Sono tanti i termini che usiamo spesso, ma che il più delle volte non ne conosciamo l’origine, proprio come il termine lapalissiano. È un termine elegante che si utilizza per descrivere una verità ovvia, evidente, talmente chiara da non necessitare di spiegazioni. Questo aggettivo deriva dal nome di Jacques de La Palice, un maresciallo di Francia vissuto tra il XV e il XVI secolo, noto più per una curiosa leggenda che per i suoi meriti militari.
Origine dell’aggettivo lapalissiano
L’origine del termine lapalissiano è legata a un epitaffio attribuito erroneamente a La Palice. Dopo la sua morte durante l’assedio di Pavia nel 1525, si dice che una strofa commemorativa recitasse: “Ci-gît Monsieur de La Palice: s’il n’était pas mort, il ferait encore envie” (“Qui giace Monsieur de La Palice: se non fosse morto, farebbe ancora invidia”). Tuttavia, un errore di trascrizione o di interpretazione portò a un risultato ironico e ridicolo: “s’il n’était pas mort, il serait encore en vie” (“se non fosse morto, sarebbe ancora vivo”).
Questa frase, così banale nella sua ovvietà, fece nascere il termine lapalissiano, per indicare una dichiarazione che sottolinea qualcosa di talmente evidente da risultare quasi ridicolo.
Nel linguaggio corrente, l’aggettivo viene utilizzato per descrivere un’affermazione che non aggiunge nulla di nuovo o di utile alla conversazione. È spesso utilizzato in modo ironico o sarcastico per sottolineare l’inutilità di certe dichiarazioni.
Chi è Jacques de La Palice
Jacques II de Chabannes de La Palice (La Palice, 1470 circa – Pavia, 24 febbraio 1525) è stato un militare francese, maresciallo di Francia. Jacques, figlio di Geoffroy de Chabannes e Charlotte de Prie, entrò al servizio del re Carlo VIII di Francia a quindici anni. Partecipò alla battaglia di Saint-Aubin-du-Cormier nel 1488 e sposò Marie de Montberon nel 1492, con cui ebbe un figlio. Seguì il re in Italia nel 1493 e combatté a Valenza, Tortona e Alessandria, partecipando anche alla battaglia di Fornovo nel 1495.
Dopo la morte di Carlo VIII nel 1498, servì Luigi XII e partecipò alle campagne in Lombardia contro Ludovico il Moro e in seguito a Napoli. Nel 1502 fu nominato viceré degli Abruzzi, ma fu catturato dagli spagnoli a Ruvo di Puglia e rilasciato nel 1504. Sua moglie morì nello stesso anno.
Comandò l’avanguardia francese all’assedio di Genova nel 1507 e partecipò alla guerra della Lega di Cambrai nel 1509. Nel 1511 divenne gran maestro di Francia e combatté in Italia contro gli spagnoli e il papa. Rimase gravemente ferito a Brescia e partecipò alla battaglia di Ravenna nel 1512. Fu inviato sui Pirenei e combatté contro gli inglesi ad Artois nel 1513, dove fu ferito e catturato, ma successivamente rilasciato.
Nel 1514 sposò Marie de Melun, con cui ebbe un figlio e quattro figlie. Nel 1515, sotto il nuovo re Francesco I, fu nominato maresciallo di Francia e combatté in Italia, vincendo a Marignano. Tentò senza successo di assediare Milano nel 1522, ma liberò Fuenterrabía. Nel 1524, tornato in Italia, assediò Pavia, dove fu catturato e assassinato nel 1525.
La sua vedova, Marie de Melun, eresse una tomba per lui nel castello di La Palice, che fu saccheggiata durante la Rivoluzione francese.
La figura di La Palice e l’aneddoto legato al suo epitaffio hanno avuto un impatto significativo nella cultura francese e, per estensione, in molte altre culture europee. Il termine “lapalissiano” è entrato a far parte del vocabolario comune, spesso utilizzato per evidenziare la superficialità o la banalità di certe osservazioni.
Inoltre, la storia di La Palice e del suo epitaffio è stata oggetto di numerose interpretazioni artistiche e letterarie. La sua fama, paradossalmente, è cresciuta grazie a questo malinteso, trasformandolo in un esempio emblematico di ironia e di umorismo involontario.