Capita sempre più spesso di dare delle denominazioni – anche abbastanza focloristiche, se posso permettermi – a determinate generazioni, cercando a contempo di delineare un certo numero di caratteristiche comuni a tutti gli appartenenti, ricordi che hanno, in qualche modo, un significato collettivo. Ecco, ora ce n’è una nuova: quella degli Zillennials.
Per ricapitolare un attimo, i Boomer (e suona male solo a me? Non si poteva scegliere qualcosa di differente?) sono tutti coloro nati tra gli anni Cinquanta e Sessanta (a farla grande potremmo arrivare a inizio ’70, ma rischierebbe quasi di essere una forzatura), ossia negli anni del cosiddetto baby boom. Di frequente in famiglia c’era più di un bambino – direi minimo due, più spesso tre – e ciò perchè la crescita economica e il clima di ottimismo scaturiti dalla ripresa postbellica suggerivano un avvenire migliore per la propria prole. I genitori avevano conosciuto la tragedia della guerra, i figli avevano un futuro pieno di promesse davanti a sé – che poi non sia andata proprio così è un altro discorso, ma a posteriori è sempre troppo facile parlare.
Poi ci sono i Millennials, quelli nati tra il 1981 e il 1996, i giovani adulti di oggi, che portano nel cuore i vecchi tempi e i mitici Anni Novanta. Quelli che, “io mi ricordo il primo telefono Nokia e che si pagava ogni carattere del messaggio”, delle sigle dei cartoni animati imparate a memoria, della musica di Vasco che dalle cuffie del lettore CD, fatte passare per la manica della felpa, ravvivava le giornate grigie passate a scuola. Di chi ha usato i floppy disc e le audio cassette, ma anche il walkman e il lettore CD, e che ora rivolge uno sguardo vacuo a tutte le novità mediatiche e tecnologiche di oggi.
Per non parlare della Generazione Z, di cui non si fa che discutere ovunque. Nati tra il 1997 e il 2012 sono i giovani e gli adolescenti di oggi, coloro che hanno in mano il futuro (e non si dice forse di ogni singola generazione, salvo poi passare il peso alla successiva, perchè tiepidamente delusi dalla precedente?), cittadini del mondo, per cui è inimmaginabile non essere interconnessi, non preoccuparsi in egual modo per i propri problemi e quelli di altre persone all’altro capo del pianeta.
E allora, chi sono gli Zillennials?
Come il nome può far intuire, gli Zillennials sono tutte le persone nate a cavallo tra Millennials e Generazione Z, né carne né pesce. E direi che si tratta proprio della fascia in cui mi colloco anche io.
Ora, non dico che da domani andrò a uralre ai quattro venti di essere una Zillennials, ma ammetto di aver sempre trovato poco sensate le definizioni generazionali citate in precedenza, e forse proprio perchè non me le sentivo bene addosso.
Perchè ricordo quando guardavamo i cartoni della Disney sulle videocassette, registravamo i film d’animazione il sabato sera (a volte ricordandosi di bloccare per la pubblicità di “Fine primo tempo“, altre no, ma nessuno è perfetto), quando sono usciti i primi lungometraggi al computer (e quanto brutti erano) e il momento in cui i DVD hanno reso possibile guarda la televisione in modo diverso.
Sono cresciuta con i cartoni animati alle due e alle quattro del pomeriggio, tornata da scuola e appena finiti i compiti, salvo poi sentirmi dire per tutta l’adolescenza che essere appassionati di anime e manga – e soprattutto di libri – non era poi così figo; e ora sembra essere diventato impossibile trovare qualcuno che non segua almeno una serie, TV o animata, asiatica.
Quando andavo in gita scolastica, alle elementari, mia mamma comprava le macchinette fotografiche usa e getta, che avevano forse quattordici scatti disponibili (e almeno un paio finivano per essere dita davanti all’obiettivo), i primi anni delle superiori avevo la macchinetta digitale (sempre scarica o con la memoria piena proprio quando serviva) e solo verso la maturità le foto le ho fatte con il telefono.
Ed è vero anche che gli Zillennials sono cresciuti con la tecnologia: il mio primo cellulare è stato il Motorola usato di mia cugina (di quelli piatti, che si aprivano sollevando lo schermo), poi uno con lo schermo touch, ma senza Internet, e solo dopo un bel po’ uno smartphone (e dire che oggi lo uso quasi più del PC).
Ricordo di aver giocato con dei videogiochi che funzionavano solo su computer con sistema operativo Windows 95, poi i primi giochi online – quando c’era una sola ora di Internet gratuito al giorno – e ora le app. Non sopporto Facebook, non capisco poi molto TikTok, ma mi piace Instagram (non oso avventurarmi più in là, perchè sono solo echi di conoscenza). Ricordo i floppy, ma ho certamente masterizzato CD, e una chiavetta USB da 5 gigabyte sembrava poter contenere il mondo (salvo poi bastare forse per un film e mezzo).
Credo che quella degli Zillennials sia anche la micro-generazione che ha sentito sulla propria pelle la globalizzazione, l’informazione che arriva istantaneamente dai quattro angoli del globo. Parliamo l’inglese meglio di chi ci precede, ma con un marcato accento italiano che chi segue spesso non ha più. Conosciamo il mondo a volte più per sentito dire, che per conoscenza diretta, perchè fra crisi economiche, pandemie e chi più ne ha più ne metta, gli anni spensierati sono già passati, e ora le responsabilità si accumulano.
Insomma, gli Zillennials sono una micro-generazione di confine, con il piede in due mondi e che deve trovare il giusto equilibro, deve decidere se siano meglio gli evidenziatori fluorescenti o quelli pastello, mentre fa una conference call tentando di non inquadrare le vecchie action figures rispolverate da qualche tempo, ma che non se ne sono mai andate sul serio.