Sai già, caro iCrewer che è nostra abitudine conoscere più da vicino gli autori che recensiamo, potevamo smentirci stavolta? No, è chiaro…
… e quindi eccoci ad un altro tete-a-tete letterario. Questa volta abbiamo il piacere di avere con noi un’autrice giovane e poliedrica della quale vogliamo conoscere qualcosina in più: Emanuela Navone.
Inizio il “fuoco” delle domande… (ma tranquilla Emanuela è solo metaforico, a differenza di quelli del tuo Io sono l’usignolo)
1. Salve Emanuela, conoscerai sicuramente il nostro sito e saprai che ci piace andare simpaticamente nel privato degli autori che trattiamo, per conoscerli meglio e farli conoscere dai nostri lettori. Vuoi parlarci un po di te e della tua vita?
Ciao e innanzitutto grazie per aver deciso di intervistarmi. Oddio, non che abbia granché da dire, ma cercherò. Di me posso dire che ho da poco superato gli –enta (va be’, dai non diciamo la data precisa, ma se il lettore vorrà, la troverà sui social) e abito in un paesino a ridosso degli Appennini tra Liguria e Piemonte. Tralasciando tutto quanto concerne editoria e libri, mi piace la musica metal e rock e quella francese e adoro i gatti. Letteralmente, visto che al momento in cui scrivo ne ho otto più tre che vagano da un vicino all’altro. Sono piuttosto solitaria e mi perdo spesso nei miei pensieri. Anzi, diciamo che mi racconto storie che però non oso scrivere perché davvero incasinate ((Beautiful in confronto non è nulla). Mi piace la fotografia e la pratico in modo amatoriale, e amo la cucina italiana. E i dolci. Soprattutto i dolci.
2. Sei giovane e hai una storia di tutto rispetto nel campo letterario, hai cominciato in fasce praticamente… ci racconti com’è nata questa passione per la letteratura?
Ah boh! Nel senso che sono cresciuta che c’era già. Forse sono i geni di mia mamma, lettrice onnivora anche lei, ma da che ne ho memoria ho sempre letto e scritto. I primissimi libri che ricordo sono stati quelli del Battello a Vapore e gli intramontabili (per me) Piccoli Brividi; in più nella ridottissima biblioteca delle elementari ho trovato tantissime raccolte di racconti (i libri erano così vecchi da essere rilegati con carta marrone!) e penso anche di averne lette un bel po’. Crescendo sono passata all’horror del Re e al fantasy della Bradley, per poi proseguire con altri generi come thriller e narrativa e classici. Penso di essere stata l’unica, nella mia classe alle superiori, felice quando i prof ci davano qualche libro da leggere. Anche la scrittura penso sia nata con me: dall’età di tredici anni ho iniziato a tenere il famoso diario segreto (con tanto di lucchetto e chiave che immancabilmente perdevo) che ho interrotto solamente verso i venticinque, ventisei anni. La primissima bozza di un racconto l’ho scritta verso i dieci, undici anni; una roba così surreale che per fortuna non l’ho più. Ho sempre ritenuto la scrittura per me terapeutica, e in alcuni periodi bui dell’adolescenza scrivevo e scrivevo per allontanarmi dai problemi.
3. Ti confesso che ti ho stolkerato alla grande su internet e sui vari social, ho notato che sei molto attiva, pensi che siano di aiuto per uno scrittore che vuol farsi conoscere?
A dir la verità devo essere attiva, soprattutto per via del lavoro (editor e curatrice di una collana di narrativa), anche se confesso preferirei dedicarmi ad altro, ma tant’è. Comunque per uno scrittore la presenza online e sui social è fondamentale: non si può vivere di amici e parenti e del solo passaparola, occorre costruirsi una solida reputazione online e ti dirò, ormai faccio l’editor da un po’ di anni e devo ammettere che la presenza online, con il mio blog, e sui social, mi ha aiutata molto, essendo partita da zero e non avendo avuto alle spalle aiuti o spintoni di vario genere.
