L’avarizia, secondo me, è il peggiore dei sette vizi capitali. Chi è avaro, e non solo di soldi o beni materiali, non è capace di di offrire amore. Infatti l’avarizia può essere vista anche come avarizia di sentimenti e amore verso il prossimo. La figura dell’avaro è sempre stata argomento di grande interesse di scrittori e poeti, diventando oggetto di scherno e di satira. Con il Cristianesimo l’avarizia entra a far parte dei sette peccati capitali ed ebbe una condanna addirittura metafisica: “Facilius est camelum intrare per acus forarem quam divitem in regnum coelorum” (E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei Cieli).
L’avarizia il peggiore dei vizi
Ancora oggi gli avidi e gli avari sono considerati egoisti, perché usano il prossimo a proprio vantaggio. Ma chi è che ama la ricchezza e il denaro? Ovviamente non sono solo i ricchi, ma anche la gente povera. Il denaro per queste persone assume un valore fine a se stesso e porta l’avaro a condurre una vita priva di piaceri concreti, dove l’unico obiettivo è accumulare.
Differenza tra avidità e avarizia
La persona avida e la persona avara sono molto simili, ma differiscono per una piccola caratteristica. L’avaro tende a tenere per sé i suoi averi e i suoi beni, mente l’avido ha come obiettivo, non solo il tenere per sé, ma anche accumulare e accrescere il proprio capitale.
Gli esempi che presenta la letteratura sono tanti. Il primo a dare una definizione di avaro è Plauto che crea un personaggio grottesco, tanto indovinato da aver poi avuto enorme presenza in parecchie delle letterature europee e che può considerarsi il prototipo dall’avaro.
Il denaro come ragione di vita, come pensiero dominante in cui si celano insicurezza di sé e timore assillante del futuro è il tema che Plauto sviluppa in chiave comica, basandosi su un modello quasi menandreo, una commedia vivacissima: l’Aulularia.
Lo scrittore latino non vuole descrivere la storia di un’anima, ma semplicemente sfrutta l’avarizia come carica farsesca del suo fantoccio, e lo fa passare per una serie di situazioni ridicole. L’avaro di Plauto si chiama Euclione. È gretto, avido, sospettoso, nevrotico: ha nascosto una pentola piena d’oro in un luogo segreto su cui ossessivamente vigila, inquieto ed alienato da ogni altro interesse, fino a creare egli stesso le premesse del furto tanto temuto.
Il viaggio nella letteratura
Celebre è la descrizione dipinta da Dante, sia nell’Inferno che nel Purgatorio. Il Sommo Poeta descrive l’avarizia come offesa diretta a Dio. gli avari e i prodighi sono insieme sottoposti alla stessa pena, in quanto il loro vizio ha il medesimo movente nel desiderio inestinguibile di accumulare ricchezza, che gli uni accumulano per il piacere del possesso e gli altri per profonderle irragionevolmente.
Nel settimo canto dell’Inferno avari e prodighi sono sottoposti alla pena di percorrere, distinti in due schiere, un semicerchio spingendo dei massi col petto. Quando si scontrano, si ingiuriano rinfacciandosi a vicenda la loro colpa gridando “Perché tieni? ” e ” Perché burli? “; poi si voltano per ripetere lo stesso movimento e ancora scontrarsi nella parte opposta del semicerchio. Qui i peccatori sono più numerosi che altrove e tra di loro troviamo un gran numero di religiosi, ma la vita priva di senno che essi condussero li rende irriconoscibili fino a quando, il giorno del giudizio, usciranno dal sepolcro gli avari col pugno chiuso e i prodighi con i capelli mozzi.
Tra i tanti autori celebri per aver dipinto la figura dell’avaro, sicuramente la mente richiamerà L’Avaro, opera di Molière, ripresa da Goldoni. Nella commedia, di derivazione plautina, il protagonista è Arpagone, un ricco vedovo borghese che vive prestando denaro ad alto interesse. Possiede diecimila scudi d’oro non ancora messi al sicuro e, così come Euclione, vive nel terrore che qualcuno glieli porti via. È disposto a far sposare i suoi figli con un anziano e una vedova, purché abbiano una ricca dote. Organizza i matrimoni, tra i quali c’è anche il suo con la fidanzata del figlio, nello stesso giorno, per risparmiare le spese. Quando il servo Freccia gli ruba il denaro per aiutare il padroncino, Arpagone è sconvolto e cede addirittura ai ricatti del figlio. Al contrario del protagonista dell’Aulularia, egli non opera a fin di bene, fa del male ai suoi figli pur di guadagnare qualche soldo. È egoista, è ripugnante nelle sue azioni, e non è divertente come Euclione.
Il percorso della letteratura nella descrizione dell’avarizia arriva a toccare anche Giovanni Verga con La Roba. Mazzarò è un contadino divenuto ricchissimo con lavoro e sacrificio; ma la condizione di bracciante sfruttato è ancora presente in lui al punto che la “roba” diventa ossessione, potere, affermazione di sé, vita. Ha campi, uliveti, magazzini da riempire con gli abbondanti raccolti, si sente più forte del re, che ha tante terre ma non può né venderle né affermare che sono sue.