C’era una volta il Covid-19 è un libro composto da venti racconti scritti da autori vari, uno dei tanti che in queste settimane hanno dato vita al boom di raccolte scritte dalla quarantena, di diari del lockdown e di una serie di pensieri e riflessioni che hanno l’intento di mettere nero su bianco la memoria di questi mesi particolari della nostra storia.
È una raccolta composta da venti racconti, molto diversi tra loro, scritti da altrettanti venti autori che in passato hanno già avuto almeno una pubblicazione con Mazzanti Libri, casa editrice veneziana che ho già incontrato nel mio percorso di lettura grazie al libro I racconti del Commissario Silvestri.
C’era una volta il Covid-19 è uscito a inizio maggio, a poche ore dall’inizio della tanto attesa da tutti FASE 2, con lo scopo di, innanzitutto, essere una sorta di diario in cui si fermano il tempo e la memoria di questi mesi di quarantena così da poterli tramandare ai posteri, e in secondo luogo, scopo secondo me assai nobile, per sostenere, grazie ai ricavi della vendita, un progetto legato ad un’app per la lettura di audiolibri dedicata a chi ha problemi nel leggere e ai ricoverati negli ospedali e nelle strutture per anziani.
C’ERA UNA VOLTA IL COVID-19: LA RECENSIONE
Trattandosi di racconti, come ogni volta che mi approccio ad una raccolta del genere, mi ci sono dedicato ogni sera, prima di addormentarmi, facilitato dal fatto che per definizione, i racconti iniziano e finiscono e non si deve per forza cercare di arrivare a un traguardo o capitolo lasciando la lettura con l’amaro in bocca tipico del voler scoprire cosa succede nelle pagine seguenti, vinti dal sonno.
I racconti di C’era una volta il Covid-19 sono molto diversi tra loro, spaziano da vere e proprie cronache domestiche dei giorni della quarantena a storie immaginarie ambientate in tempi passati o addirittura in epoche future governate dagli alieni.
Come potrai intendere, caro iCrewer, il minimo comune denominatore della raccolta è il virus, il maledetto Coronavirus che in un modo o nell’altro ci ha costretto tutti a fare i conti con qualcosa di estremamente diverso dalla consuetudine cui eravamo abituati.
Sono racconti ben scritti. I generi, come accennato, non sono omogenei, ma questo è proprio il bello e il punto di forza di una raccolta di storie, il lettore solitamente si aspetta di cambiare mondo e di cambiare scenario alla sua immaginazione ad ogni nuovo inizio.
Lo scenario, in realtà, nei venti racconti, è sempre Venezia, o meglio i territori di quella zona d’Italia. Non serve che io scriva nuovamente le mie parole di elogio e apprezzamento per questa città, ma leggerla in ginocchio, scoprirla fragile, come del resto tutto il resto della nazione, mi ha ancora di più fatto affezionare. Si dice spesso che ci si rende conto di quanto ci manca una cosa quando la si perde: mai come in questo periodo questa affermazione suona con una forza incredibile.
Quanto ci è mancato poter girare per le nostre amate città?
Quanto ci hanno colpito le immagini dei luoghi più belli d’Italia lasciati soli alla sola compagnia del cielo e del vento?
La dimostrazione l’abbiamo avuta nelle ultime settimane, in quelle in cui con il nuovo DPCM il governo ci ha autorizzato a riprendercene possesso. Io non vedo l’ora, per esempio, di tornare a respirare la bellezza di una passeggiata sul lago tra Como e Lecco, o di tornare a vivere una serata nel centro di Milano. Per il mare… beh per quello forse ci vorrà più tempo, ma sono contento che chi ha la fortuna di viverci possa ritornare a usufruirne a pieni polmoni.
Tornando ai racconti, vorrei segnalarne due: il primo e l’ultimo. Non perché siano così incredibilmente più meritevoli degli altri, anzi, il livello di scrittura come detto è buonissimo, ma per il fatto che mi sembrano molto indicativi e particolari.
