Caro Lettore, il libro di cui ti parlo oggi è molto particolare: Il rettangolo azzurro di Remo Capone.
La particolarità di questo romanzo sta nel tipo di scrittura davvero molto dettagliata, quasi chirurgica, e nel racconto della crescita interiore del protagonista che man mano vede le cose da prospettive diverse, sempre più ampie, riducendo il distacco tra interno ed esterno di sé.
Sullo sfondo, anche se in realtà quel racconto dettagliato la rende protagonista, Roma e le sue peculiarità, le sue abitudini e i suoi difetti negli anni immediatamente precedenti l’ultimo conflitto mondiale (1938–1940).
Devo essere sincera: ho ripreso più volte questo libro, inizialmente volevo lasciarlo perché davvero quel dettaglio mi sembrava inutile, ma poi mano mano mi sono affezionata a quel racconto, a quel bambino e ho iniziato a leggere con una predisposizione diversa.
Mi sono lasciata trasportare in quella casa patriarcale e ho seguito con attenzione le preparazioni che precedevano i momenti importanti dell’anno come il Natale, ho capito che valeva davvero la pena continuare questa lettura. E mi sono lasciata trasportare nei quartieri di Roma con i suoi commerci ambulanti, le piccole e grandi botteghe, tra la sua gente.
Non è una lettura scorrevole e non perché non è scritta bene, anzi, ma è proprio questa la peculiarità di questa narrazione: ha bisogno di tempo per la lettura, per assaporarne ogni passaggio e immergersi nella memoria di questo bambino, che racconta il suo percorso, immergendosi nel sé stesso di allora.
Il “rettangolo azzurro” è una finestra che ti permette di entrare nella sua storia e vedere come il suo sentire e il suo vedere è cambiato nel corso del tempo.
Leggendo questo libro puoi guardare nella sua memoria e vedere esattamente ciò che vedeva lui.
L’autore si sofferma molto su ciò che il bambino vede dalle finestre della sua casa e sulla sua condizione di osservatore della vita ancora dall’esterno, ancora al di fuori della vita stessa che lo mettono nella condizione di osservare la “recita della vita”, cogliendo una verità profonda:
“Gli uomini sono ciò che fanno, non ciò che pensano dicono o desiderano di voler fare o essere”.
Il bambino non coglie ancora la differenza tra ciò che vede e ciò che è, ma la sua visione appare, e forse è, più realistica di quanto possa sembrare.
Un altro punto molto interessante è l’importanza che ogni oggetto della casa assume per il bambino, come la stampa a colori su tela sopra il controbuffet, anche se inizialmente non riesce a comprenderne il “linguaggio” o il vero significato.
Solo da adulto però arriva a capire:
.. che le cose sono vive, che esistono istanti particolari, momenti irripetibili/imprevedibili in cui esse – abbandonata la loro maschera ingannevole di entità inanimate – inaspettatamente ci parlano, ci svelano il loro mistero, ci fanno partecipi della loro vita autonoma e a noi altrimenti ignota…
Remo Capone
Remo Capone è nato a Roma. Nel 1993 ha vinto con un suo racconto il Primo Premio Lidense di poesia e narrativa inedite. Ha fatto parte del comitato di redazione della casa editrice Aelia Laelia di Parma ed è stato socio fondatore della cooperativa editoriale Stalker di Roma.
Ha svolto attività di traduttore e pubblicista. Dalla fine degli anni ’70 affianca alla scrittura la ricerca fotografica. Ha tenuto mostre personali e collettive in varie città italiane e straniere.
Consiglio questo libro a chi ha voglia di fare un viaggio nella memoria, quella di questo bambino ma anche la propria.
Come sempre buona lettura!