Agosto 2018, caldo afoso, nessuna voglia di uscire. Decido di iniziare a leggere un libro appena arrivato, Il giallo di Montelepre di un certo Gavino Zucca. Dato che i gialli sono sempre stati i miei preferiti, probabilmente perché ne ho letti sempre tanti fin da piccola, a partire da quelli per ragazzi, come Nancy Drew o i Pimlico Boys, fino ad arrivare a Sherlock Holmes, si prospettava un bel pomeriggio, nella speranza che il romanzo si rivelasse effettivamente un buon giallo. Sono bastate poche pagine per farmi appassionare alla storia e, soprattutto, per farmi affezionare ai personaggi. Se hai letto la mia recensione, già saprai che ne ho parlato in termini entusiastici, lodando sia la caratterizzazione del tenente Roversi e della sua gang, sia l’ambientazione, estremamente efficace e quasi familiare, così familiare da sembrare un ricordo di una vecchia vacanza passata assieme agli abitanti sassaresi e non una storia frutto di fantasia. Fatto sta che il libro mi era piaciuto talmente tanto che non solo l’ho finito dopo qualche ora, ma sono anche andata a comprare il primo romanzo di Gavino Zucca, Il mistero di Abbacuada, giallo altrettanto efficace, che mi ha dato la possibilità di approfondire certi aspetti dei vari personaggi e soprattutto del nostro protagonista, Giorgio Roversi. Con Il delitto di Saccargia, che ho accolto con enorme gioia, torna il tenente e tornano gli abitanti di Villa Flora, Don Luigi, Caterina e il fratello Michele, pronti a risolvere un altro caso. O meglio, due casi. Anzi, tre.
La trama: un intreccio di tre misteri
Il delitto di Saccargia presenta una trama molto più complessa rispetto ai due gialli precedenti: in Sardegna abbiamo un omicidio, a prima vista banale, che presenta però particolari insoliti, che insospettiscono la polizia che decide di rivolgersi nientemeno che al tenente Roversi. Sempre in Sardegna, vicino a Villa Flora succedono cose strane e Michele sembra tramare qualcosa: c’è chi pensa che si tratti di una relazione segreta, ma sarà davvero così? Ci spostiamo poi a Bologna, dove Fulvia, amica di lunga data di Roversi, è stata accusata, (forse) ingiustamente, di omicidio. Per tutta una serie di motivi, che chi ha letto anche i libri precedenti capisce immediatamente ma che vengono comunque accennati, il tenente non può partire per Bologna per aiutare l’amica, ma al suo posto andrà un ottimo sostituto e mio personaggio preferito, Don Luigi Gualandi. Abbiamo tre misteri da risolvere e tre personaggi principali da seguire, in tre indagini che sono tutt’altro che semplici e dove la verità è quasi sempre dolceamara.
Ambientazione e personaggi
Come nei due libri precedenti, le ambientazioni sono estremamente efficaci; soprattutto i due paesini sardi vengono descritti con grande precisione e sembra quasi di vedere i personaggi che si muovono al loro interno. Ci sono le tre sorelle zitelle, dall’occhio di lince e della memoria prodigiosa, che non si lasciano sfuggire neanche un pettegolezzo; c’è una giovane donna vedova, molto passionale, superstiziosa e fermamente convinta che il fantasma del marito abiti ancora in casa con lei; abbiamo un giovane ufficiale di polizia che, proprio come Roversi, si trova da poco in Sardegna e deve ancora abituarsi alle tante stranezze di quel paese e dei suoi abitanti; abbiamo poi il morto, un personaggio molto interessante, che fa un po’ venire in mente un dandy decadente, affascinante, ma maledetto, che si diverte a conquistare tutte le donne del paese per poi lasciarle subito dopo aver finito di intagliare nel legno un simbolo che rimandi alle sue conquiste; infine, viene introdotto anche un altro personaggio importante, di cui però non voglio svelare niente e di cui mi limito a dire che mi ha ricordato le figure dei due vecchi mendicanti del romanzo precedente, figure emarginate, solitamente relegata sullo sfondo, che in realtà acquistano importanza e carattere man mano che la storia va avanti. Il ritmo non rallenta mai, la storia è frenetica, a ogni scoperta se ne affianca un’altra e saltiamo da una città a all’altra; adesso siamo a Sassari a seguire il caso di Salvatore Mazzoni, dopo siamo a Bologna, a osservare le avventure di Luigi Gualandi. Come già mi era successo leggendo Il giallo di Montelepre, attraverso le pagine del romanzo si respira un’aria vintage, che sa di nostalgia e di vecchi ricordi, e che racconta di una realtà che sembra ormai molto lontana.
Come ho già un po’ accennato, rispetto ai libri precedenti è stata data un’attenzione maggiore alla trama e a renderla complicata piuttosto che ai personaggi, che negli altri romanzi sono essenziali e tengono interamente in piedi la storia. Il tenente Roversi continua a essere un grande appassionato di Tex, tanto che trova la soluzione del caso in un suo vecchio albo a fumetti, e di lui viene anche approfondita ulteriormente la personalità, si insiste sui suoi dubbi, sui suoi rimorsi e si fa sempre più chiaro il legame che ha con Fulvia e con la sua famiglia. Lo stesso possiamo dire di Michele, che rispetto ai due libri precedenti acquista consistenza e ci diventa ancora più simpatico. Due sono le figure che restano un po’ marginali, nonostante a una delle due si affidata una delle indagini; la prima è Caterina, che conosciamo come una ragazza instancabile, che ama i misteri ed è dotata di un’intelligenza acuta e di una grande sensibilità, nonché di una cotta (più che corrisposta) per Roversi. In questo romanzo appare poco, anche se, va detto, quando appare è proprio così come la ricordavamo, e si insiste poco anche sulla sua storia con Giorgio Roversi. Il secondo è Don Luigi Gualandi, per me protagonista indiscusso del secondo romanzo, un personaggio che rimane nel cuore, con le sue stranezze e il suo carattere bislacco. Ricordavo soprattutto una sua particolarità, quella di sbagliare sempre i modi di dire. Un dettaglio davvero semplice, che a prima vista potrebbe sembrare anche insignificante e superfluo, ma che in realtà rendeva il personaggio incredibilmente vero, reale. Ne Il delitto di Saccargia questo si va un po’ a perdere e, nonostante rimanga un bel personaggio, non è più indimenticabile.
In conclusione,
Gavino Zucca scrive ancora una volta un giallo accattivante, frizzante, che diverte e ci fa sentire parte degli abitanti sassaresi, ma che, con il suo finale a effetto, fa anche riflettere. Che dire, non vedo l’ora che esca il suo quarto romanzo, che ovviamente non potrò fare a meno di leggere. Se ami i gialli, soprattutto quello old fashioned, allora i libri di Gavino Zucca fanno proprio al caso tuo!