Ecco finalmente per la nostra rubrica “Sogni di Carta” l’intervista alla simpaticissima Maria Concetta Distefano.
Raccontaci un po’ di te. Cosa fai nella vita?
Fino al 20016 sono stata un’insegnante di Inglese presso un Istituto Tecnico per Periti Aziendali e Informatici di Torino, città dove abito dal lontano 1985. Alle spalle ho un lento e costante spostamento verso il Nord. Sono nata a Ragusa ma ho vissuto a Comiso (RG) fino ai diciotto anni. Lì ho frequentato il Liceo Classico e poi mi sono trasferita a Pisa per frequentarvi l’università (Facoltà di Lingue e Letterature Straniere). A Pisa, per un caso del destino, ho alloggiato nella stessa casa in cui Leopardi scrisse “A Silvia”! Mi piace ricordarlo perché, ogni volta che rientravo, vedere la targa “leopardiana” sulla parete esterna dell’edificio mi emozionava moltissimo! Dopo la laurea ho cominciato a tradurre dall’inglese “gialli” Mondadori e “rosa” dell’Editoriale Corno e a sostenere e superare dei concorsi a cattedra per insegnare. Sono arrivata quindi a Torino in seguito a una mia richiesta di trasferimento per seguire il marito che in questa città aveva trovato lavoro. Non mi sono mai pentita della mia decisione perché a Torino ho trovato un ambiente molto stimolante seppur sabaudamente sobrio. Perfetto! Sono in pensione anticipata (Opzione Donna) per potermi dedicare più compiutamente alla scrittura e alla famiglia. Ed è tutta un’altra vita! Nel tempo libero strimpello il pianoforte, leggo e viaggio. Sono una frana in cucina e non ho il pollice verde!
Quando ti sei buttata per la prima volta nel mondo dell’editoria? Cosa ti ha spinto?
I primi diciotto anni a Comiso sono stati molto formativi perché, pur essendo un piccolo paese di provincia, il suo mondo artistico era proprio una fucina d’idee e di persone super DOCG! Una per tutte: Gesualdo Bufalino, lo scrittore vincitore del Campiello 1981 col suo capolavoro Diceria dell’untore, che era un caro amico di famiglia e che m’introdusse, assieme a mio padre (pittore), alla lettura di classici “imprescindibili” e al quale, timidamente, facevo a volta leggere i miei “temi” scolastici per fare tesoro dei suoi consigli. Piano piano, dopo l’università, l’idea di scrivere “sul serio” si fece strada nella mia mente e, dopo aver passato un’estate indimenticabile a rivedere la traduzione in inglese del libro del Maestro, decisi di “buttarmi” nella “scrittura creativa”. Iniziai a partecipare a vari concorsi letterari, vincerne alcuni, a “entrare” in antologie legate a premi letterari edite da Mondadori, Baldini e Castoldi, Sperling ecc. e a collaborare con delle riviste femminili in maniera continuativa. Oggi, e da più di trenta anni, sono una collaboratrice fissa della rivista Intimità.
”Le amiche del ventaglio” è stato il tuo primo esordio?
Diciamo che “Le amiche del ventaglio” è stato il mio primo romanzo, cioè un testo molto più lungo delle solite “max trenta cartelle” dei vari concorsi e delle storie/inserti staccabili per Intimità. La stesura di questo romanzo è stata una bellissima sfida e un’avventura meravigliosa. Non è nato “nottetempo” e ha richiesto mesi e mesi di durissimo lavoro. Durante tutto il processo creativo e di ricerca, però, mi sono molto divertita!
Hai progetti futuri?
A settembre, se tutto va bene ed io e la mia editor riusciamo a finire l’editing in tempo, dovrebbe uscire il sequel/non sequel de “Le amiche del ventaglio”. Anche questa un’altra avventura bellissima che mi ha portato – nel corso delle varie ricerche – a scoprire moltissime cose sugli argomenti più svariati! Insomma, scrivere è fantastique!
Da dov’è arrivata l’idea per scrivere questo romanzo?
L’idea per “Le amiche del ventaglio” è arrivata dalle mie personalissime caldane, dalle chiacchiere con le colleghe a scuola in sala insegnanti, con le amiche a tavola. Una sorta di “intimo gossip” o “outing di gruppo” che mi ha fatto pensare che non sarebbe stato male dargli una struttura e farlo diventare un romanzo!
Penso che questo si possa intendere anche un romanzo autobiografico, in cui tante donne possono rispecchiarsi. L’autoironia è davvero importante nella vita?
E si può intendere sì come un romanzo autobiografico, sob sob! E credo pure che tante donne vi si possano rispecchiare. Per quanto riguarda l’autoironia credo che essa sia importantissima! Fondamentale! Secondo me, il non prendersi mai troppo sul serio, il vedersi sempre come dall’esterno, il ricordarsi che siamo persone fallibili, con pregi e difetti, utili ma non indispensabili… be’, questo modo di sentire la vita aiuta a rendere l’esistenza più sopportabile anche nei momenti più bui. Qualcuno ha detto di aver trovato il mio romanzo pervaso da “leggerezza calviniana” e l’ho trovato il più bel complimento ricevuto. Un romanzo “leggero”, cioè, ma non “superficiale”.
Cosa ne pensano le vere “Amiche del ventaglio” del tuo romanzo?
Questa è una dolorosa historia. Sarò sincera: le vere amiche del ventaglio (quelle i cui discorsi a tavola e in sala insegnanti avevo ascoltato con attenzione) si sono riconosciute nel romanzo e… non mi hanno “più fatto amica” per un anno! Ho cercato di spiegare loro che avevo dovuto esagerare ed enfatizzare certi aspetti del loro fisico e del loro temperamento per motivi “narrativi” ma non hanno preso bene il loro essere “messe in piazza” con le loro paturnie, paranoie, idiosincrasie ecc. Infatti, non hanno voluto girare il booktrailer del libro con me (mi sono rivolta ad altre amiche) e poi… dopo un anno solare (365 giorni!) hanno accettato un mio invito a cena per “fare pace” e mi hanno fatto tipo “giurare sulla Bibbia” che non le avrei mai più “messe in un libro!”
In qualche modo, questa storia pensi possa essere una sorta di “supporto” per tutte le donne con problemi comuni?
Spero proprio di sì! Credo che le mie donne siano persone vere (diciamo fin troppo!) che hanno trovato nella comunicazione fra loro e nel mutuo soccorso un modo sicuro per “uscire” da situazioni imbarazzanti e dolorose legate alla salute, agli affetti, ai problemi di lavoro. In tutta sincerità, credo che la solidarietà e l’amicizia vera siano il solo modo per “venir fuori bene” da situazioni d’impasse. Quindi sì, spero, voglio credere che questo romanzo, scritto con uno stile un po’ scanzonato, sia invece un messaggio di valori profondi e forti. Forti più di tutte le avversità che la vita ci pone di fronte.