A volte, per riferirsi ai propri genitori, si usano i termini madre e padre, che portano con sé una certa formalità, una maturità che deriva, in primissimo luogo, dal riuscire a pronunciarli correttamente. Perchè è difficile immaginare un bambino o una bambina di un paio d’anni che riesce ad articolare suoni complessi come dr. Ed è proprio per questo che esistono le parole papà, babbo e mamma.
Composti dalla ripetizioni di sillabe semplici, sono i nomi perfetti per quelli che, in teoria, dovrebbero essere coloro che si prendono cura del bambino, soprattutto nei suoi primi anni di vita. Certo, prima di essere chiaramente chiamati “Mamma”, “babbo” o “papà” si passa per ogni genere di variante – compreso il momento in cui, ad esempio, mama è sia la madre che uno degli oggetti preferiti o che portano maggior conforto – ma a un certo punto c’è la quasi certezza di giungere a una di queste versioni (per un po’ almeno, perchè alla fine ogni pargolo chiama i propri genitori come vuole, arrivando a volte persino a coniare nomi nuovi e speciali. Io, personalmente, mi assesto su un semi-classico papi).
Tuttavia, mentre mamma è diffuso abbastanza uniformemente in tutta Italia, il termine affettuoso e familiare per definire il padre presenta due variati: babbo e papà.
Cosa cambia tra l’usare il termine papà oppure babbo?
Parlando al presente, l’utilizzo di una parola piuttosto dell’altra può essere semplicemente un indicatore delle origini geografiche del parlante o del genitore (perchè non è che il bambino s’inventa da solo i termini, ma apprende ciò che sente). Nello specifico, babbo risulta utilizzato soprattutto in Toscana e nelle zone limitrofe (quindi se una persona toscana si trasferisce in Piemonte, ad esempio, e al proprio figlio o alla propria figlia dice abitualmente cose come “Vieni dal babbo”, sarà babbo il termine che lo identificherà). Nelle altre regioni, papà ha soppiantato versioni più dialettali o autoctone.
La faccenda si fa più interessante nel momento in cui si volge l’occhio al passato e all’origine di queste due varianti di padre. Particolarmente utile al riguardo è il materiale raccolto dall’Accademia della Crusca, l’ente che si occupa della catalogazione, della salvaguardia e dell’aggiornamento della lingua italiana – è l’Accademia che, per fare un esempio, ha reso petaloso un aggettivo corretto e parte della lingua scritta (perchè per quanto ci sia una norma anche parlata, c’è molta più flessibilità, soprattutto in contesti informali).
Mentre babbo compare già all’interno dell’Inferno di Dante, papà è un francesismo introdotto nella lingua italiana di cui, per quanto non fosse molto diffuso, risultano attestazioni a partire dal 1825. Inizialmente, però, papà non era un termine neutro, ma portava in sé una connotazione spregiativa: era vista come una parola utilizzata dalle persone alto locate, oppure da coloro che volevano ritrarsi come tali. Babbo, invece, veniva utilizzato dal popolino.
Tuttavia, già verso i primi del Novecento la diffusione di questo termine era velocemente accelerata, fino ad arrivare, nel 1965, a essere considerata come la variante preponderante, laddove babbo rimane tipico della zona toscana.