E’ la prima volta che non so come cominciare per recensire un libro!
E che libro!
L’ULTIMO VIAGGIO DI AMUNDSEN
di Monica Kristensen
E’ un puzzle costruito sapientemente dall’autrice sulla scorta delle sue competenze scientifiche, in qualità di esploratrice polare e della sua esperienza di narratrice. Pezzi di storia si intrecciano alle notizie rimbalzate dai giornali dell’epoca, raccolte e ricercate da fonti attendibili e catalogate coscienziosamente.
E in questa marea di notizie, date, luoghi, nomi importanti e nomi che sono diventati tali dopo la tragedia, si intrecciano due figure e la loro voglia di scoprire: Umberto Nobile, esploratore polare italiano partito alla volta del Polo Nord a bordo del dirigibile “Italia“, con l’intento di mappare nuovi territori, e schiantatosi sul ghiaccio nel viaggio di ritorno;
e Roald Amundsen, un eroe polare sulla via del tramonto che ha fatto scaturire il nome del libro, di una generazione precedente a quella di Nobile, nemico/amico dell’italiano, che a dispetto di tutto e tutti vuole partire per andare alla ricerca del dirigibile “Italia“, e sparisce senza lasciare traccia.
Nel testo sono ben evidenziate le due figure Nobile/Amundsen, e quanto abbia influito su entrambi l’accesa discussione avvenuta in occasione di un viaggio effettuato un paio d’anni prima del tragico epilogo, a bordo del dirigibile “Norge” pilotato proprio da Amundsen, mezzo acquistato in Italia e disegnato da Nobile, (che si è occupato interamente della parte tecnica dell’impresa insieme ai suoi collaboratori). Sebbene l’italiano risenta del modo di agire del norvegese, non gli concede la soddisfazione, tranne quando lancia, sui ghiacci del Polo Nord, una bandiera italiana grande il doppio di quella dei suoi compagni viaggio. Un affronto che Amundsen non mandò giù molto bene.
E’ un romanzo documentario in cui ogni piccolo dettaglio diventa importante, ogni storia è una storia a sé dentro le tante notizie, ogni dramma, ogni incidente ti assorbe fino a farti mormorare: “come è stato possibile?”; e poi le polemiche, le rivalità, le accuse… i morti, ciascuna trova la sua collocazione grazie alla penna della Kristensen.
Così appariva il dirigibile “Italia” al momento della sua partenza dall’Italia, precisamente da Ciampino il 19 marzo 1928 – “Attraverserà l’Europa fino alle Svalbard via Vadso, facendo tappa in punti d’atterraggio accuratamente programmati”.
Il 24 maggio Nobile e la sua squadra raggiungono il Polo Nord alle ore 1.20, una data facile da ricordare perché coincide con l’anniversario dell’entrata in guerra del nostro Bel Paese nel Primo conflitto mondiale; non senza aver prima compiuto due voli esplorativi che portano alla luce novità scientifiche di rilevo come “l’assenza di terre emerse nella regione artica, la verifica della sterilità e la bassa ionizzazione dell’aria. la misurazione delle profondità marine e le derive dei ghiacci.”
La mattina del 25 maggio, nel viaggio di rientro, le pessime condizioni meteorologiche impediscono le diverse manovre messe in atto per scongiurare danni al mezzo; una violentissima perturbazione con venti contrari costringono il dirigibile a prendere sempre più quota fin quasi a superare lo strato di nuvole; ma l’idrogeno erompe dalle valvole di sicurezza, costringendo il capitano a tornare sotto le nuvole e il dirigibile, appesantito dal ghiaccio, non ha più la forza di stare in volo e finisce rovinosamente a terra.
“Dopo due ore dall’inizio del ritorno, il dirigibile scese di quota, con il rischio di schiantarsi sul pack. Nobile diede ordine di spegnere immediatamente tutti i motori. Il dirigibile risalì di quota, tuttavia per breve tempo. Nobile ordinò di portare più in alto il dirigibile grazie ai tre potenti Maybach. Il mare ghiacciato – erano quasi sulle Svalbard – si avvicinava a una velocità sempre maggiore. L’ordine di liberare duecento chili di zavorra non potè essere eseguito perché l’imbracatura di corda che le teneva insieme era ghiacciata. Biagi, il telegrafista, mandò l’ultimo messaggio dall’Italia alla nave di supporto Città di Milano alle 10.27 di venerdì 25 maggio. Lascio la parola a Kristensen perché il momento dell’impatto sul ghiaccio è narrato in modo memorabile e mirabile: “La catastrofe era inevitabile, il dirigibile si sarebbe schiantato sul ghiaccio. Nella gondola tutti tesero i muscoli e si prepararono all’impatto, eppure quando arrivò fu uno choc improvviso e brutale. Gli uomini vennero catapultati da una parte all’altra; la gondola, trascinata sul ghiaccio, andò a sbattere con enorme violenza contro un masso di ghiaccio e riprese la corsa coricata su un fianco, finchè, sottoposta alla tensione della struttura che la legava al pallone, si spaccò in mille pezzi. Il frastuono dell’impatto fu colossale, un inferno di metallo e legno che si abbattevano sul ghiaccio, rumori stridenti, grida. Era intollerabile. Gli uomini, con il mal di mare dopo la corsa sul ghiaccio, furono scaraventati qua e là schiacciati da quel mondo in miniatura che fino a pochi istanti prima avevano considerato un rifugio sicuro. Sul fondo della gondola si aprirono grosse crepe. Accecati dalla paura, alcuni uomini decisero di saltare giù. Nessuno capì chi, nessuno contò quanti furono a sparpagliarsi sul ghiaccio come semi neri usciti da un baccello. La gondola fu strappata dal pallone e andò a spaccarsi contro il pack”
La scena è mirabilmente descritta dall’autrice, con tale dovizia di particolari che ti lasciano l’amaro in bocca sulla sorte toccata a ciascuno dei componenti l’equipaggio.