4. Ci parli un pochino del Blog che gestisci?
Il mio blog (Scriviamolo!, www.emanuelanavone.it/blog) è pensato per gli scrittori. Nel senso che raramente parlo di me, e se lo faccio è in funzione di aiutare gli altri. Cerco, con i miei articoli, di rispondere a qualsiasi domanda lo scrittore si ponga: dalla più semplice come scrivere alla più complessa è meglio Amazon, KDP o Youcanprint per autopubblicarsi. Cerco anche di dare uno stampo didattico ma ironico nei miei articoli, usando una scrittura semplice e a prova di idioti, e infatti spesso mi ripeto, ma preferisco ripetere un concetto più volte che scrivere cose solo per gli addetti ai lavori. Ho suddiviso il blog in aree tematiche (scrittura, revisione, pubblicazione, promozione) così che il lettore possa andare a colpo sicuro e trovare quello di cui ha più bisogno, e collegata al blog c’è anche la newsletter, di solito settimanale, in cui riassumo gli ultimi articoli del blog e do anche qualche consiglio in più. Inoltre chi si iscrive alla newsletter riceverà anche un regalino per aiutarlo a correggere il suo libro in semplici e veloci passi. Raramente, ma succede, partecipo a blogtour e pubblico recensioni, ma preferisco che il mio blog sia considerato un aiuto per gli scrittori e non un contenitore di recensioni (che tanto in giro ce ne sono parecchie e più belle delle mie!).
5. Lavori dal 2014 in campo editoriale (come vedi ho stolkerato a fondo) ci spieghi in cosa consiste di preciso il tuo lavoro?
Grande, hai fatto bene. Ho iniziato come assistente editor per Edicolors, una casa editrice genovese specializzata in editoria per l’infanzia, e devo dire che, grazie anche a quel santo dell’editore che mi ha sopportata, mi ha aiutata molto, sia per imparare l’arte (non so se l’ho messa da parte, però) sia per conoscere con mano l’editoria e come funziona. Infatti era una casa editrice molto piccola, e noi dovevamo fare tutto, dal rispondere al telefono a smistare i pacchi per autori e distributore. Un lavoro spesso tedioso, ma mi è servito molto a toccare con mano come funzione il mondo editoriale. Sono poi passata al mondo freelance nel 2015 con il mio sito/blog, quello di cui ho parlato prima, e dall’estate scorsa dirigo la collana di narrativa Policromia per la casa editrice PubMe.
Per quanto riguarda il lavoro di editor, ormai amo definirmi un’editor-psicologa-consulente-coach perché davvero oltre alla correzione in sé faccio tantissimo altro! Per me l’editing non è solo prendere un manoscritto, correggerlo ed essere pagata. È molto di più: è conoscere l’autore, entrare nel suo mondo, rapportarsi di continuo, confortarlo e capire cos’ha in quella testolina; è arrivare alla fine soddisfatti e continuare a sentirsi anche una volta finito il lavoro. Insomma, editor e autore non devono essere amici, lo so, ma deve comunque instaurarsi un rapporto di piena fiducia e di calore. Sennò davvero il mio lavoro sarebbe ridotto a un foglio di Word con le correzioni attive.
