Il 18 agosto 2017 è uscito il romanzo scritto da Matteo Di Antonio. Un thriller che intreccia politica e attività mafiose, uomini pronti a tutto per far soldi e killer mercenari
Il mio gioco è il primo libro di Matteo Di Antonio, ambientato nelle Marche e che vede protagonisti un affascinante giocatore di poker e una risoluta agente di polizia. Questa strana accoppiata verrà coinvolta nel tentato arresto di un uomo corrotto e a capo della malavita, denominato l’Industriale.
Vediamo più nel particolare di cosa parla
Il protagonista è Steve, un uomo solitario, che non ha altra occupazione nella vita se non quella di giocare a poker. Non ha famiglia, ha pochi amici, vive in un piccolo appartamento e tutto ciò che gli interessa è giocare, ovviamente in bische clandestine. Una sera viene invitato a una misteriosa e decisamente losca partita di poker. Non sa niente su chi sia l’organizzatore, ne del perché sia stato invitato. Nonostante i suoi sospetti e la sua diffidenza iniziale, il suo istinto di giocatore prevale e si presenta all’incontro.
Da quel momento si trova invischiato in un gioco più grande di lui. Un gioco in cui la parte del protagonista vuole averla un uomo chiamato l’Industriale. Quest’ultimo dovrà superare sparatorie, rapimenti e minacce, affrontare politici corrotti e pericolosi malavitosi. Al suo fianco ci sarà però l’agente sotto copertura, Mary La Torre. Una notte segnerà per sempre la vita di Steve ed avrà l’opportunità di cambiare gioco, di cambiare vita. Tutto grazie all’amore per Mary e all’appoggio dei due suoi amici.
Vediamo cosa c’è di buono e cosa lascia un po’ a desiderare
La voce narrante è interessante. Il racconto è focalizzato attraverso personaggi diversi e quindi la storia viene presentata sotto più punti di vista, come Rashomon di Kurosawa. Vengono alternate le voci di Steve, Mary e altri ufficiali di polizia con i pensieri invece dell’Industriale e dei vari personaggi corrotti della storia. Una strategia che rende il romanzo sicuramente meno piatto e con più sfaccettature.
Per contro, la trama non è abbastanza avvincente per trattarsi di un thriller
L’inizio è intrigante, incuriosisce il lettore. A parlare è Steve, che ci racconta di sé e si lascia andare a una catena di pensieri sulla sua vita, sulle sue abitudini e passioni. Poi si entra subito nel vivo della storia. Vengono presentati, anzi, si presentano da soli gli altri personaggi, tutti riuniti in un sotterraneo, pronti per una partita di poker. Giocatori alquanto strani e che poco sanno del perché siano lì. L’unico che ha tutto sotto controllo è il dottor Grambasso, un burattino nelle mani del ben più potente Industriale.
Fino a qui tutto bene, si vuole sapere cosa succede dopo, si vogliono scoprire i perché di quella partita. Si intuisce che c’è qualcosa di più sotto. Ma più il libro va avanti, meno la storia diventa interessante. Certo, vengono introdotti nuovi personaggi, degni di Mafia, ma proprio per questo stereotipati e caricaturali. Inoltre, i personaggi non sorprendono, fanno esattamente quello che il lettore si aspetta. Se questo sarebbe un buon espediente in una commedia di costume, per un thriller è decisamente contro producente.
Un altro aspetto negativo del romanzo è che i personaggi rimangono particolarmente anonimi
Si gettano delle esche che poi rimangono sospese. Si accenna al passato di Steve più volte, lasciando intendere un vissuto difficile che il protagonista vuole dimenticare. Questo riesce talmente bene che anche noi lettori rimaniamo all’oscuro di tutto. Anche dell’agente Mary La Torre non sappiamo niente. Perché scegliere di diventare un’agente segreto? C’è un motivo personale o è riuscita solo a vincere il concorso? Ciò che colpisce è che solitamente con soggetti del genere il passato del poliziotto è una tra le cose sulle quali si insiste di più. Basti pensare a James Gordon in Batman o all’agente Clarice Starling nel Silenzio degli Innocenti. Poi, per essere un’agente segreto talvolta si rivela troppo maldestra. Sembra solamente una donna d’azione, ma troppo distratta per essere completamente efficiente.
Anche la storia d’amore tra i due è piuttosto stereotipata, quasi da fiction
Storia alla Bonnie & Clyde? No, Il mio gioco somiglia di più ad un fotoromanzo di Grand’Hotel.
Forse trasformando il romanzo nella sceneggiatura di una fiction potrebbe avere un discreto successo, come thriller, però, è al di sotto delle aspettative.