Dopo lo straordinario successo di Ancora una volta con te, Dustin Thao torna in libreria con un nuovo e altrettanto sconvolgente romanzo: Vorrei che tu fossi qui, curato sempre da Newton Compton Editori. Intenso, emozionante, lacerante…leggere questo romanzo lascia un sapore dolceamaro in bocca che è difficile spiegare a parole. Ma proverò a farlo in questa breve recensione.
Vorrei che tu fossi qui: la trama
Il protagonista del romanzo è Eric, un ragazzo timido e introverso, che può tuttavia contare sul supporto della propria famiglia, in particolare di sua sorella Jasmine, e del suo unico vero amico Daniel. La loro amicizia è destinata a crescere col tempo ma, proprio quando sembra stia per trasformarsi in qualcosa di più, Daniel rimane vittima di un incidente.
Il romanzo alterna sapientemente i ricordi di un passato felice ma lontano a un presente malinconico e triste segnato dalle difficoltà di lasciarsi alle spalle proprio quel passato. Eric, infatti, non sembra essere riuscito ad elaborare e superare il lutto per la morte di Daniel. Tuttavia, all’improvviso in suo soccorso arriva Haru, un ragazzo incontrato per caso in Giappone tempo addietro.
Haru sembra essere l’unico in grado di capirlo ma si comporta in modo strano: è sfuggente, appare e poi scompare senza lasciar nient’altro che qualche elegante origami sulla sua scrivania. E mentre Eric si sforza per rimettere insieme i cocci della propria vita spezzata, non potrà fare a meno di chiedersi se Haru esiste davvero o è soltanto un prodotto della sua immaginazione.
Tra enigmi insolubili, nuovi incontri, amori e amicizie che si mescolano a ricordi felici e amari, Vorrei che tu fossi qui accompagna il lettore in un viaggio che è insieme introspettivo e narrativo, verso un finale sconvolgente, di un’intensità tale da lasciare assolutamente senza fiato.
Un viaggio emotivo tra dolore e speranza
Parlare di viaggio emotivo spesso rappresenta un clichè nelle recensioni, una frase fatta e priva di reale significato. Eppure nel caso di Vorrei che tu fossi qui non è nient’altro che questo: un viaggio in cui il lettore accompagna Eric ad affrontare i pericoli di un mare in tempesta. Anzi, la tempesta sembra essere già passata e ad Eric non resta che un compito ancora più gravoso: trovare un modo per raggiungere un porto sicuro dopo una completa disfatta.
Ma come si fa ad andare avanti quando tutto è andato in pezzi? Come si fa a guardare al futuro se alle spalle c’è solo un passato così doloroso da far sbiadire persino il presente? Questo è l’Eric che si presenta nelle primissime pagine del romanzo, personaggio meravigliosamente costruito e di cui apprendiamo un brandello di storia alla volta.
L’intreccio del romanzo è semplice ma efficace. Dustin Thao utilizza un ritmo misurato, alternando sapientemente i momenti di dolore più acuti a quelli di dolce nostalgia; i ricordi di un passato ingombrante, a volte felice, a volte doloroso, agli eventi di un presente faticoso e zoppicante che stenta a decollare. A tenere unito il tutto è la figura di Haru, la chiave di volta che darà la forza ad Eric per affrontare un futuro incerto. Haru rappresenta la speranza, di uscire fuori dal gorgo di dolore e apatia in cui Eric sembra essere caduto
Il personaggio di Haru è, dal punto di vista narrativo, effimero e sfuggente ma questa è una scelta voluta. A parte i primi capitoli, diventa subito chiaro che si tratta di un prodotto di fantasia, una creatura quasi mitologica che, come le sirene dell’epica, ingannano i marinai con il loro canto suadente e affascinante. Ma la bravura di Dustin Thao sta proprio in questo: quello di Haru non è un inganno, e in ogni momento in cui compare non c’è dubbio che sia tutto reale, seppur frutto dell’immaginazione di Eric.
Piove a dirotto e ci ritroviamo isolati da ogni cosa. Dovremo aspettare un po’. Non è così male, però, sentirsi distaccati dal resto del mondo, e in cuor mio sono felice di essere bloccato qui con lui. Eppure ho la strana sensazione che Haru potrebbe scomparire di nuovo. Lo abbraccio stringendolo a me. «Non andartene ora, okay? Non voglio restare solo».
«Chi ha detto che me ne vado?»
«Promettimelo e basta».
«Non scappo da nessuna parte» […]Chiudo gli occhi, ignorando le vibrazioni delle auto che sfrecciano sul ponte sopra la mia testa. La pioggia continua a scrosciare tutto intorno, eppure non sento altro che il suono del mio cuore che batte. Per un istante non c’è nessun altro sulla faccia della terra. Io e te siamo le uniche cose reali.
Personalmente non sono un grande amante della narrazione in prima persona ma in Vorrei che tu fossi qui non c’è strumento migliore per permetterci di immedesimarsi completamente con lui, di sentirne il dolore, il senso di smarrimento e di vuoto, ma anche la nostalgia dei ricordi, il calore tangibile e reale delle sue fantasie.
In sostanza, è lo stratagemma narrativo che consente al lettore di fare lo stesso viaggio che compie Eric, per poter apprendere e imparare che oltre il dolore e la perdita, c’è sempre un nuovo inizio; che dopo la tempesta, anche la più infausta e disastrosa, c’è sempre la luce di un faro pronta ad accoglierci in un porto sicuro da cui poter ricominciare.
E poi arriva il finale, quello che rende Vorrei che tu fossi qui un vero e proprio capolavoro: forte, straziante, intenso ed anche sorprendente. Un colpo di scena che, tuttavia, conserva tutto il senso del “viaggio” percorso fino a quel punto: evitare di soffrire è impossibile ma, anzi, è inevitabile se si vuole accettare di andare oltre…