6. E adesso è il momento di passare all’Emanuela autrice: approfondisco questo aspetto e ti chiedo, cosa ti ispira?
I sogni. Ebbene sì, gran parte delle cose che scrivo (spesso non pubblicate) sono ispirate da sogni. Lo dico io che la mia mente non dorme mai! Ho un quadernetto che chiamo delle Tazzine (spiegare il perché è lunga, ma in breve sono le ispirazioni che ancora non hanno corpo, tazzine senza senza manico per dirla con Stephen King) e su cui annoto ogni sogno che faccio e che sia meritevole di una storia. Il prossimo luglio uscirà un racconto horror (Buia è la notte, lo trovate su Amazon in preordine già adesso) che è proprio ispirato a un sogno fatto di recente. Per quanto riguarda la scrittura in sé, il mio mentore da sempre (anche se non lo sa, ahimè) è il Re, Stephen King. Infatti ammetto di scopiazzare platealmente alcuni usi che fa lui della scrittura; ma forse non è nemmeno un copiare quanto il fatto che il suo stile mi è ormai entrato nelle vene (lo leggo da quando avevo tredici, quattrodici anni; ci sta, dai!). Prendo comunque ispirazione anche da altri autori o da testi che leggo: modi di formulare una frase e anche punti di vista. Ultimamente ho letto in anteprima “La Quinta Stagione” della Jemisin e mi ha ispirato l’uso della seconda persona presente: ne faccio tesoro e chissà!
7. Quali generi letterari preferisci? Perchè?
Leggo soprattutto thriller, horror e fantasy, meno rosa, ancora meno erotici. Mi piacciono anche i classici e romanzi di narrativa che affrontino temi complicati (un po’ come quelli della collana che gestisco). Non saprei di preciso darti un perché ma quello che è certo è che preferisco storie tragiche a quelle happy ending. L’unico romanzo “rosa” (anche se definirlo così è banale e lo offende anche) che mi sia davvero piaciuto è stato “Cime tempestose” della Bronte. E di certo non è un happy ending!
8. Una domanda da curiosa-ficcanaso: il tuo lavoro di editor è stato mai una fonte alla quale attingere per i tuoi romanzi? Mi spiego meglio e se mi consenti, in maniera più che diretta, hai mai “rubato” (forse sarebbe meglio dire ti sei ispirata) qualche idea agli autori che tratti e che consigli?
Direi di no, per quanto riguarda ispirazioni; come ho già scritto prima ne ho già tante di Tazzine da costruire…! però a volte i lavori che correggo mi piacciono sotto il profilo della scrittura, e magari prendo “in prestito” qua e là qualche frase.
9. Ho letto, recensito e apprezzato il tuo ultimo romanzo “Io sono l’usignolo”. Ho trovato la storia incalzante, piena di colpi scena, con un ritmo pressante che costringe quasi il lettore ad arrivare presto alla fine. Se hai avuto modo di leggere la mia recensione saprai che, in alcuni passaggi del libro, ho trovato queste caratteristiche un po forzate, cosa pensi in proposito?
Io sono l’usignolo è stato un parto cesareo con complicazioni e un postparto doloroso. Sul fatto che sia incalzante, hai ragione: c’è chi lo ha apprezzato e chi lo ha trovato forzato, come nel tuo caso. Non saprei chi ha ragione, in realtà. Quando scrivevo avevo davanti la scaletta e, pur avendo cercato qua e la di allungare i tempi senza mettere troppa fretta, mi accorgevo che non allungavo i tempi bensì solo il brodo e, si sa, una minestrina allungata sa di poco. Ho quindi preferito lasciare il ritmo così, e saranno i lettori a giudicare.
10. Nelle note finali del libro, racconti che hai impiegato molto tempo a scriverlo. Mancava l’ispirazione o hai avuto qualche altra difficoltà?
Come dicevo prima, è stato un parto doloroso. Ho iniziato a scriverlo quasi dieci anni fa, doveva essere un horror e aveva un’impostazione stilistica diversa da com’è ora. Poi per svariati motivi l’ho lasciato perdere, per riprenderlo solo qualche anno fa. Anche lì è stata dura perché anche se la trama era all’incirca la stessa, mi mancavano alcuni passaggi essenziali dell’intreccio e dovevo rendere credibili alcune scene, quindi è stata una lunga ponderazione. Ho tolto poi l’elemento horror per lasciare spazio al thriller, o comunque a un genere privo di elementi sovrannaturali, che con il senno di poi avrebbero decisamente stonato. L’altra difficoltà riguardava il punto di vista: è partito con un narratore onnisciente, è passato attraverso un io narrante a più voci e una terza persona per arrivare finalmente alla prima, con cui mi sono trovata bene, e posso dire che era l’unica che funzionasse per un romanzo del genere.
