È sembrato un giorno come un altro, tutto si è svolto come sempre, ma solo per noi, figli di una generazione abituata a pensare di essere immuni da qualsiasi pericolo. Non lo è stato per chi questo giorno lo ha ricordato con lo sguardo perso verso luoghi ora lontani ma impresso nel cuore e marchiato sulla pelle. Errato pensare che per i sopravvissuti all’olocausto qualcosa sia cambiato, è cambiato solo lo scorrere del tempo che impietoso scandisce il ritmo dei ricordi e solca i volti ormai segnati dalla tristezza come un vestito lacero a cui non si vuole rinunciare.
Per la memoria storica la data del 27 gennaio del 1945 dovrebbe rappresentare il ritorno alla libertà, l’uscita da un incubo, ma è davvero così? È stata una vera rinascita? Chi è tornato dall’incubo oltre alla vita ha portato con se il dolore degli affetti perduti, il senso di precarietà dell’esistenza, spettatori involontari di orrori indicibili e questo non si dimentica.
Sami Modiano l’ebreo sopravvissuto alla deportazione ad Auschwuitz
La storia di Sami Modiano è molto simile a quella dei sei milioni di ebrei rinchiusi nei campi di sterminio nazisti. A lui, come per coloro che sono sopravvissuti, è stata dato l’ingrato compito non solo di dare voce al dolore provato per le atrocità vissute quanto quello di mantenere vivo il ricordo dei milioni di ebrei sacrificati dalla follia umana. Per Sami, nato a Rodi, all’epoca provincia italiana, tutto inizia nel 1944, quando improvvisamente, dopo la morte della madre e l’uscita delle leggi razziali, a soli otto anni viene espulso dalla scuola perché ebreo.
Tutta la comunità ebraica viene caricata su una nave e trasportata ad Auschwitz, anche Samuel viene internato con il papà Jacob e la sorella Lucia nello stesso campo di sterminio. Sami non è più un bambino, il suo corpo è marchiato con il numero B7456, un numero che in qualche modo lo salverà dalla morte. Il padre infatti lo trasferisce tra i superstiti riuscendo a nasconderlo, ma subito dopo verrà ucciso nella camera a gas insieme alla sorella. Sami rischia ancora una volta di finire nei forni crematori, ma viene usato da un ufficiale per trasportare il cibo. Strano ma vero Sami riesce anche a fare amicizia con Piero Terracina un ragazzo di Roma deportato con lui in Germania
“Fu un’amicizia vera, profonda, fraterna. Avevamo tutti e due bisogno di un punto di riferimento”
Sami Modiano. La sua testimonianza
L’arrivo delle truppe sovietiche costringe i nazisti a fuggire con i prigionieri verso Auschwitz. Sami ormai esausto viene aiutato da alcuni deportati che gli salvano la vita lasciandolo sui corpi dei cadaveri; risvegliatosi riesce a liberarsi e arrivare ad un rifugio dove ritrova il suo amico Terracina e Primo Levi: è il 27 gennaio del 1945. La vita di Sami, una volta tornato alla vita non sarà mai realmente normale. Si trasferisce nel Congo e si sposa, ma in seguito ritorna in Italia dove incontra Walter Veltroni che gli propone di ritornare ad Auschwitz con un gruppo di ragazzi. Da questa esperienza Veltroni ne ha tratto Tana libera tutti, Sami Modiano il bambino che tornò da Auschwitz edito da Feltrinelli, un libro che raccoglie l’intera testimonianza del sopravvissuto.
Sami Modiano aveva solo otto anni quando è stato espulso dalla scuola. Abitava a Rodi, all’epoca territorio italiano, ed era in terza elementare. Il maestro non gli spiega il perché, gli dice solo di tornare a casa dal padre. Da quel giorno Sami smette di essere un bambino e diventa un ebreo. Con il padre Jakob e la sorella Lucia affronta le difficoltà delle Leggi razziali fasciste, fino al rastrellamento dell’intera comunità ebraica avvenuto nel luglio del 1944. Sami e la sua famiglia vengono caricati su una nave e poi ad Atene su un treno. Un mese di viaggio in condizioni disumane, verso il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.
Lì all’inizio riesce a vedere da lontano la sorella, ma quando lei scompare il padre decide di presentarsi all’ambulatorio, che nel campo equivale a una condanna a morte. “Tu ce la devi fare,” dice Jakob salutando il figlio, e queste parole diventeranno la sua arma per resistere.
Nel 2005 Sami ha trovato la forza di tornare ad Auschwitz, insieme a un gruppo di ragazzi e al sindaco di Roma Walter Veltroni, e da quel momento non ha mai smesso di incontrare gli studenti. “Sono stato l’unico della mia famiglia a sopravvivere e per anni mi sono chiesto: ‘Perché?’. L’ho capito solo quando ho deciso di raccontare: sono sopravvissuto per testimoniare.”
Nonostante i suoi 90 anni, Samuel porta senza sosta la sua esperienza visitando le scuole, parlando con i ragazzi per raccontare il suo dolore e la tragicità degli eventi perché non siano dimenticati…
“Bisogna continuare a vivere ma non si può uscire da Auschwitz, è impossibile. Io sono ancora là“