Secondo romanzo di Pupi Avati, pubblicato per Guanda, Il signor diavolo è una storia torbida e inquietante, ambientata nella Venezia del dopoguerra.
“Il parroco di Lio Piccolo non c’era quasi mai, così per la prima comunione ci preparò il sagrestano. Lo faceva la sera quando era già buio. Lui sapeva tutto del diavolo, anzi ci aveva insegnato a chiamarlo signor Diavolo perché diceva che le persone cattive bisogna trattarle bene.”
Così viene introdotto il vero protagonista della storia che, però, parte da lontano: Furio Momenté è un piccolo impiegato del Ministero di Grazia e Giustizia che ha ottenuto il posto, praticamente, andando a messa tutte le mattine nella stessa chiesa del sottosegretario del Ministero, badando bene di farsi vedere mentre faceva la comunione. “Trattandosi di persona che diede una svolta alla mia vita, non rivelerò il suo nome lasciando il lettore nella curiosità di andare a scoprirlo consultando gli annali dei governi dell’epoca“. Nessuna paura, lo abbiamo googlato per voi e vi evitiamo di cercarlo; si tratta di Egidio Tosato, il ministro di Grazia e Giustizia era Adone Zoli, il presidente del consiglio Alcide De Gasperi. Già che c’eravamo siamo andati anche a vedere chi fosse il patriarca di Venezia, al quale Momenté si reca a rendere omaggio, verso la fine del libro, aspettandoci che fosse Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII ma, ahimè, lo diventerà solo a gennaio del 1953. Nel 1952 era ancora patriarca Carlo Agostini, morto proprio lo stesso anno. Implicato anche lui nella diabolica vicenda?
Dunque il nostro eroe è un democristiano o, più correttamente, uno che segue la corrente. Durante il ventennio il padre ostenta la foto del Duce e chiama il secondogenito Bruno, come il figlio di Mussolini, nel ’48, quando la DC vince le politiche, sfiorando il 50% dei consensi, tutta la famiglia si iscrive in massa alla DC.
Da ragazzo, Momenté soffriva di eiaculazione precoce, perciò cerca la soluzione ai suoi problemi nel casino, con un’anziana prostituta soprannominata, chissà perché, Pinocchio che, a quanto pare, lo cura a dovere perché quando conosce Laura, una ragazza giovane e bella, i suoi problemi sono spariti e, dopo qualche tempo, i due si sposano. Ma la vita coniugale s’interrompe presto: a causa di un investimento sbagliato, Momenté si trova in gravi difficoltà e, per pagare i debiti che ha contratto, istiga la moglie a prostituirsi. La povera donna, alla fine, sarà salvata da un cliente, che se ne innamora e la porta a Napoli con sé.
Da questo poche righe si capisce che il nostro eroe è tutt’altro che un eroe, ma è, piuttosto, meschino e inetto.
E ora entriamo nel bel mezzo della storia
Siamo nel 1952, le elezioni politiche sono prossime e il fattaccio accaduto a Venezia rischia di compromettere l’esito del voto nel cattolicissimo e democristianissimo Veneto. C’è stato un delitto nel quale sono coinvolti anche un convento di monache, un prete, in più circolano voci di presenze demoniache ma, quel che è peggio, il giudice istruttore è il dott. Michele Malchionda, fratello di un giornalista dell’Unità, e in odore di comunismo. Perciò il nostro inetto viene spedito dal suo sottosegretario a Venezia per cercare di calmare le acque. I fatti sono questi: un ragazzino, Carlo, ha ucciso Emilio, perché secondo lui, aveva provocato la morte del suo amico Paolino. Mentre Paolino stava prendendo l’ostia consacrata, Emilio lo ha fatto inciampare, l’ostia è caduta e Paolino l’ha, involontariamente, pestata. Ormai maledetto dal sacrilegio, sul letto di morte Paolino avrebbe mormorato a Carlo “Io voglio tornare”. Per far tornare l’amico, Carlo si impelaga in riti oscuri e sacrileghi, suggeritegli proprio da Emilio. Infine, sentendosi minacciato da Emilio, lo uccide con un sasso scagliato da una di fionda, che gli penetra in un occhio e gli lacera il cervello.
Ho omesso molte cose, ma rivelare troppo sarebbe una cattiveria.
Dal poco che abbiamo svelato, speriamo si capisca, e se non si capisce lo diciamo chiaro e tondo, che il senso del soprannaturale permea il romanzo. Oltretutto, non è mai chiaro se il soprannaturale nasca dal punto di vista ingenuo del bambino e dei paesani superstizioni o se si tratti di fatti che accadono realmente. In questo l’autore è particolarmente abile, anche perché ciò che spinge al dubbio e che troviamo la cosa meglio riuscita in questo romanzo è la voce. Le storie narrate sono tre: la vita precedente del narratore, i fatti relativi al delitto e l’indagine parallela di Momenté. Per ognuno l’autore usa tempi diversi: passato e imperfetto quando il protagonista racconta la sua vita; il delitto è letto nei verbali degli interrogatori, quindi si tratta di dialoghi, senza alcun intervento esterno; l’indagine parallela è al presente dell’indicativo. Il presente, innanzitutto, mette il lettore sullo stesso piano del narratore, che racconta i fatti via via che stanno accadendo, quindi non ha nessun indizio in più che un narratore onnisciente benevolo, invece, potrebbe elargire al lettore. Poi il presente mette il lettore in un atteggiamento di tensione: i fatti vengono visti in primissimo piano, bisogna svoltare l’angolo col protagonista per sapere cosa si trova dietro. E la tensione è sostenuta in modo tale che dietro l’angolo non ci si può aspettare di trovare che qualcosa di orrendo.
Questa strategia dipende dal fatto che il romanziere sia anche un regista che nei suoi film ha saputo dosare in maniera ottimale la suspense?
Può essere; è, comunque, notevole che sappia farlo anche utilizzando un mezzo che non gli è altrettanto consueto, come la scrittura. E, visto che si parla di cinema, non dimentichiamo che Pupi Avati ha già trasformato il suo romanzo in un film: Il signor diavolo di Pupi Avati diventa un film.
A questo punto la curiosità di vedere come lo stesso autore ha trattato il medesimo argomento con due media diversi è grande. Inutile dire che, dopo La della Casa delle finestre che ridono, da Pupi Avati ci si aspetta un bis grande almeno come la prima opera. Ormai mancano pochi mesi e ci toglieremo la curiosità.