Per gentile concessione della casa editrice La Nave di Teseo, pubblichiamo in anteprima un estratto del libro Roma. Dal Rinascimento ai giorni nostri di Vittorio Sgarbi. Il brano è stato già diffuso dall’agenzia Ansa.
La trama
Ci sono luoghi che attraversiamo quotidianamente nelle nostre città e che nella fretta di una meta da raggiungere manchiamo di cogliere. Roma è piena di queste occasioni di bellezza: dai palazzi rinascimentali, attraverso la grande stagione del Barocco, alle architetture avveniristiche di questo secolo, tra chiese, fontane, piazze e musei, luoghi celebri e sorprese da scoprire.
Vittorio Sgarbi compie una ricognizione totale delle bellezze architettoniche di Roma, suggerisce al lettore una serie di itinerari d’autore per orientarsi tra queste meraviglie e compone un’opera straordinaria per la quantità di edifici e autori citati. Con oltre 650 schede di autori e 1500 opere segnalate, questo libro è una guida alle architetture della capitale e uno strumento prezioso di conoscenza della storia artistica della città, che guarda al suo passato ma anche ai nuovi progetti in corso di realizzazione.
A turisti e abitanti di Roma non resta altro che alzare gli occhi e, fosse anche solo per pochi secondi, fermarsi a godere con consapevolezza le mirabilia della città eterna.
L’estratto di Roma, opera di Vittorio Sgarbi
Il libro Roma. Dal Rinascimento ai giorni nostri di Vittorio Sgarbi, con foto di Andrea Jemolo, sarà in libreria il 15 dicembre.
Il contemporaneo a Roma è molti contemporanei. Quello più significativo, ove non lo si voglia indicare nei termini della contemporaneità contemporanea ma nei termini del concetto di contemporaneo che interviene per indicare il Novecento, può essere inaugurato, così come a Milano dal futurismo negli anni 1909- 1910, dalla decorazione del Palazzo di Montecitorio che nell’aula ha uno straordinario fregio recentemente restaurato, di Giulio Aristide Sartorio.
Sartorio dipinge nel 1909 una straordinaria Gloria dell’umanità, che si trova nella parte superiore dell’aula del parlamento, e che rappresenta il canto del cigno, l’ultima testimonianza della bella pittura nel momento in cui l’avanguardia prende il campo. Rappresenta quindi un combattimento per una visione straordinaria, eroica, mitologica, di cui la pittura mantiene il suo connotato di armonia e soprattutto di citazione del mondo antico, del mondo classico, mentre nello stesso anno, in perfetta coincidenza si apre invece la storia nuova e del futuro, che è quella inaugurata dai pittori futuristi.
A Roma il moderno è, rispetto al moderno di Milano, un moderno molto controverso, e nella prima decade del ventesimo secolo si verifica e si mostra a noi nel fregio del parlamento italiano. Se invece vogliamo immaginare una contemporaneità più contemporanea occorre andare nella Casa di Balla, casa diventata Museo di Stato, ma per mille ragioni, pur legata alla Galleria d’Arte Moderna, sempre chiusa.
Nella casa-museo si vede una visione unitaria, che è tipica del futurismo, in particolare di Balla, che, dai dipinti agli affreschi, tende a una estetizzazione di tutta l’architettura attraverso una dimensione futurista applicata anche agli oggetti, ai bicchieri, agli arredi, ai costumi, ai vestiti. La casa è un’unità stilistica, un Gesamtkunstwerk, come avrebbe detto Wagner, e cioè una unità delle arti, che rende propria dell’esperienza futurista l’idea di estetizzare il mondo, cioè tutto dev’essere futurista: qualunque oggetto, qualunque elemento di arredo, qualunque stoffa, qualunque decorazione, qualunque abito.
Il futurismo è un’esperienza totale, che va dalla pittura alla scultura fino alla quotidianità. La quotidianità investe gli oggetti, e anche gli oggetti d’uso, rendendoli futuristi. Il disegno geometrizzante che caratterizza l’opera di Balla semplifica questo processo, consentendo in questa casa di realizzare anche arredi, mobili e oggetti che possano essere detti perfettamente coerenti con l’esperienza futurista. Ma ancora la contemporaneità a Roma si manifesta attraverso una serie di altre grandi imprese architettoniche, che connotano le aree del comune e dello Stato, e sono l’una il Museo MACRO e l’altra il MAXXI.
Il MACRO è stato concepito da Odile Decq con la dominante del rosso e del nero, con un’architettura di grande calore, di grande coinvolgimento, in stanze peraltro articola- te in modo non facile, vista la limitatezza degli spazi, dove la Decq ha concepito, dalla prima sala al ristorante, uno spazio veramente avvolgente, che è sì espressivo dell’architettura tipica dell’autrice, ma che consente di allestire in modo molto disteso le opere esposte delle collezioni comunali.
Il MAXXI, invece, è un museo-monumento, mausoleo a se stesso; è una celebrazione a se stessa che compie Zaha Hadid, l’autrice che lo ha concepito; è un museo che determina molte difficoltà nell’allestimento delle opere d’arte. Il MAXXI è quindi un museo d’arte contemporanea che ospita anche una collezione, ma è prevalentemente un luogo in cui l’attività espositiva viene rallentata invece che favorita dall’architettura stessa”.