Dopo il successo ottenuto con La donna di ghiaccio, Robert Bryndza torna in libreria con il suo ultimo romanzo, La mano del diavolo, la nuova indagine della saga di Kate Marshall pubblicata da Newton Compton Editori.
Lo stile de La mano del diavolo
A livello di scrittura il romanzo rientra nei canoni classici del genere thriller, con frasi relativamente brevi intramezzate da numerosi dialoghi che rendono semplice lo scorrere delle pagine. A facilitare ulteriormente il compito al lettore è la presenza di 56 capitoli (più un prologo e un epilogo) non eccessivamente lunghi, che scandiscono l’incedere della vicenda. Il tutto è raccontato in terza persona, spesso come indiretto libero dei vari personaggi.
I temi de La mano del diavolo
Un tema centrale del libro è certamente quello dell’affidamento dei figli, sia in relazione alla vicenda criminosa in sé (che non spoilero, ovviamente) sia per quanto riguarda la protagonista, il cui figlio, ora studente negli Stati Uniti e con cui Kate ha contatti affettuosi solo per telefono da tempo, è stato cresciuto dalla nonna.
Una delle motivazioni di ciò (non l’unica, non faccio spoiler sul padre dei capitoli precedenti della saga) introduce un altro tema del romanzo, ovvero sia l’alcolismo. Kate non tocca alcol da tredici anni, ma il suo fegato porta ancora le cicatrici causate dal vizio che non le ha permesso di crescere suo figlio Jake, oramai divenuto troppo grande, con tutti i sensi di colpa che ha ancora per non essere stata un buon genitore. Kate non sarà l’unico personaggio con riferimenti ad abusi di sostanze, con molte figure presenti nel libro dedite all’alcol anch’essi, o anche alla droga.
Il tema che da motore alla narrazione è, però, quello del tempo che passa, nel senso dell’invecchiamento di Kate. Atletica lo è ancora, ma i 47 anni le hanno giocato un brutto scherzo durante una delle sue classiche nuotate in mare, e ha rischiato di annegare trascinata da una corrente improvvisa. Salvata da due surfisti e portata in ospedale, scoprirà dalla sua vicina di letto, la nonna di un bambino scomparso 11 anni prima, quale sarebbe stata la prossima indagine a cui lavorare.
Perché La mano del diavolo come titolo? I luoghi del romanzo
Prima di approcciare questo libro, solo giudicando il titolo, si potrebbe pensare a strani rituali satanici o robe del genere.
Ma qui il diavolo è essenzialmente il fiume Devil’s Tor, che dà il nome a una zona del Parco Nazionale di Dartmoor, ovvero Devil’s Way, dove in un campeggio è scomparso il bambino che Kate dovrà ritrovare, vivo o morto che sia dopo 11 anni. Il Devil’s Tor e Devil’s Way sono fittizi, come ci informa l’autore nei ringraziamenti alla fine, ma quei luoghi del sud dell’Inghilterra sono quelli delle vacanze d’infanzia dell’autore stesso. Dartmoor, il Devon, la Cornovaglia, con le loro paludi, i loro fiumi, la loro vegetazione. Tutta ispirazione per dare un contesto naturalistico all’intera vicenda.
Altro luogo della saga è dove abita Kate Marshall, Thurlow Bay, a qualche chilometro dalla città universitaria di Ashdean, dove ha insegnato criminologia in passato e ha conosciuto il suo allievo, ora socio nell’agenzia investigativa, Tristan Harper.
I personaggi de La mano del diavolo
Di Kate Marshall si è di fatto già parlato nei paragrafi precedenti, ma facciamo un breve riassunto. 47 anni, trasferitasi da Londra in una cittadina sulla costa sud dell’Inghilterra, ha insegnato criminologia all’Università di Ashdean, per poi aprire una sua agenzia investigativa (costantemente in rosso nei conti) finanziata essenzialmente dal campeggio (un altro, non quello della sparizione del bambino) lasciatele in eredità da un’amica. Alcolista in passato e poi frequentatrice degli Alcolisti Anonimi, è una donna volitiva ed energica, e al contempo piena di contraddizioni e fragilità.
Tristan Harper è stato dapprima un suo brillante allievo a criminologia, per poi diventare suo socio nell’agenzia investigativa. Quando è insieme a Kate vengono scambiati spesso come figlio e mamma, e lui, per spirito d’indagine, lo lascia anche credere. Come gli capita, sempre per spirito d’indagine, di lasciare credere ad alcuni suoi informatori di essere eterosessuale, per non complicare le cose. Cosa che non sfugge all’ex poliziotto Ade (ex perché alcolizzato), suo amico infatuato di lui, nonché primo a indagare sulla scomparsa del bambino all’epoca dei fatti, che con il suo carattere bizzarro dà una vena comica al rapporto (di sola amicizia) con Tristan.
Sarah Harper, sorella di Tristan, madre del piccolo Leo e sposata con Gary. Segni particolari: poca simpatia per Kate. Quella di Sarah è una delle poche famiglie non disfunzionali di tutto il libro.
Jean Julings, nonna di Charlie, il bambino scomparso a Devil’s Way. Una vita di tira e molla con Declan, così alcolizzato (e ci risiamo) che nella notte in cui Charlie scompare lo ritrovano stordito con la macchina in un fosso. Jean ha la mania di chiamare tutti “tesoro” e, ovviamente, un sacco di problemi di alcol anche lei in passato. Vicina di letto in ospedale di Kate, le chiederà d’indagare sulla scomparsa del nipote avvenuta 11 anni prima.
Ci sono poi tanti altri personaggi fondamentali per la trama, da un’assistente sociale assassinata a martellate con foto del cadavere su Reddit, passando per bizzarri membri di un club di scrittura, fino a madri suicide, padri che si sono rifatti una vita e vicini di casa particolari.
Giudizio su La casa del diavolo
La casa del diavolo è un romanzo di onesto intrattenimento e nulla più. Scorrevole e piacevole da leggere, interessante nell’affrontare il problema dell’alcolismo e dell’affidamento dei bambini, ma senza mai un momento di vera tensione e con una storia che promette più di quello che alla fine mantiene.