Schevchenko? Scusatemi ma io preferisco chiamarlo Scheva, e non credo di essere la sola. In campo, negli stadi di mezzo mondo, negli articoli a lui dedicati o nei programmi sportivi degli anni ’90, di Andreij Schevchenko c’era ben poco ma di Scheva sì, si parlava eccome.
Perchè Sheva era Sheva e lo è ancora oggi. Un nome una garanzia, intoccabile uno di quelli che il calcio l’ha fatto grande e non solo quello straniero. Anzi diciamolo pure, il cuore di Sheva è rimasto legato all’Italia più di quanto si possa pensare.
Shevchenko, il Fenomeno del Mar Nero
Per otto lunghi anni Milano e il Milan lo hanno accolto e protetto come una grande famiglia e lui ha ricambiato a suon di goal, come solo lui sapeva fare, l’unico modo per ripagare di tanto affetto.
Sheva è stato un vero e proprio fenomeno del calcio italiano e internazionale, “Il fenomeno del Mar Nero”, per essere precisi. Almeno così piaceva nominarlo nei rotocalchi sportivi, quasi un marchio di fabbrica, per distinguerlo dai vari George Weah, Oliver Bierhoff, Ibraimovich, Batistuta, Rui Costa, il fenomeno capace, appena arrivato a Milano nel 2000, di mettere in rete ben 36 goal.
E pensare che l’esordio, il futuro Re Sheva, guarda caso, lo fa proprio con la maglia rossonera in quel di Lecce, il pomeriggio del 28 agosto del 1999, dove si presenta carico e volenteroso e con una gran voglia di fare bella figura. Nella memoria sportiva ne uscirono tutti senza lode e senza infamia, un bel 2 a 2 e tutti a casa; qui di lui si cominciò a parlare visto che ad infilare uno dei due goal era stato il suo.
Shevchenko la vita, la sua carriera
Shevchenko se li ricorda bene quegli otto anni: l’esordio nella stagione 1999/ 2000 che gli vale il titolo di capocannoniere con 24 reti, titolo che conferma anche l’anno dopo con 24 goal. Rimane al Milan fino al 2006 per ritornare dopo una breve parentesi nel 2008/09.
Con la magia rossonera conquista nel 2003 di tutto di più, la Champions League, una Coppa Italia, una Supercoppa Europea e lo Scudetto, la stagione successiva vince la Supercoppa Italiana e riceve in premio il Pallone d’Oro. La sua ultima gara in A con il Milan il 16 maggio 2009 a Udine, nella sconfitta contro l’Udinese per 2-1. In totale 322 presenze e ben 175 reti. Non è da tutti!
Il calcio è un mistero fatto di episodi, al quale sarò sempre grato, perché ha definito quello che io sono oggi come uomo»
Una vita dedicata al calcio, una passione forte che lo salva da una futuro troppo pericoloso. Difficile accantonare i ricordi dell’infanzia. Sheva cresce a 200 km da Chernobyl, respira ogni giorno la morte, tirare un calcio al pallone sembra l’unica cosa che rende normale vivere.
“Mi sembrava tutto normale. Avevo dieci anni. Mi divertivo come un pazzo giocando a calcio ovunque, facendo qualunque sport. Mi avevano preso all’accademia della Dinamo Kiev, mi sembrava di cominciare a vivere un sogno. Poi saltò in aria il reattore 4, e ci portarono via, tutti”.
“Chiusero subito le scuole. Arrivavano pullman da tutta l’Urss, caricavano i giovani tra i 6 e i 15 anni e li portavano via. Io mi ritrovai da solo al Mar d’Azov, sul Mar Nero, lontano 1.500 chilometri da casa. Eppure ancora oggi non provo angoscia. Mi sentivo come in un film, vissi quell’esperienza come una gita. Ero un bambino”
L’Italia era scritta nel suo destino. A 12 anni disputa un torneo ad Agropoli insieme ai suoi compagni di squadra, tutti “istruiti a non dare confidenza”, ma la gente li accoglie con un sorriso e lui decide, nel suo cuore, che in quel Paese ci sarebbe tornato. “Con il passare del tempo sono in tanti a morire, uno dopo l’altro, non tanto per le radiazioni quanto per l’alcol, la droga, le armi. Si smette di credere in un futuro migliore, senza speranza non c’è futuro e ci si perde”, scrive il calciatore. A salvarlo dalla depressione è l’amore e la dedizione dei genitori e con loro il calcio.
Shevchenko l’autobiografia
Passato il tempo dei dolori, per superali Sheva ha dovuto metterci tutta l’anima, già segnata dalla vita, quella che ogni giorno ti ricorda chi sei stato, le tue origini e da cosa sei scappato. Esperienze che alla fine di una carriera fanno maturare, insegnano il vero senso della vita, quella vissuta con coraggio e voglia di arrivare senza perdere la dignità.
“Non importa dove vai, il tuo passato ti trova sempre. Vivo a Londra, mia moglie è americana, i miei figli hanno doppio passaporto. Ma resto profondamente ucraino”
Shevchenko ricorda tutto, senza omettere nulla, con enorme affetto nella sua autobiografia Forza gentile, di Baldini +Castoldi, uscita proprio in questi giorni.
L’ho rivisto con piacere qualche giorno fa in una intervista televisiva andata in onda per presentare il suo libro. Sembrava che il tempo non fosse trascorso, il sorriso ingenuo di un tempo, che io ricordo bene, la gentilezza d’animo e dei modi, la gratitudine per l’attenzione rivolta, l’accortezza nel non dimenticare nulla, neanche l’incredibile vittoria contro la Juventus a San Siro
“Ho sempre avuto dubbi, mai paura. Dal cerchio di centrocampo al dischetto mi è venuto in mente di tutto. L’infanzia, Chernobyl, gli amici morti, tutto. Ma sopra ogni cosa mi dicevo di non avere dubbi. Una volta che hai deciso dove tirare, non importa cosa fa Buffon, non importa niente, basta non cambiare ideali.
Ricordo che mi sono passato la lingua sul labbro, e mi sono reso conto che avevo la bocca completamente secca. Ho fissato l’arbitro, perché il rumore dei tifosi copriva tutto e non avevo sentito il fischio. Lui mi ha fatto un cenno. E allora sono partito”.
Sì, Sheva è ancora Sheva!