Quest’anno, per la prima volta in 17 anni, il Pisa Book Festival ha rischiato di non esserci; la giunta (leghista) aveva annunciato “problemi di gestione”. Invece, come ogni novembre, Pisa ha avuto il suo festival del libro, senza il sostegno del comune, ma il festival c’è stato, più bello e più superbo che pria. Ignoro come e se si siano risolti i “problemi di gestione”; io propendo per l’ipotesi che la lega pisana abbia voluto ostentare il suo consueto disprezzo per la cultura, poi se ne sono scordati e ormai era troppo tardi per fermare il festival. Sarà per un altr’anno. Come ho già accennato in qualche articolo precedente, a me il Pisa Book Festival piace. Vero è che fra le case editrici indipendenti c’è anche un po’ di ciarpame, ma ci sono anche autentiche perle. Anche quest’anno ho trovato titoli di grande interesse. Tanti che ho cominciato a leggerli contemporaneamente e solo ora ho terminato questo bellissimo libro della minimum fax, uno degli editori indipendenti che trovo più validi; fra l’altro è l’editore che per primo ha pubblicato David Peace, che poi gli è stato soffiato quando è diventato famoso a livello internazionale.
Questo libro di interviste con Stanley Kubrick è stato pubblicato per la prima volta 12 anni fa, quando la minimum fax, nonostante fosse attiva già dal 1994, era una casa editrice semisconosciuta; ora che è maggiormente diffusa, anche nelle librerie convenzionali, abbiamo a disposizione quest’ultima ristampa. Kubrick era noto per essere un personaggio schivo, le sue interviste sono rare ma, quando le concedeva, non era certo avaro e spiegava dettagliatamente le sue idee. Sicuramente Il cinema secondo Hitchcock di François Truffaut è il miglior libro di interviste mai scritto, ma lì c’erano due addetti ai lavori che dialogavano da pari a pari. Non ho risposte semplici, però, si difende molto bene e serve a conoscere il Kubrick uomo, che è poi la stessa cosa del regista, perché una delle cose che escono chiaramente dalle interviste è che Kubrick, proprio come Hitchcock, non metteva confini fra cinema, che non considerava nemmeno un vero e proprio lavoro, e vita privata. Dalle prime interviste sappiamo qualcosa di Kubrick prima che facesse il regista. Viene da una famiglia agiata di origine ebraica, suo padre era medico. Nonostante non avesse urgenti problemi finanziari da ragazzo, per racimolare qualche soldo giocava a scacchi a Washington Square a un quarto di dollaro la partita. E vinceva. Era un ragazzo solitario e passava molto tempo al cinema, vedendo un po’ di tutto, anche i film più scadenti; infatti spesso usciva dal cinema convinto che non sarebbe stato difficile fare di meglio. Inizia a lavorare a 17 anni come fotografo per la rivista Life, mentre segue da uditore i corsi dell’accademia di arte cinematografica di New York. Primi cortometraggi, tre lungometraggi “minori”, poi Orizzonti di gloria e da lì in poi comincia a essere Kubrick. Fra le interviste raccolte nel nostro volume la più pregnante, dove Kubrick si esprime su una grande quantità di temi, non può che essere la lunga intervista rilasciata a Playboy, nel 1968, dopo l’uscita di 2001, Odissea nello spazio. Pensare che il film massacrato dalla critica, anche se la gente continuò ad andare a vederlo, è poi diventato il film più influente della sua epoca. Kubrick aveva un gran senso dell’umorismo e lo ha dimostrato in Stranamore, ma anche in Lolita e Full metal Jacket, ma non arrivava alla raffinatezza di Hitchcock che, in una situazione analoga, quando la critica distrusse Uccelli, affermò di “… aver pianto per tutto il percorso da casa fino alla banca“. Proprio in quell’intervista ho trovato una dichiarazione