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Recensione: Nel profondo di Daisy Johnson

Ornella Feletti 5 anni fa Commenta! 6
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Caro iCrewer ciò che mi sono ritrovata tra le mani è il libro d’esordio di Daisy Johnson, definita dalla critica come un nuovo mostro della narrativa. E ad onor del vero questo romanzo è veramente al di fuori di ogni previsione.

Nel profondo è una storia potente, un viaggio nell’anima di due persone in particolare,  Gretel e sua madre Sarah, ma sonda anche gli altri personaggi che in un modo o nell’altro hanno interagito.

Già dalle prime pagine capisci che ciò che stai leggendo ti toccherà veramente “nel profondo” e mai titolo è risultato più appropriato per un testo, come la cover che sembra un acquario ed invece ad un maggiore esame ti fa precipitare nel tuo peggior incubo.

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“È difficile, anche adesso, decidere da dove iniziare. Perché la memoria non è una linea retta, ma una serie di giri tortuosi, che vanno avanti e indietro nel tempo. (…) I ricordi brillano nel buio come bicchieri in frantumi, e poi svaniscono.” 

Attraverso le parole, la nostra giovane autrice ripercorre una vita intera che sa di abbandono, di ricerca spasmodica attraverso gli spazi temporali del presente e del passato, di donne diventate uomini e viceversa, di una madre che ha abbandonato la figlia e questa figlia la cerca e una volta trovata si rende conto che la persona che amava/odiava, non è più lei.

Gretel è una lessicografa, per vivere aggiorna le voci del dizionario. Chissà perchè ha scelto un lavoro del genere… forse c’è un legame con il fatto che quando era bambina la madre aveva inventato una lingua fatta di parole che usavano per escludere gli altri o per rinforzare un mondo tutto loro. Una donna particolare, ruvida ma affettuosa a modo suo. E quando la ritrova deve fare i conti con un nuovo modo di vivere, affrontare un nuovo linguaggio, quello di una persona malata di Alzheimer, che nel suo cammino di progressivo deterioramento perde le abilità cognitive che le consentono di comprendere anche il benché minimo ordine e disposizione delle parole in una frase con significato logico e coerente.

Non cerco neanche più di oppormi alla tua regressione linguistica… La degenerazione fa il su corso. Cerchi le scarpe e ti dimentichi di averle ai piedi. Cinque o sei volte al giorno mi guardi e mi domandi chi sono. Certe mattine, invece, sai perfettamente chi siamo. Metti sul bancone tutti gli utensili che riesci a rimediare e prepari delle colazioni grandiose.

E non è l’unica paura di Gretel; la ritroviamo nelle sue ricerche a ritroso nel tempo, sono la coscienza, le ossessioni, gli incubi, che nel libro sono rappresentate da un mostro degli abissi capace di rapire i bambini, e in grado di camminare anche sulla terraferma. Ma c’è anche tanta rabbia che rischia di esplodere e che lascia Gretel sull’orlo di un precipizio in cui ogni giorno si accavallano i ricordi dei tempi passati con altri visi, altri nomi.

Eppure Gretel non smette mai di cercare sua madre, nonostante l’abbandono subito da piccola, nonostante la malattia che riconosce quando la ritrova, nonostante tutto; perchè le radici sono importanti, non importa se siano belle o brutte, bisogna cercare di affrontarle e superarle nonostante i limiti e le paure che ci portiamo dietro.

La diagnosi di demenza fa paura, non si può negare. In primo luogo, a temerla è la persona che riceve la diagnosi: nelle fasi iniziali della malattia, infatti, il malato è in grado di rendersi conto dei sintomi e della propria condizione.

In secondo luogo, la demenza fa paura alla famiglia e a tutti coloro che dovranno prendersi cura della persona, molto probabilmente per diversi anni;  infatti è ormai considerata una malattia della famiglia, nel senso che la sua insorgenza ha effetti a breve e a lungo termine su tutto il nucleo familiare. Una diagnosi di questo tipo sconvolge le regole e le abitudini della famiglia, a partire da un’inversione di ruoli, in cui per esempio, si vedono i figli che si prendono cura della madre.

L’incertezza fa paura perché costringe a riadattare i propri ritmi di vita, progetti, o addirittura a stravolgerli, e bisogna attivare nuove risorse.

Ciò che ha costruito Daisy Johnson con questo suo romanzo mi ha molto colpita, soprattutto per le descrizioni accurate sui sintomi di questa malattia di cui non esiste cura ma guarda caso “aiuta” Gretel a ripercorrere i suoi passi per ritrovare la madre e ciò che l’Alzheimer sta spazzando con tanta velocità, la vita.

Una volta finito questo romanzo caro iCrewer non sarai più lo stesso di prima, la narrazione di Daisy Johnson ed il tema che ha affrontato entra nel subconscio cambiandolo, ponendoti degli interrogativi che ti faranno riflettere ma, soprattutto, il mondo cambierà ai tuoi occhi. Io ne so qualcosa…

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