L’autobiografia di Gene Wilder, dopo quasi quindici anni, finalmente distribuita in tutte le librerie
Conosco molto bene la Sagoma Editore. È una casa editrice specializzata in cinema, essenzialmente comico. La conosco perché è uno dei piccoli editori che partecipano al Pisa Book Festival e ogni anno almeno un suo libro me lo porto a casa. Qualche tempo fa, infatti, te ne avevo già parlato con la recensione di In arte Peter Sellers. Finalmente, questa minuscola casa editrice ha cominciato a essere distribuita nelle migliori librerie per cui, quella che in realtà sarebbe una ristampa dell’edizione del 2010, la troviamo fra le novità del settore “cinema”. La Sagoma ha pubblicato anche l’opera omnia di Gene Wilder che comprende, oltre a questa autobiografia, tre romanzi e una raccolta di racconti. Una produzione niente male per uno dei comici più importanti della storia del cinema, che per più di trent’anni ha lavorato come attore, per poi ritirarsi per scrivere e dipingere.
“Consiglio di leggere questa biografia durante il giorno o presto la sera. Se si comincia a mezzanotte ben presto si viene sorpresi dalla luce dell’alba che filtra attraverso il davanzale della finestra” dice Mel Brooks nella sua prefazione. Beh, non è vero, non è che sia proprio così; leggetelo pure prima di addormentarvi e farete sogni d’oro, anche perché la prosa di Gene Wilder è estremamente brillante e divertente e, a questo punto, ci verrebbe voglia di saperne di più dei suoi romanzi. Poi non dimentichiamo che Gene Wilder è l’autore della sceneggiatura di Frankenstein Junior, quindi sa come si scrive. A dirla tutta da noi Gene Wilder è famoso quasi esclusivamente per quel film e per La fabbrica del cioccolato, anche se ha recitato in tre dei quattro migliori film di Mel Brooks ed è stato un grande attore e regista di numerose commedie.
Ma torniamo allo scrittore
La voce dell’autobiografia è molto originale: scritta come se raccontasse la sua vita alla sua analista, quindi si percepisce come una sorta di autoanalisi e ciò contribuisce a renderla fede degna al lettore. Quello dell’analista è uno dei topoi dei comici ebrei, tipo Woody Allen. Non è strano, perché Gene Wilder si chiama Jerry Silberman ed è originario della Russia; la sua è una delle molte famiglie ebree russe fuggite dai pogrom dei Romanoff. È per questo che fa ridere? Sembra impossibile, ma quasi tutti i grandi comici di Hollywood erano o sono ebrei: i fratelli Marx, Jerry Lewis, Peter Sellers, Mel Brooks, Woody Allen e, per avere un elenco esaustivo, comprate Riso kasher. Della Sagoma Editore, ovviamente. Invece Gene Wilder iniziò come attore teatrale drammatico. Fu proprio durante la rappresentazione di Madre coraggio di Bertold Brecht che conobbe Mel Brooks. Mel Brooks era il ragazzo di Anne Brancroft, la protagonista di Madre coraggio, e fu proprio lei a raccomandare quel ragazzo che era “il ritratto dell’innocenza” per il primo film di Mel Brooks, The producers, che in italiano diventò Per favore, non toccate le vecchiette, del 1968. L’incontro con Mel Brooks è stato fondamentale per Gene Wilder, perché fu con lui che scrisse e interpretò il film che lo rese un’icona della comicità, lo stracitato Frankenstein Junior, appunto. Ma torniamo di nuovo allo scrittore anche se, trattandosi dell’autobiografia di un attore, è impossibile non parlare di cinema. Ma c’è un altro argomento che è ospite fisso nella biografia di Wilder ed è l’amore, che viene descritto immancabilmente in maniera molto romantica. A questo punto la curiosità di sbirciare nei suoi romanzi diventa più forte e, nel catalogo della Sagoma, troviamo La mia puttana francese che, nella sua prefazione, Mel Brooks descrive così: “Il debutto di Gene Wilder nella narrativa è un elegante intreccio di intrigo, azione, sesso e umorismo, ma ciò che mi ha sorpreso è che sia una storia d’amore profondamente commovente e davvero ben scritta”. Il secondo romanzo è Io, Clara e Cechov, “Una storia divertente e capricciosamente romantica. Wilder dipinge amorevolmente la gioia miracolosa e l’inevitabile perdita che derivano dalle emozioni autentiche”, dice il Publisher Weekly. La terza fatica letteraria è Cos’è questa cosa chiamata amore, “uno spensierato promemoria su quanto l’amore (ricambiato o meno) può fare per rendere la vita degna di essere vissuta”, stavolta è il Los Angeles Times. Il nastro rosa, la raccolta di racconti è commentata dallo stesso Wilder: “Io romantico? È come chiedere al papa se è cattolico. Penso all’amore quasi di continuo, e dico ‘quasi’ per non sembrare scemo”. Quindi, se da una parte si affievolisce un po’ la voglia di leggere i romanzi di Gene Wilder, dall’altra cala anche il sospetto che il biografo menta spudoratamente nel descrivere le sue storie d’amore. Che si menta nello scrivere la propria vita è pleonastico. Un po’ perché “le cose nel ricordo poi si sfumano”, come dice il poeta, un po’ perché, quando è un comico a scrivere, è impossibile che non distorca qualche situazione per strappare una risata. Ma, sarà perché, come diceva Anne Bancroft, Gene è “il ritratto dell’innocenza”, sarà che, nonostante la sua indubbia bravura, Wilder non si sia mai atteggiato a divo, direi che almeno l’80% di quello che scrive si può prendere per buono.
Un’autobiografia non può finire con la morte, sarebbe un ossimoro; quella di Gene Wilder finisce, addirittura, con una rinascita. Dopo aver visto morire di cancro sua moglie, Gilda Radner, Wilder si ammala di cancro a sua volta, riuscendo però a guarire completamente. E non poteva essere che così: come poteva finire tragicamente la vita di un Maestro della commedia?