11. Nella recensione del tuo libro, ad un certo punto mi viene naturale scrivere che la storia merita un seguito anche perchè il finale lascia il lettore in sospeso e immagino volutamente. Ci sarà un seguito a “Io sono l’usignolo“?
Quando ho strutturato la trama e l’intreccio, ero indecisa se scrivere un finale un po’ happy ending o lasciarlo aperto e lasciare al lettore le sue considerazioni. Sotto questo profilo ammetto di avere attinto molto dal Re, perché spesso alcuni suoi romanzi hanno il finale aperto e (spero) non ci sono sequel. E anche per Io sono l’usignolo sarà così. Non sei la prima a domandarmi se scriverò un seguito, e ammetto di averci pensato, ma al momento non saprei proprio come portarlo avanti senza che diventi una forzatura. Chissà, magari uno spin-off…
12. Un’altra mia curiosità (ne ho tante, si): la scelta del titolo è ispirata a qualcosa in particolare? L’usignolo è un uccello che ispira armonia e delicatezza già soltanto a sentirne pronunciare il nome, come mai lo usi per soprannominare uno psicopatico?
Questa chicca la lascio per te e per i lettori del vostro blog. Subito il buon Florian doveva chiamarsi Rossignol di cognome, che in francese significa “usignolo”. Poi era troppo telefonato il collegamento con l’uccellino e ho cambiato il cognome in Chevalier. E la scelta dell’usignolo era dettata, dieci anni fa, da una canzone che ascoltavo all’epoca: “Know why the nightingale sings” dei Nightwish. Non c’entra nulla con la storia di adesso, ma allora l’usignolo aveva un ruolo più definito. È stato anche questo uno dei motivi della difficile gestazione, ma poi ho semplicemente collegato il fatto che un personaggio psicolabile come Florian Chevalier potesse trovare naturale, nel suo Io, chiamarsi usignolo. E poi lui stesso lo dice: l’usignolo è libero finché non lo mettono in gabbia. E pure lui lo è sempre stato… in un certo senso.
13. Il personaggio intorno al quale ruota l’intera storia, l’usignolo appunto, è quasi defilato, poco descritto, a differenza di tutti gli altri che, devo dire, sono molto ben delineati anche a livello psicologico, non pensi che il lettore avrebbe avuto la curiosità di saperne di più?
A dir la verità il mio tentativo (che sia riuscito o meno spetterà sempre al lettore dirlo) era di far emergere il personaggio di Florian Chevalier dai racconti degli altri e da qualche rara immagine alla fine. Non mi sarebbe piaciuto parlarne espressamente inserendolo come personaggio pensante o addirittura io narrante affiancato al protagonista. Nella mia testa avrebbe perso quell’aura di mistero che lo circonda. Al lettore basti sapere quello che anche il protagonista sa: e si fidi, il lettore, che va bene così, perché entrare nella mente dell’usignolo comporta molto rischi…
14. E dopo questo interrogatorio, finisco con una domanda personale: una personalità poliedrica come la tua, in quale ruolo o veste si cala meglio?
… di gattara 😀
Scherzi a parte, in questi anni mi sembra di aver finalmente trovato la mia strada, l’editoria, e quindi mi calo meglio qui, come editor, curatrice di collana, blogger e persona che scrive (non mi definisco scrittrice perché ormai lo trovo un termine troppo abusato). Dire che vivo nei libri non è esagerato, però è così. E per ora va bene.
Una lunga intervista che ci ha fatto conoscere una personalità vulcanica, dalle mille sfaccettature e dalla grande simpatia. Grazie Emanuela per la disponibilità e aspettiamo di vedere sviluppata qualche altra tua Tazzina e leggerti ancora.
Grazie mille per l’opportunità 🙂
-Grazie a te Emanuela e a rileggerti!