Un americano a Gaeta è un libro scritto da Hollis E. Forbus e pubblicato da Ali Ribelli Edizioni. Il figlio Jason R. Frobus, scrittore e curatore di questa autobiografia, nella nota dell’editore scrive «è la storia di mio padre raccontata in prima persona e frutto di interviste seguite ai lauti pranzi domenicali. È l’autobiografia di un individuo e del suo percorso umano e professionale, ma è anche il ritratto della Gaeta di quegli anni: la movida, i matrimoni misti, le tensioni sociali e i manufatti sopravvissuti nel tessuto urbano della città.»
Non conoscevo – mea culpa – la storia dell’arrivo degli americani a Gaeta e tutto quello che comportò negli anni questa convivenza tra autoctoni e alloctoni, tra residenti italiani e marinai (a volte anche con la famiglia) americani. E della fine di quest’epoca, anche se si parla ancora di un possibile ritorno di una comunità americana (ma le differenze culturali ora sarebbero meno marcate, dato l’effetto della globalizzazione di questi anni).
Un americano a Gaeta: cosa mi è piaciuto
La storia è interessante, scritta bene e con uno stile immediato, senza giri di parole. Ammetto che la seconda parte di Un americano a Gaeta mi ha appassionato di più, perché qui Hollis conosce sua moglie e da qui inizia tutta una serie di avventure e cambiamenti lavorativi e famigliari. La primissima parte verte molto su Gaeta e credo faccia parte di quegli scritti che risultano più interessanti se il lettore ha un legame con l’argomento narrato, che siano radici o interessi storici. Ho trovato molto completo il quadro storico, riassunto in poche chiare righe già nella nota dell’editore e poi sviluppato lungo tutta l’autobiografia.
Mi è piaciuto molto anche l’inserimento di diverse fotografie e documenti a corredo del racconto, un elemento che, secondo me, arricchisce molto la narrazione
Un americano a Gaeta: cosa non mi ha convinto
Ho trovato un po’ fastidioso l’ampio uso delle note e l’utilizzo frequente di termini inglesi anche dove non necessario. Premetto che molte delle note sono fondamentali perché chiariscono tutta una serie di termini o modi di dire intraducibili. Però a volte sono davvero molto lunghe e spezzano la narrazione, mentre altre volte consistono di una sola parola. In questo secondo caso, secondo me, si poteva inserire quella parola direttamente nel testo per non costringere il lettore a una ricerca nelle pagine, andando avanti e indietro continuamente (questo per me è stato fastidioso, soprattutto perché l’ho letto nell’edizione ebook).
Conclusione
Alla fine della nota dell’editore, il figlio Jason R. Forbus scrive «Bilanci e giudizi li lasciamo ai posteri e a te, caro lettore. Ovunque tu sia, da qualche parte in Kentucky o a Gaeta, spero che troverai la storia qui raccontata interessante, apprezzandone le particolarità e le suggestioni di un’epoca unica e irripetibile.»
Io ho amato soprattutto la storia personale di quest’uomo e della sua famiglia, la storia di una persona come noi ma che ha vissuto esperienze uniche, come uniche in fin dei conti sono le esperienze vissute da ogni essere umano. È una di quelle storie che, secondo me, contribuisce a dare una dimensione tangibile al variegato concetto di umanità.