L’appuntamento di oggi di Libri dalla Storia è un po’ particolare, in quanto si tratta della recensione di un libro che abbiamo trattato qualche tempo fa. Nello specifico, sto parlando di Saga di Búi Andríðsson, la cui traduzione italiana è stata fatta da Roberto Luigi Pagani, che ha anche curato l’edizione pubblicata da Iperborea.
Un libro in tre parti
Sebbene il titolo presente sulla copertina sia soltanto uno, Saga di Búi Andríðsson per l’appunto, il volume si può invece dividere in tre parti. Infatti, la storia delle gesta del valoroso Búi Andríðsson è preceduta da una dettagliata e molto ricca introduzione, a opera di Roberto Luigi Pagani, in cui il traduttore ci aiuta a contestualizzare il testo – si tratta pur sempre di una storia scritta intorno al XIV secolo – e, più in generale, ci dà una panoramica sulla letteratura e su sprazzi della cultura islandese del tempo.
La terza parte è costituita dal racconto delle gesta del figlio di Búi Andríðsson, Jökull Búason, che, non serve quasi dirlo, sembra proprio aver ereditato dal padre il desiderio di mettersi alla prova e di trovare guai anche senza cercarli.
Saga di Búi Andríðsson, a cura di Roberto Luigi Pagani: la mia recensione
La natura composita di questo volume renderebbe quasi necessario scrivere due recensioni separate. La ragione principale è senza dubbio il diversissimo intento della prima parte (l’introduzione) rispetto alla seconda e alla terza, squisitamente narrative. Tuttavia, per me a fare da spartiacque è lo stile di Roberto Luigi Pavani, che varia immensamente tra scrittura originale e traduzione.
Per quanto Saga di Búi Andríðsson potrebbe essere letta anche direttamente (come dice Daniel Pennac, nessuno obbliga il lettore ad andare con ordine), credo che senza l’introduzione il volume collasserebbe su se stesso.
Le parole di Roberto Luigi Pagani sono indispensabili non solo per dare una collocazione temporale e culturale al testo che seguirà, ma anche per sfatare miti e falsi preconcetti che si sono cristallizzati introno alla letteratura islandese antica. L’autore non si limita a parlare dell’opera che ha tradotto, ma ci introduce alla cultura del tempo, delinea le differenze di contenuto che hanno portato alla suddivisione delle saghe in diverse categorie, e spiega chiaramente i dilemmi degli studiosi, obbligati a prendere con le pinze ogni informazione contenuta nei testi antichi, in quanto la linea tra narrazione di fatti storici e fantasia dell’autore non è quasi mai chiara.
Ho apprezzato in particolare la parte in cui Pagani si è riferito alla mitizzazione della cultura Islandese arcaica, mettendo in luce un comportamento che si può riscontrare, a mio parere, nell’approccio a varie culture anche contemporanee. A sua detta, in alcuni campi c’è la tendenza a elevare e porre su un piedistallo le antiche tradizioni, attribuendo loro caratteristiche che oggi si ritengono importanti (come il rispetto della natura, l’emancipazione femminile), sorvolando però sulle realtà storiche (i colonizzatori disboscarono quasi completamente l’Islanda nel corso di soltanto un paio di secoli) e su altri aspetti che culturali e sociali che non sono per nulla in linea con ciò che si considera socialmente e umanamente accettabile nel mondo contemporaneo.
Mi spiace dire, tuttavia, che a volte non mi è risultato così facile seguire l’introduzione o stare al passo con le informazioni date. Lo stile di Pagani è quasi accademico, e in alcuni punti le informazioni erano un po’ troppo specifiche o condensate per me, che sono abbastanza nuova all’argomento. Ciò non toglie, però, che si sia trattato di pagine estremamente interessanti e utili.
Per quanto riguarda il racconto vero e proprio delle gesta di Búi Andríðsson e di Jökull Búason, la situazione è completamente diversa. Lo stile adottato da Pagani per la traduzione – che ha spiegato chiaramente le sue scelte nella rispettiva nota al testo – è molto scorrevole e accattivante. La trama scorre veloce, le avventure si susseguono e in men che non si dica si arriva a metà, alla fine della Saga, pur essendosi ripromessi di leggere un solo capitolo.
Ho apprezzato la varietà di ambientazioni, che permettono di farsi un’idea di vari contesti e usanze dell’Islanda medievale e per certi versi, anche di altri Paesi, europei e non. Tuttavia, non posso nascondere che il personaggio di Búi Andríðsson non sia per niente uno dei miei preferiti. Ovviamente, non è possibile giudicarlo con i parametri che applicheremo al protagonista di un romanzo contemporaneo, in quanto l’insieme di valori di cui è portatore appartengono a un’altra epoca. Ciò però non toglie che alcune sue azioni (soprattutto quando si relaziona con le donne) mi abbiano lasciato l’amaro in bocca.
Diversa è la storia di Jökull Búason, che ancora ragazzino parte per andare a conoscere suo padre e finisce per avere avventure che lo portano in luoghi che mai avrebbe immaginato di raggiungere. Trattandosi di un racconto abbastanza breve e per lo più incentrato intorno a battaglie, conquiste ed esplorazioni, non è possibile riscontrare una forte crescita del personaggio. Ben chiari sono però i valori che Jökull Búason sceglie di adottare nel compiere le sue imprese.
La presenza all’interno di Saga di Búi Andríðsson di un apparato di note, volto a spiegare e chiarire alcuni passaggi dal sottotesto culturale più importante, così come quella dell’indice toponomastico sono un segno della grande cura che Roberto Luigi Pagani e Iperborea hanno messo nella pubblicazione di quest’opera. Anche la copertina è molto bella e, a mio avviso, in linea con il testo che rappresenta.
Per concludere, credo che Saga di Búi Andríðsson, in questa edizione curata da Roberto Luigi Pagani, sia un volume molto fruibile, interessante e avvincente. È però necessario tenere sempre ben a mente che abbiamo tra le mani la traduzione di un’opera di quasi settecento anni fa, espressione di una cultura per certi versi isolata da quella europea continentale a lei coeva. Per questo il mio consiglio è quello d’intraprende la lettura con mente aperta e voglia di scoprire qualcosa di nuovo.