Leggendo Fiabe Norvegesi mi sono resa conto che ciò che pare lontano come cultura e tradizioni, in fondo, si rapporta a noi molto più di quanto possiamo pensare. Sono arrivata a questa conclusione approfondendo il pensiero di Bruno Berni, traduttore di testi di Andersen, Kren Blinxen e Hoege, convinto assertore di come le fiabe, pur se antiche, debbano essere riprodotte quanto più fedelmente possibile perché della loro originalità e del loro significato non si perda nulla.
“La traduzione è la prima forma d’interpretazione di un testo, serve un grande equilibrio perché la traduzione continui a essere dominata dal totale rispetto dell’originale; tradurre è ricreare un testo in una lingua diversa, cercando di portare il lettore alla stessa esperienza che avrebbe il lettore dell’originale e l’esperienza del testo non è solo linguistica, ma anche culturale, sonora, spesso emotiva. Oggi una traduzione fatta da un bravo professionista è e deve essere bella e fedele”.
In effetti, i dodici racconti di questa raccolta, sesta in ordine di pubblicazione per la collana che Iperborea ha curato di recente, hanno tutti una morale che si rivela forte, potrei usare il classico “chi la fa, l’aspetti” ma sarebbe riduttivo, tra le righe c’è molto di più. Il lettore è subito catapultato in paesaggi rigogliosi, lussureggianti, foreste che si offrono all’eroe di turno per diventare contorte e invalicabili al passaggio di chi non merita, contadini che sfidano il mare per giungere fin all’Arabia Saudita per trasformarsi in principi valorosi, fratelli minori che riscattano con il coraggio l’indifferenza e la crudeltà dei fratelli più grandi, castelli abitati da re, regine e principesse molto amate che perdono la scarpetta e con essa ritrovano l’amore del principe. È stato immediato pensare a Il Gatto con gli Stivali, alla Cenerentola di Perrault, favola già rielaborata dai Fratelli Grimm in Germania le cui origini ritroviamo non solo nei testi pubblicati nel ‘800 da Moe e Asbjornsen, autori della nostra raccolta, ma addirittura nei testi degli antichi Egizi.
“Ma guarda, hai anche un cavallo!” esclamò “lascia libera quella povera bestia nel prato, non tenerla qui a morir di fame vicina alla porta! Senti, non vorresti fare un cambio con me?” aggiunse “Abbiamo un paio di stivali con cui puoi fare quindici miglia ad ogni passo: puoi prenderli in cambio del cavallo, così arriverai prima al castello di Soria Moria”. Halvor fu subito d’accordo e la vecchia era così contenta per il cavallo che quasi si mise a ballare: “Adesso andrò anche io in chiesa a cavallo!”
Incuriosita, alla fine della lettura mi sono soffermata sulle note che riguardano gli autori e ho compreso quanto entrambi, cercando di dare un impronta interpretativa alle fiabe, le abbiano influenzate. L’approccio più fantasioso e semplicistico di Asbjornsen si è miscelato con quello più riflessivo ed etico di Moe, all’epoca vescovo, e il risultato, nonostante le critiche del tempo, ha spinto perfino Jacob Grimm a considerarle le migliori che esistono.
Le Fiabe raccontano la continua lotta tra il bene e il male in cui la purezza del cuore e la carità è ripagata nel momento del bisogno, la storia di chi riscatta con il proprio coraggio l’indifferenza e l’emarginazione, pongono l’accento sulla forza educativa della natura che provvede ad eliminare chi ha perso il senso dell’amore. Il “vissero felici e contenti” sembra essere il finale a cui il personaggio aspira prima di ogni cosa, rende la storia stessa ricca di speranza, aiuta a ridimensionare le fatiche per averla raggiunta, motivo per il quale, possono essere lette e comprese sia dagli adulti che dai bambini.
A di là delle diverse caratteristiche letterarie è stata una lettura molo piacevole, scorrevole, comunque introspettiva; riservo un plauso personale a Berni per la sua capacità di averle interpretate nella maniera giusta trasmettendone i valori e il senso più profondo. Vi lascio con un suo pensiero per me significativo:
Vivere di libri è molto bello e non parlo solo di lettura: conoscerli, toccarli, sapere cosa esiste. Però poi leggerli è un percorso personale che segue le sue strade e non ha obblighi. Una letteratura, soprattutto se poco nota, diventa presto un continente da esplorare, di conseguenza una parte della nostra vita e da qui nasce anche la necessità e la voglia di mediarla agli altri, sia con la traduzione, sia con la scrittura.