Pubblicato per Newton Compton Editori, facciamo una panoramica dell’ultimo thriller vergato da Gianluca Rampini, ovvero sia Il Mostro di Trieste. Un’indagine di Zeno Pentecoste, in cui il protagonista dovrà scavare nei fantasmi di un passato dimenticato per giungere alla soluzione della scia di sangue del presente.
Lo stile de Il Mostro di Trieste
Lo stile adottato è molto scorrevole da leggere, con una narrazione in terza persona talvolta come narratore onnisciente, talvolta come indiretto libero, a cui, ovviamente, si aggiungono i dialoghi, tutto sommato ben fatti.
L’incedere della vicenda procede con alternanze temporali, sempre esplicitate all’inizio dei 104 capitoli (più prologo), seguendo le vicende di più personaggi, in particolare Zeno Pentecoste e un certo Giovanni, il cui ruolo, evidentemente, sarà fondamentale nella storia.
Il ritmo è abbastanza incalzante, mai noioso, e, soprattutto in alcuni momenti, si riesce a creare una buona sensazione di suspence.
I temi e i personaggi de Il Mostro di Trieste
Zeno Pentecoste e i suoi colleghi sono sulle tracce di un’organizzazione dedita ad aste di contenuti pedopornografici, la quale si serve anche di tossicodipendenti come manovalanza.
La cosa inquieta molto Pentecoste (che non si risparmia qualche cazzotto non strettamente necessario a sgherri dell’organizzazione poco collaborativi), avendo lui una figlia, Rebecca, in quell’età di transizione tra l’essere una bambina e il diventare una ragazza. Rebecca la deve crescere ormai da solo, visto che la moglie Margherita è ormai ricoverata in una clinica a tempo indeterminato, e, a causa delle suggestioni terribili che l’indagine gli sta inducendo, si ritrova spesso a pedinare la figlia, scisso tra il desiderio di proteggerla e il senso di colpa di non rispettare la sua privacy.
L’indagine pare possa avere un’accelerata quando viene trovata una ragazza di tredici anni, Jennifer, vagante in stato quasi catatonico e con chiari segni di violenza, dopo che era sparita da mesi, ma questa per lo shock non riesce a riferire molto su quello che le è successo. Nel frattempo viene trovato il cadavere carbonizzato di un uomo all’interno di una macchina, che il lettore sa essere la stessa auto dove Jennifer è stata trasportata.
Da qui inizierà una scia di sangue con riferimenti alla mitologia basca (di cui risparmio a chi sta leggendo questa recensione i dettagli più macabri), facendo pensare così agli inquirenti che il Mostro di Trieste possa avere un successore, visto che quello originale, tale Tagliabue, è morto di recente dietro le sbarre di un carcere.
Tuttavia, il tema vero de Il Mostro di Trieste è un altro, ma non lo voglio esplicitare qui per evitare spoiler a coloro che vorranno approcciarsi a questo thriller, e non voglio dire nulla di specifico, per lo stesso motivo, sul personaggio che ho accennato qualche paragrafo fa, ossia Giovanni.
Considerazioni su Il Mostro di Trieste
Se la vicenda in sé dell’organizzazione non costituisce un vero fulcro di mistero per un lettore un minimo attento (ad esempio, non occorre di certo arrivare alla rivelazione negli ultimi capitoli del romanzo per capirne chi è il capo), più soggetta a colpi di scena è la vicenda di Giovanni, la quale si intersecherà con quella dell’organizzazione e, in seguito, con quella dello stesso Zeno Pentecoste.
Nel libro c’è molto focus sul procedere della storia e dell’intreccio, cosa che ha di certo dei pro e che piacerà molto ad alcuni, ponendo meno attenzione su una contestualizzazione ambientale del tutto, non riuscendo a far immergere completamente nella realtà triestina (nonostante riferimenti alla bora e ad altre caratteristiche locali ci siano, sia chiaro, ma la stessa storia la si poteva collocare in un altro posto e non sarebbe cambiato nulla).
Ovviamente ci sono tante belle storie che non hanno necessariamente un focus orientato alla costruzione ambientale, ma visto che nel titolo si fa riferimento a Trieste mi aspettavo di respirare maggiormente la città e i suoi dintorni, tutto qua.
Un ragionamento per certi versi analogo si potrebbe fare per l’esplorazione psicologica, che non è molto approfondita di per sé, anche se c’è cura nella costruzione di un background credibile per i personaggi funzionale al racconto della vicenda, ma non si ha la sensazione, pur illusoria, di “conoscerli” questi personaggi. Nel senso, viene spiegato il perché (o quantomeno, una parte dei perché) di tanti comportamenti, ma non si è mai troppo vicino ai pensieri più intimi degli esseri umani presenti nella narrazione.
Ovviamente, non avendo puntato eccessivamente su questi aspetti, il romanzo ne guadagna in termini di scorrevolezza e di attenzione del lettore, che sono cose, chiaramente, da non sottovalutare mai.