E la sua tecnica è costante, anche quando sembra discostarsi dall’argomento, lo fa esclusivamente per seguire meglio i vari piani delle spedizioni che all’epoca furono messi in atto per procedere a salvare tutti i dispersi.
Il dispiegamento di mezzi e uomini per questa spedizione “internazionale” di soccorso è qualcosa di inaudito per quei tempi. Norvegesi, svedesi, finlandesi, russi, italiani; tutti cercano di collaborare.
Ed ecco emergere la figura di Roald Amundsen, descritto all’inizio come un gigolò, sull’orlo della rovina finanziaria, stanco, insultato, introverso, un eroe sul viale del tramonto, il cui declino aveva subito una impennata quando aveva pubblicato la sua autobiografia, suscitando risentimento nei suoi confronti, isolandolo. Ecco uno spaccato biografico che ci offre l’autrice: […]“era un uomo di mezza età, alto e magro, con i capelli grigi, il viso rugoso e un’ombra di stanchezza negli occhi grigioazzurri”[…] “Ma perché era stanco? Aveva dovuto celebrare l’uomo da cui si era sentito deluso e tradito, l’italiano Umberto Nobile, per la sua grande impresa e poi.[…]Ormai a questo si riduceva la sua vita di eroe dei Poli. Coronare d’alloro la testa di altri, nuovi eroi.”
Nonostante ciò, appena apprende la notizia del disastro, seppellisce l’ascia di guerra, indossa i panni che gli sono più congeniali, quelli da esploratore e parte lancia in resta, al pari di un Don Chisciotte. Ma ciò che successe poi fu una catena di umiliazioni deprimenti, da cui, però, il nostro Amundsen seppe rialzarsi con coraggio e lealtà.
Era impaziente di volare, di salvare il rivale, forse anche per il timore di essere stato messo in ombra dalle esplorazioni dei tempi nuovi, ormai in mano agli eroi dell’aria e così il 18 giugno, a bordo di un idrovolante francese – il Latham 47 – partì. Nessuna sapeva che rotta intendesse seguire, quale fosse il suo obiettivo. Sarà stato per questo che le iniziative, per la ricerca dell’idrovolante, non furono messe in atto nel momento in cui non si ebbero più notizie; era normale per il nostro esploratore “scomparire” per poi riapparire, proprio come il mago Houdini.
Ed invece questa volta la scomparsa gli fu fatale, l’aereo venne dato per disperso insieme a tutti i componenti l’equipaggio compreso il nostro eroe. Alcuni mesi più tardi venne trovato un relitto del suo aeroplano a nord delle coste settentrionali della Norvegia, mentre altre parti dell’aeromobile sono state rinvenute intorno al 2003 in una baracca nell’Isola Edgeoya delle Svalbard.

Dobbiamo ringraziare Monica Kristensen per averci regalato queste pagine, grazie alla sua immane ricerca e alla sua capacità riesce a fornirci una sorta di testimonianza di come Roald Amundsen sia riuscito in questa sua ultima missione.
Emblematica appare la sua “ultima” intervista in cui il grande esploratore confessa un suo desiderio nascosto:
“ah sapeste com’è bello il paesaggio lassù! E’ lì che vorrei morire, vorrei una morte cavalleresca, che mi cogliesse nel corso di una grande impresa, una morte rapida e indolore“
L’ultimo viaggio di Amundsen risulta essere una lettura interessante, adatta forse ad un pubblico che ama le avventure esplorative, perché consente di viaggiare in luoghi che, oggi con le tecnologie a nostra disposizione possiamo “visitare”, ma che all’epoca erano sconosciuti, pericolosi ed inospitali, “Il ghiaccio era ovunque intorno; si spaccava e ringhiava, e ruggiva e ululava.”
Breve storia dell’autrice
Nata nel 1950 in Svezia ma cresciuta in Norvegia, matematica, fisica e glaciologa, la giornalista e scienziata norvegese, è una delle più note esploratrici polari nordeuropee. Ha guidato numerose spedizioni in Artide e Antartide, sulle tracce di Amundsen, ed è stata la prima donna a ricevere la medaglia d’oro della Royal Geographical Society. Dopo aver esordito, nel 2007, con romanzi ambientati alle Svalbard, nel 2013 Iperborea edita La leggenda del sesto uomo, trascorre due anni in completo isolamento nelle isole ad osservare le aurore boreali e nel 2015 pubblica Operazione Fritham.
L’ultimo viaggio di Amundsen è il suo libro più recente uscito nelle librerie proprio ad Aprile.