Un romanzo che dal titolo prende vita e forma: la foschia di una vita in bilico sul filo sottile tra bisogno e ambiguità.
Anna Luisa Pignatelli, toscana, ha trascorso molti anni all’estero. Molto conosciuta ed apprezzata in Francia dove, nel 2010, il Prix des lecteurs du Ver, con la traduzione del suo primo libro Nero toscano. Vive attualmente in Guatemala, dove partecipa attivamente alla vita culturale della comunità italiana.
Recensire (o tentare di recensire) un libro o un romanzo, ho sempre pensato significhi riuscire in qualche modo, ad entrare nel vissuto del suo autore o nel suo immaginario che, credo, abbia sempre un fondo di verità. L’ispirazione nasce sempre da uno spunto reale, anche quando si raccontano storie fantasy o favole.
Leggendo Foschia di Anna Luisa Pignatelli, edito da Fazi, mi sono chiesta quanta vita vissuta ci sia dentro il romanzo o quanto, l’autrice, sia ispirata da fatti reali di sua conoscenza.
A me piace essere sintetica e, spesso, se un pochino hai la bontà di leggermi, hai potuto accorgerti che tendo a descrivere in poche righe il significato di un intero libro (dicono che la sintesi sia un dono ma non so chi lo abbia detto…). A questo punto ti chiederai dove voglio andare a parare, soddisfo subito la tua legittima curiosità (del resto ti spetta di diritto, dal momento che stai leggendo): [amazon_textlink asin=’889325476X’ text=’Foschia ‘ template=’ProductLink’ store=’game0ec3-21′ marketplace=’IT’ link_id=’3f7a646f-aeea-40ea-867d-9a7ad7d4655b’]mi è sembrata la storia di un incesto mancato.
La protagonista, Marta, racconta in prima persona la sua vita, la vita della sua famiglia e lo strano rapporto di ambiguità che, fin da bambina, instaura con il padre: figura carismatica ed affascinante da cui Marta è letteralmente soggiogata.
Lapo, questo il nome del padre con il quale vuole essere chiamato dai figli, critico d’arte affermato, talentuoso e temuto negli ambienti artistici ma anche in famiglia, è uno di quegli uomini per i quali l’affermazione in campo lavorativo, vale molto di più degli affetti familiari. Poco presente con i figli, ipercritico (per deformazione professionale, credo…) con la moglie che finisce con il suicidarsi dopo una vita da succube e lunghi periodi di malattia mentale, è l’idolo di Marta. Lei, sua fan a prescindere da tutto e da tutti, gli si attacca in un rapporto che diventa sempre più ambiguo, fino a sfociare in una vera e propria attrazione fisica e sessuale. Lapo, dal canto suo, sembra proprio ricambiare e, dalle occhiate insistenti sul corpo della figlia, passa ad un tentativo di vero e proprio approccio sessuale.
Scottanti le tematiche di questo romanzo, perchè se da un lato c’è un padre affascinante e privo di scrupoli in tutti i sensi, dall’altro c’è una figlia che pur di avere l’attenzione affettiva del padre, arriva a desiderare un rapporto fisico con lui, salvo poi fuggire inorridita quando Lapo passa dagli sguardi insistenti e lascivi, alle vere e proprie azioni.
La foschia che aleggia in tutto il racconto, non è solo quella atmosferica della campagna toscana ma è, sopratutto, quella dei sentimenti e dei pensieri dei protagonisti principali e di tutti gli altri personaggi che ruotano intorno ad essi. Il romanzo ha infatti un clima di nebulosa ambiguità fin dal suo inizio, i personaggi immersi in questa nebulosità ne sono intrisi fin nel profondo.
Non so se nell’autrice era presente l’intenzione di scrivere un romanzo psicologico, non posso dire che l’esperimento sia del tutto fallito però, ed è un mio parere personalissimo ed opinabilissimo, ritengo che i tratti caratteriali siano da un lato un po’ troppo caricati e dall’altro un po’ lasciati nella nebbia, proprio come il titolo anticipa.