Il garzone del boia, scritto da Simone Censi e pubblicato da Elison Publishing, narra la storia di Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta, raccontata dal punto di vista del suo aiutante.
Non conoscevo la storia di Mastro Titta, er boia de Roma, incaricato dallo Stato Pontificio di eseguire sentenze capitali. 516 sono quelle annotate sul suo taccuino, 514 quelle ufficiali; 68, invece, gli anni di servizio. Aveva iniziato a 17 anni, nel 1796, e gli venne concessa la pensione da papa Pio IX nel 1864, anno in cui venne sostituito da Vincenzo Balducci, il suo garzone d’allora – ma non quello che, in questo libro, racconta la storia del proprio maestro.
L’aiutante in questione, il nostro narratore, rimane anonimo. Se ne rammarica lui stesso verso la fine del libro quando si chiede come mai il suo nome non sia passato alla storia come quello del Balducci, il ragazzotto che l’ha sostituito e che è stato con Mastro Titta per meno tempo. Ma non c’è una risposta alla questione.
Mastro Titta faceva esecuzioni in tutto lo Stato Pontificio ma aveva residenza a Roma, sulla riva destra del Tevere, all’interno della cinta vaticana. Non era particolarmente amato dai suoi concittadini e, per prudenza, non andava mai dall’altra parte del Tevere, se non per prestare i propri servigi di boia. Questo fatto ha dato origine a due modi di dire nel dialetto locale: “Boia nun passa Ponte”, ovvero “ciascuno se ne stia nel proprio ambiente” e “Mastro Titta passa ponte”, dove mastro Titta diventa sinonimo di boia e significa che quel giorno ci sarà un’esecuzione capitale.
Anche due grandi scrittori di quell’epoca assistettero a un’esecuzione effettuata da Giovanni Battista Bugatti nel suo mantello scarlatto, e ne rimasero colpiti. Si tratta di George Gordon Byron e di Charles Dickens.
Ma torniamo al nostro libro, Il garzone del boia, e alla sua doppia stesura dei fatti, come si spiega nella sinossi e verso la fine del romanzo, perché questa è la cosa che più mi ha creato difficoltà nella lettura. Per come è messa, pur essendo interessante, manca di una delucidazione iniziale, anche solo una nota in cui vengono spiegati i motivi di questa doppia lettura dei fatti e chi scrive. Avrei anche preferito che la serie di esecuzioni descritte venissero intervallate con i capitoli finali in cui alla figura dell’aiutante e del maestro viene dato un volto, seppur abbozzato.
Anche la caratterizzazione psicologica dei personaggi de Il garzone del boia è un po’ scarsa, a mio avviso. Mi sarebbe piaciuto saperne di più di una persona che fa questo “mestiere”, se lo fa per forza, per abitudine, per scelta; se ha mai avuto un pentimento, un rimorso, un dubbio, oppure se gli piaceva. Questi pensieri sono tratteggiati nei capitoli finali, soprattutto quelli del garzone, ma avrei voluto fossero un po’ più approfonditi e trovarli durante tutta la lettura in modo più esplicito.
Ne Il garzone del boia ho trovato particolarmente interessante la parte in cui si raccontano le esecuzioni, una sorta di spaccato sui reati e sulla giustizia di quel tempo, e l’uso di termini in dialetto o desueti per la nostra epoca, che danno colore e profondità alla narrazione, catapultando il lettore nell’ottocento italiano.
Il garzone del boia
Ambientato nell’Italia dell’Ottocento, “Il garzone del boia” è la storia romanzata del più celebre esecutore di sentenze capitali dello Stato Pontificio, Giovanni Battista Bugatti detto Mastro Titta, raccontata dal suo aiutante, comprato per pochi soldi dalla famiglia di origine per farne il proprio garzone. Una visione assai diversa, a volte in contrasto con quella del proprio Maestro che vede il mestiere del boia come una vocazione, mentre per il buon garzone è solamente una scelta obbligata dalla quale fuggire alla prima occasione. Gli eventi si susseguono tra le esecuzioni di assassini e le storie vissute dai protagonisti o raccontate dal popolino sotto la forca.
Il Maestro cresce il proprio aiutante iniziandolo anche alla lettura e alla scrittura, così che il romanzo presenta un doppia stesura. Una prima, in corsivo, fatta dall’aiutante alle prime armi, con un linguaggio spesso forte e colorito e una seconda riscrittura, quando oramai avanti con l’età su consiglio del suo analista, riprende in mano questa storia per fuggire dai fantasmi che ancora lo perseguitano.