è che la gente di ogni età legga, che trasformi la propria mente nel miglior posto dove vivere.
12. Prima di salutarci cosa ti piacerebbe di più in questo momento?
Per uno come me che è appassionato di cinema, seppure d’altre decadi, la speranza di arrivare al cinema con i miei romanzi resta in cima alla classifica. Nel posto di immediato rincalzo metterei la possibilità di girare l’Italia da capo a tacco (isole comprese) presentando nelle librerie, nei festival, nei circoli, Astore, Brenno e tutti gli altri amici che mi accompagnerebbero sempre. E ovviamente ricevere la proposta di interviste ricche e interessanti come la vostra che ho accettato davvero con grande piacere! Grazie di cuore.
Grazie a te, Riccardo Landini, per essere stato con noi, ti auguriamo di cuore che i tuoi desideri possano concretizzarsi; il nostro di poterti incontrare presto.