che mi ha collegato a un’altra opera che amo in maniera particolare. Durante l’intervista si parla a lungo, ovviamente, degli extraterrestri. Secondo Kubrick, se si dovessero mettere in contatto con noi, sarebbero benevoli, ma “Se anche si dimostrassero malevoli, il loro arrivo avrebbe comunque un effetto collaterale positivo, perché le nazioni della Terra smetterebbero di bisticciare fra loro e farebbero fronte comune per difendere il pianeta. Credo sia stato André Maurois ad affermare, molti anni fa, che il modo migliore per realizzare la pace nel mondo sarebbe inscenare una falsa minaccia proveniente dallo spazio: non è una cattiva idea“. Ma questa è l’idea di Adrian Veidt in Watchmen. Altro che uomo più intelligente del mondo, aveva copiato l’idea a André Maurois oppure aveva letto l’intervista di Kubrick su Playboy. Propendo per la seconda ipotesi, pur essendo entrambe plausibili, ce lo vedo poco Ozymandias a leggere Maurois. Che Kubrick non amasse concedere interviste si vede anche dal fatto che alcune sue dichiarazioni sono riportate paro paro in interviste diverse. È vero che, prima di pubblicarle, Kubrick voleva rivedere, e magari integrare, il testo dell’intervista, ma sembra più un copia-incolla pre-internet. Le interviste terminano con Full metal Jacket; come sappiamo, Kubrick morì prima che Eyes wide shut uscisse. In molte interviste Kubrick parla di un suo progetto per un film su Napoleone; progetto mai realizzato perché, alla fine, i costi sarebbero stati insostenibili e dell’adattamento di Doppio sogno di Schnitzler, che poi diventò, in effetti il suo ultimo film. Kubrick era solito lavorare ai suoi film fino a dopo la prima presentazione. Solo dopo che il film era uscito in sala per il pubblico di addetti ai lavori terminava il montaggio. 2001 subì una decina di minuti di tagli dopo la prima uscita; immaginiamo che lo stesso sarebbe dovuto accadere anche per Eyes wide shut, ma non fece in tempo, forse per questo mi sono addormentata durante la scena interminabile dell’orgia. Ebbene sì, Eyes wide shut non mi è piaciuto e perciò mi dispiace non aver potuto sentire il parere di Kubrick sul suo ultimo film. Molto di queste interviste varrebbe la pena di essere detto; ci sono tre alternative: compratevi il libro, che è di una casa editrice indipendente e quindi, già per questo, fate una cosa buona. Due, continuo a scrivere, ma siamo già intorno alle 1000 parole, poi diventa una noia peggio di Eyes wide shut. Oppure potrei fare un ciclo di articoli sui film di Kubrick e possiamo parlarne ancora. Forse l’ultima è l’idea migliore.
Come ho già detto altrove, e non ricordo a che proposito, io considero Stanley Kubrick il più grande regista mai esistito. E non per motivi tecnici (che non sarei nemmeno in grado di apprezzare) o artistici; solo per questioni di affinità. Devo specificare che il Kubrick nel quale mi riconosco va da Lolita a Full metal jacket, in particolare mi trovo in perfetta sintonia con la cosiddetta “trilogia fantascientifica”, ossia Stranamore, 2001 e Arancia meccanica, i tre film che, per me, staranno sempre uno scalino sopra a tutti gli altri; al Grande dittatore, al Quarto uomo a Psycho. Chaplin, Welles e Hitchcock sono registi incommensurabili ma, per meno di mezza ruota, per me rimangono comunque dietro a Kubrick. Quindi può darsi che solo per questo io abbia apprezzato tanto questo libro.
Concordo con te, in quanto cinefila! La recensione mi ha fatto venire voglia di leggerli entrambi. Complimenti
Grazie Sandra, è sempre bello trovare persone che condividono le tue passioni e che apprezzano quello che fai per condividerle 🙂 quando leggerai questi libri fammi sapere cosa ne pensi!