Caro iCrewer, arriva sempre il momento che temo più di tutti: la recensione dell’ultimo libro letto! Non è facile dare un giudizio ad un romanzo cercando di essere il più oggettivi possibile, soprattutto quando questo non è stato di proprio gradimento. È il caso di Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdè… di Lodovica San Guedoro, edito dalla casa editrice bilingue Felix Krull Editore nel marzo 2017 e candidato al Premio Strega nello stesso anno.
Perchè non mi è piaciuto Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdè…?
La struttura del romanzo
Inizierei la recensione dal fattore più oggettivo: lo stile. Sul piano tecnico, a Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdè non si può dire nulla: è scritto bene! Lodovica San Guedoro ha una padronanza della lingua italiana ineccepibile: non ho mai trovato uno scrittore o una scrittrice che utilizzi così poche ripetizioni e che sia così attento alla musicalità delle parole come lei. Tuttavia questa sua estrema attenzione e liricità nel linguaggio mi ha reso la lettura difficile. Sarà che sono abituata a stili più semplici e immediati e che ricalcano la lingua parlata, ma sta di fatto che ho trovato il linguaggio artificioso e in alcuni punti prolisso nella spiegazione di un singolo pensiero.
L’esperienza è stata inoltre peggiorata dal fatto che non è presente una suddivisione in capitoli: già che lo stile è impegnativo, ma non avere stacchi importanti durante la narrazione ha reso più ardua la concentrazione sul testo di poco più di cinquecento pagine. Più volte ho sentito la mancanza di aria derivata dallo spazio bianco di fine capitolo, che credo indispensabile in un romanzo per permettere al lettore di riposare la mente, meditare su quanto letto e soprattutto di defaticare la vista. L’uso dei capitoli è una libera scelta dell’autrice, ma in un testo così lungo lo avrei apprezzato.
La trama
Vengo allora alla parte più soggettiva e criticabile della recensione, perchè faccio affidamento esclusivamente sul mio gusto personale e sono consapevole che la mia opinione vale relativamente poco in questo senso. A me, sinceramente, la vicenda non è piaciuta. Non è stato un problema leggere di una relazione adulterina, piuttosto è stato il modo in cui i due protagonisti l’hanno vissuta ad avermi fatta infuriare.
Quella fra Lodovica e Kasim è una storia d’amore disfunzionale, basata su pregiudizi e sentimenti egoistici. Non ho visto tenerezza nel loro rapporto, ma solo l’illusione di come dovrebbe essere l’amore secondo il punto di vista di entrambi, con tutte le insidie e i problemi del caso: un sentimento idealizzato, che in un caso ha una connotazione prettamente fisica mentre nell’altro è più lirico, più simile alla tradizione letteraria cortese.
Ho trovato queste due facce inconciliabili, proprio come lo sono Kasim e Lodovica: due entità divise, che seppure cerchino di avvicinarsi, sono così incompatibili da non poter fare a meno di scontrarsi e ferirsi. Probabilmente è per questo loro carattere che non sono riuscita ad entrare in sintonia con i due protagonisti e a non provare empatia per le loro vicende.
Mi rendo conto che situazioni simili sono all’ordine del giorno e che molti lettori si sono rispecchiati nelle vicende narrate dalla San Guedoro e hanno apprezzato il romanzo. Non dimentico inoltre che la critica letteraria ha premiato Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdè… per la poeticità dello stile e la delicatezza nella narrazione, contribuendo alla sua candidatura al Premio Strega 2017, e tutto ciò ha sicuramente contribuito alla pubblicazione del seguito lo scorso settembre: Amor che torni…, sempre edito da Felix Krull Editore.
Purtroppo io non ero la lettrice giusta per questo romanzo, che aveva delle premesse ottime ma che non è stato in grado di infondermi né dolcezza né compassione per una storia d’amore fuori dall’ordinario. Vedremo se Amor che torni… riuscirà a conquistarmi e a farmi rivalutare l’opera.
Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé … è una testimonianza meticolosa, intima e potente di un sentimento d’amore finalmente vissuto in modo non convenzionale. L’Autrice dà voce ad una sensibilità, senza sesso e senza età, poco esplorata dalla letteratura, specialmente da quella contemporanea, che privilegia forme stereotipate di relazione amorosa: dinamiche più riconoscibili, certo, nelle quali è però sempre più arduo riconoscersi. Una sensibilità che io stessa, giovane lettrice e giovane donna, ho sempre avvertita e rinnegata, pur di corrispondere all’ideale di sensualità femminile che vedevo spopolare e al quale ho davvero creduto di dovermi adeguare. Questo libro ha rappresentato per me una sorta di rivoluzione, la liberazione da un peso, il dissolvimento del timore d’esser sola, estranea alla sessualità per com’essa ci è raccontata: una favola pornografica, peraltro poco incantevole. Non dev’essere stato facile, per l’Autrice, mettersi a nudo e parlare d’amore, in un mondo che d’amore non vuol sentir parlare. E la sua denuncia suona per questo ancora più grave. La sofferenza, qui, è come cenere: dice di un sentimento divorante e di aspettative tradite. Stordisce, avvolge il cuore come un sudario di polvere, ne ovatta l’eco di dolore. Ma quella sensibilità non può che rinascervi, moltiplicarsi nel petto di lettrici e lettori, e lacerare sempre di nuovo il velo dell’incomprensione.
Chiara Melandri