Scuola di felicità per eterni ripetenti è frutto di un amore a prima vista, di un colpo di fulmine nato in libreria per caso. Ammetto che seguo e ho letto vari saggi del professore Enrico Galiano e li ho amati tutti, dal primo all’ultimo. Ti starai chiedendo perché: questo scrittore riesce a cogliere dettagli che fanno vibrare le corde del cuore, si lascia andare anche a piccole confessioni della sua vita che portano a soffermarti e a chiederti se tutto quello che stai facendo porta nella direzione giusta, se lo stai facendo perché veramente lo vuoi o ti è imposto.
Fatta questa premessa, questo libro l’ho letto tutto d’un fiato e sapevo che avrei potuto imparare già tante cose. Quali? Scopriamolo con la mia recensione!
Scuola di felicità per eterni ripetenti di Enrico Galiano: la mia recensione
Le ragazze e i ragazzi è questo che ti fanno: ti mettono davanti chiaro e lampante tutto ciò che nella vita hai sempre saputo, ma non sapevi di sapere. Ti rifiutavi di saperlo, perché la verità è una lama affilata che può diventare pericolosa da maneggiare, e pur di non farsi male a un certo punto la si chiude in un cassetto, raccontandosi giorno dopo giorno che è il cassetto dei sogni impossibili, delle illusioni infantili.
E invece hanno ragione loro. Hanno sempre avuto ragione loro, e noi non sappiamo niente.
Queste parole, scritte nella prefazione del libro, mi hanno commossa, perché racchiudono una realtà che abbiamo davanti a noi tutti i giorni e che molte volte, la fretta, gli impegni, le preoccupazioni, il lavoro ci fanno dimenticare. Ringrazio l’autore Enrico Galiano perché sono una mamma e molte volte penso che sia tutto scontato, pretendo dalle mie figlie il massimo, le educo nel modo migliore possibile e cerco di insegnare a loro i valori e quello che ritengo sia giusto per loro.
Ma quante volte sono i nostri figli a impartirci lezioni di vita? E magari non ce ne accorgiamo, non ci soffermiamo, non siamo stati abbastanza attenti. Questo libro ci accoglie in una scuola: un’aula in cui i genitori e gli insegnanti sono seduti sui banchi pieni di scritte e in cattedra troviamo i ragazzi, che ci impartiscono lezioni di vita, dall’amicizia all’amore, dal coraggio alla libertà, dai sogni al silenzio.
Un bel giorno ci si accorge poi che la vita è un continuo rinnovamento, è un continuo mondo in cui non si smette mai di imparare e che l’aver costruito un fortino di sicurezze e blindato non è la soluzione per aver accesso alla felicità. No, non è questo. I nostri ragazzi ci insegnano costantemente che è bello sbagliare, lasciarsi andare, essere lenti a dispetto di orari e appuntamenti, farsi domande. Ma cosa significa la parola domanda?
Domanda: l’io interiore da domare
Quante volte i nostri figli ci fanno domande e noi ammutoliti? Il saggio di Galiano è suddiviso in 21 capitoli, ciascuno dei quali affronta una piccola lezione con un argomento diverso. Tra questi, quello che mi ha colpito maggiormente è stata la piccola lezione sulle domande.
Lo scrittore inizia ogni capitolo partendo dalle origini e dal significato della parola oggetto principale dell’insegnamento per poi raccontare i suoi alunni e quello che noi genitori non vedremo mai: le loro paure, i loro desideri, le loro curiosità espresse all’insegnante.
E quando ho letto questo capitolo mi sono sentita in colpa per le volte in cui, alle domande delle mie figlie, ho dato una risposta secca o spiegata velocemente per fare in modo di non creare altre domande, di non scavare a fondo. Ahimè, ho sbagliato. La domanda, qualcosa che deve essere domata, esprime l’io interiore dei nostri ragazzi, quella parte emozionale che non riescono a trattenere dentro e che sputano fuori in attesa di trovare una risposta che li faccia sentire bene.
Ma, come spiega anche Galiano, l’etimologia del termine domanda ha un significato più profondo: è qualcosa che si affida, che si raccomanda di trattare con delicatezza e rispetto ed è questa la ricetta giusta da fare per ogni singola domanda che i nostri figli ci pongono. Loro ci mettono tra le mani un tesoro prezioso, che appartiene a loro, e noi dobbiamo diventare custodi di questa loro voglia di sapere, di conoscenza, perché solo in questo modo ci si sente vivi.
Chissà, forse un giorno imparerò davvero questa lezione.
Per ora, sono un eterno ripetente.