Il primo, Imprecazioni virali di Ludovica Bastianetto, è ambientato nelle corsie di un ospedale, dove una infermiera si trova a dover fare i conti con un mistero legato alla scomparsa di un paziente Covid. Al di là della fantasia notevole nello strutturare una trama all’interno di una emergenza sanitaria, la questione interessante è proprio quella di portare il lettore all’interno delle dinamiche di un reparto di ospedale, specie in questi tempi così difficili.
Ricordiamo tutti le immagini e i volti stravolti degli operatori sanitari nei mesi di marzo e aprile, quando all’apice dell’emergenza entravano nelle nostre case attraverso i telegiornali, apparendo come eroi a noi che semplicemente dovevamo rispettare la regola di starcene comodi sul divano al sicuro. Ecco, se c’è una cosa che mi piacerebbe fosse ricordata in futuro, è proprio la grande vocazione del personale degli ospedali, dei volontari e di chi si è speso per aiutare gli altri.
Il secondo racconto, invece, ovvero quello che chiude la raccolta C’era una volta il Covid-19 è scritto da Pierluigi Rizziato e si intitola Un libro, che noia! L’autore, immagina un futuro remoto, governato da macchine e tecnologia, in cui gli essere umani posso conoscere il passato, quindi il nostro presente, avvalendosi del servizio A.B, ovvero Ancient Books. Un servizio in cui si richiede un libro, definito ampiamente scomodo e noioso, con tutte quelle pagine da girare, senza poterlo scegliere. Quel che arriva arriva. Il racconto termina con il protagonista che si ritrova tra le mani una raccolta di racconti davvero datata che parla di una epidemia avvenuta nel 2020… simpatico no?
C’ERA UNA VOLTA IL COVID 19 – RIFLESSIONI
È proprio questo il punto, caro iCrewer, è proprio questa la questione sulla quale sto provando a ragionare da qualche settimana.
Promettendoti di non dilungarmi troppo, voglio porti una domanda, una domanda sorta durante una intervista che ho fatto per la radio ad una scrittrice: ma abbiamo voglia di ricordare questi mesi o non vediamo l’ora di dimenticarceli?
Ha senso scrivere tutti questi libri sulla quarantena, che letti oggi hanno una valenza emozionale d’impatto ma magari poi letti tra dieci anni diventeranno solo una sorta di testimonianza storica? Avremo voglia di leggere di questi giorni quando saremo anziani?
Io sono molto combattuto nel trovare una risposta a queste domande.
Intanto anche io è giusto che onestamente ti dica che ho scritto molto. Anche io ho scritto dei pensieri dalla quarantena che ho pubblicato gratuitamente sul mio sito personale (perdonerai la marchetta), ma ora mi sono fermato.
Come spesso succede, forse la via di mezzo è la risposta esatta. Nel senso che è giusto avere memoria di quello che è stato (e che ancora è, visto che non è ancora finito nulla), ma penso che se dobbiamo ripartire, se dobbiamo guardare al futuro, è ora di dare un taglio con quello che è successo, almeno sotto l’aspetto artistico.
Sarà giusto ed emozionante rileggerci tra venti anni, sarà come quando oggi si leggono libri sulla guerra e sulla rinascita del paese, ma oggi, ora, penso che le nostre energie artistiche e le nostre ispirazioni debbano essere rivolte a qualcosa di nuovo, alla nostra vita che si apre ed esce dalla chiusura delle nostre amate e preziose case.
Sempre nel pieno rispetto delle regole e del buon senso, lo do per scontato.
CONCLUSIONI
Concludendo, dunque, nell’ottica di questo mio ultimo pensiero, mi dichiaro contento di aver letto queste testimonianze condivise in questo bel libro da tanti autori, ma allo stesso tempo vorrei che fosse la mia ultima lettura, almeno per ora, legata a questa diavolo di pandemia.
C’era una volta il Covid-19 è un libro pieno di emozioni. Le emozioni di tutti, le emozioni che in questi due mesi abbiamo vissuto volenti o nolenti. La bravura degli autori è quella di far riconoscere il lettore nelle situazioni casalinghe e di paese, che ha per forza di cosa vissuto. E poi, valore aggiunto, non mancano spunti per riflettere sulla condizione umana nostra, ma anche su quella di chi ci sta vicino che magari non può sostenere che “è andato tutto bene” .